Secondo alcune stime la nostra economia perderà dai 250 ai 650 miliardi di euro. A seconda della durata dell'emergenza Covid-19. Le prime a essere colpite sono state le aziende del Nord Est. Dall'arredamento ai servizi, dal design fino all'hotellerie, le voci dalla locomotiva spenta d'Italia.
Impietosi. Sono semplicemente impietosi i numeri della crisi produttiva che seguirà l’emergenza coronavirus.
Cento miliardi bruciati al mese, secondo una prima stima del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.
A conferma anche uno studio pubblicato di recente dal Cerved: le perdite per il sistema economico italiano potranno andare dai 250 ai 650 miliardi di euro, a seconda della durata dell’epidemia e delle restrizioni che hanno colpito diversi settori dell’economia.
NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI IL RIMBALZO NELLA SECONDA METÀ DEL TERZO TRIMESTRE
Francesco Daveri, economista e professore alla Bocconi, però pare meno catastrofista. «Quanto stiamo vivendo avrà proporzioni difficili da calcolare, ma non è detto che sarà inevitabilmente una Caporetto», spiega. «Sono convinto che ci sarà un rimbalzo, la cosiddetta “V”. Tutto sta a capire quanto durerà e quanto profonda sarà la fase discendente».
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Ma Daveri si spinge oltre con uno studio pubblicato pochi giorni fa: partendo dall’analisi della curva del contagio ed equiparandola a quella cinese («tenendo conto, però, delle dovute specifiche e differenze tra i due Paesi», precisa l’economista) «considerato che la quarantena è iniziata l’11 marzo, l’epidemia del coronavirus potrebbe dirsi conclusa nel nostro Paese intorno alla metà di maggio. Questo vuol dire che nell’ipotesi più ottimistica il rimbalzo potrebbe verificarsi non prima della seconda metà del terzo trimestre, con i primi due trimestri in cui possiamo immaginare una perdita del Pil fino al 10%».
LE RICADUTE DELLA CRISI NEL NORD ITALIA
Un crollo che subiranno principalmente le aziende del Nord e le regioni più colpite dall’epidemia. Dietro i dati e le stime, però, ci sono imprese e lavoratori che vivono appesi a un filo, nella speranza che il rimbalzo non solo si verifichi, ma che non sia poi così lontano.
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«Non posso permettermi di fare errori», spiega a Lettera43.it Roberto Gavazzi, amministratore delegato della Boffi spa, società con sede in provincia di Monza produttrice di arredamenti. «Le preoccupazioni più grandi sono per i circa 450 dipendenti che conta l’azienda e che ovviamente dobbiamo salvaguardare. C’è poi il rischio di perdere una consistente fetta di mercato e di investitori. Tutto dipenderà da quando riapriranno negozi e fabbriche». Inevitabile, però, che già si facciano i conti. «Se si dovesse arrivare a 2-3 mesi di arresto», sottolinea Gavazzi, «potremmo perdere il 30% del nostro fatturato, il che sarebbe tragico. Se restiamo sotto i due, potremmo arrivare al 20% di perdite e sarebbe ugualmente molto pesante ma affrontabile, considerando che comunque parliamo di un fenomeno globale e questo ci permette di essere compresi». Parliamo, peraltro, di un settore che produce beni durevoli, «per i quali in un certo senso si può aspettare».
L’ALLARME DEL SETTORE DI MODA ED EVENTI
Cosa diversa nel settore dei servizi: in questo caso ciò che è perso, rischia di esserlo per sempre. Ne sa qualcosa Alessandra Olcese, proprietaria a Milano della Random Production, società che organizza sfilate per grandi brand del fashion internazionale. «Siamo stati fortunati perché abbiamo curato l’ultimo evento il 21 febbraio, pochi giorni prima dello scoppio dell’epidemia, ma ora è il futuro quello che preoccupa», spiega. Alcuni clienti, non a caso, hanno già interrotto contratti in essere per sfilate previste per giugno e ora sospese. «Giugno è il mese della moda uomo, ma è molto probabile che anche gli altri eventi in programma salteranno». Il vero timore è per settembre, mese della moda donna. «Quel periodo equivale al 70-80% del nostro fatturato», fa notare Olcese: «se dovessero essere cancellati anche quegli eventi, tutto questo sarà davvero drammatico».
ARCHITETTURA E DESIGN LAVORANO PER LA RIPARTENZA
Stessa preoccupazione tocca anche il settore dell’architettura e del design. «Lavorando sul mercato internazionale riusciamo in parte ad attutire il colpo», commenta Alberto Zontone, ad dello studio Patricia Urquiola Spa. «Resta però il fatto che i cantieri bloccati da lunedì sono un problema concreto. Ora è tutto fermo anche su quel fronte. Abbiamo poi diversi ordini cancellati per il design». Senza contare il rinvio per ora a fine giugno del Salone del Mobile di Milano. «È senz’altro la Fiera più importante al mondo per il settore», ricorda Zontone. «In una settimana Milano attrae mezzo milione di persone, quando la Design Week di Londra arriva a circa 30 mila. Se anche la data di giugno dovesse slittare, sarebbe un disastro». Per il momento, tuttavia, si continua a lavorare in smart working: «Buona parte del tempo la passo in contatto con i clienti internazionali: bisogna far capire che la situazione è difficile, ma non impossibile da superare. Dobbiamo cominciare a seminare ora nella percezione estera per non arrivare tardi quando poi tutto ripartirà».
RISTORAZIONE E HOTELLERIE IN GINOCCHIO
La vera batosta è quella avvertita dal settore della ristorazione e dell’hotellerie. Secondo uno studio di Federalberghi Milano, su 60 hotel presi a campione sono quasi 55 mila le camere cancellate dal primo marzo al 30 aprile; le ore di ferie e permessi già assegnate risultano quasi 76 mila. Stessa situazione anche in Veneto. A sintetizzare la situazione è Andrea Ventura, responsabile di un albergo a Mestre. «Noi siamo chiusi da quasi un mese ormai. La società proprietaria dell’albergo ha messo tutti in ferie, ma ci ha già comunicato che da aprile per una parte dei dipendenti scatterà la cassa integrazione. Siamo a dir poco disperati. Mettiamo pure che a maggio tutto riparta: quanto tempo passerà prima che la gente torni a fidarsi, a viaggiare, a riempire hotel e ristoranti?».
LA VITICOLTURA GUARDA ALL’ESTERO
A resistere rimane il settore agroalimentare. E c’è chi, da quest’ultimo, manda anche segnali positivi. Come Walter Massa, produttore di vini nell’Alessandrino: 30 ettari destinati alla produzione di alcuni tra i vini più pregiati del Piemonte. «Il mio mondo è fermo. Come tutti i miei colleghi siamo bravissimi a far diventare l’uva vino, purtroppo non riusciamo a fare il contrario», dice prosaicamente. Ma poi aggiunge: «Proprio ieri ho assunto altre due persone. Il contadino deve fare i conti sempre con intemperie, imprevisti, cataclismi. Se il contadino non è ottimista, è meglio che cambi mestiere». Resta, tuttavia, un filo di preoccupazione per il futuro: «L’unica manovra che probabilmente farò è destinare più ettari del solito al vino più quotidiano, non tanto per l’Italia quanto per il mercato estero. Ma non fermerò la produzione».
LA SFIDA DELLA RICONVERSIONE: DA INTERNI PER AUTO A MASCHERINE E TUTE
Chi non è intenzionato a fermarsi è anche chi sta riconvertendo rami d’azienda per la produzione di mascherine. Casi abbondano in tutt’Italia. In Toscana Franco Dreoni, produttore di interni per auto e camper, ha cominciato dopo che l’amministrazione del piccolo comune di Vaiano, alle porte di Prato, gli ha chiesto una mano: «I macchinari erano pressoché simili. Abbiamo allora chiesto alla Regione quali fossero gli standard delle mascherine e siamo partiti». Prima 500, poi 1.000, poi 1.500 mascherine al giorno. «Ci arrivano richieste da tutt’Italia, ma diamo la priorità al settore pubblico, dagli ospedali e alle forze dell’ordine». Tanto che ora Dreoni si è spostato anche sulla produzione di camici.
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Sulla stessa scia anche Massimo Moretti che dirige a Massa Lombarda (Ravenna) Wasp, società di stampanti in 3D. «La nostra forza», racconta, «è la possibilità di riconversione molto rapida». E così, dinanzi alla difficoltà di non poter evadere gli ordini pregressi («Prima il telefono squillava ogni minuto, ora non arriva una telefonata», racconta ancora Moretti), Wasp sta cercando di trasformare l’emergenza in positiva opportunità. «Abbiamo deciso di lavorare a mascherine personalizzate, create con la stampante 3D, di modo che siano perfettamente aderenti al viso di ognuno». E così se da lunedì il lato produzione è fermo per via del lockdown, il settore ricerca e sviluppo è al lavoro per il futuro. «È l’unica cosa che si può fare. Per il resto alcuni dipendenti sono in ferie. L’azienda ha liquidità ancora per un mese e mezzo, poi vedremo».
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