Salerno. Processo alle coop verso la conclusione

di Salvatore Memoli

Si avvia a Salerno verso le arringhe il processo alle Cooperative sociali che più di tutto é stato un focus processuale su due personaggi, Vittorio Zoccola e Nino Savastano, sulle loro vicende personali e di vita pubblica collegate al sistema di affidamento dei servizi. Del primo abbiamo potuto renderci conto in lungo ed in largo che il suo ruolo nei fatti imputati lo ha reso agli occhi di chi ha seguito gli appuntamenti processuali un personaggio chiave della cooperazione salernitana, a cui ha garantito la sua esperienza ed il suo sostegno che, come provato, si sono concretizzati in due eccellenti obiettivi: inserimento nel mondo del lavoro di fasce fragili di lavoratori alle quali é stato garantito il diritto sociale al lavoro e l’ottimizzazione della spesa pubblica nei servizi di manutenzione e di gestione della pulizia di tutte le aree del Comune affidate, assolti con professionalità ed efficienza. Di Nino Savastano se l’espressione non é forte abbiamo capito che sta al processo come il cavolo a merenda. Savastano aveva ripreso da pochi mesi i rapporti di amicizia con Zoccola, i due parlavano poco tra loro ed in ogni caso il Savastano non si occupava dei settori di cui potevano avere bisogno di un qualsiasi aiuto i responsabili delle Cooperative. Così i fatti, ampiamente provati  durante tutto il dibattimento. Dei due, che hanno garantito sempre la presenza alle udienze ed hanno dato al Collegio elementi rassicuranti sull’intera vicenda e sui rispettivi ruoli, il quadro processuale restituisce con chiarezza comportamenti corretti e decisamente in linea con i ruoli ricoperti, come risultanza di tante testimonianze ed incroci probatori che sono stati attivati dall’inquirente.
Il processo per qualcuno doveva essere l’attività accusatoria del secolo che avrebbe portato ad uno sconvolgimento di tutti gli assetti politici ed imprenditoriali, promettendo di assicurare alla giustizia chissà quale risultato che avrebbe disvelato le tresche di un Comune coinvolto in una macchina sprecona e corrotta.
Chi ha seguito le fasi processuali può ben dire che molte accuse e molti sospetti iniziali si sono dimostrati infondati e completamente privi di qualsiasi fondamento. Lo hanno sostenuto gli imputati ed ogni chiarimento é stato fornito con ampiezza di argomentazioni anche dai testimoni dell’accusa, in modo palmare ed esaustivo. Da chi si aspettava argomenti a sostegno di un’accusa inoppugnabile, sono stati invece fornite precise, incontrovertibili e documentate testimonianze che hanno messo in luce l’assoluta intonsa correttezza di Vittorio Zoccola che, comunque, risulta ben lungi da condotte che avrebbero potuto arrecare turbamento  alle  procedure di affidamento e alla gestione dei rapporti con la parte politica e con la burocrazia comunale. Anzi, in un’udienza significativa, chi era presente ha potuto ascoltare dalla viva voce di un Dirigente comunale competente negli appalti, peraltro ampiamente referente della Procura nel presidio delle fasi di affidamento degli stessi, che tutte le decisioni venivano assunte con rigoroso rispetto delle normative vigenti e che nessun cedimento il Comune di Salerno ha mai fatto a favore delle Cooperative. Tutt’altro, si é ascoltata una dichiarazione sconvolgente che alle Cooperative venivano affidati lavori ad un importo di gara ampiamente inferiore alla stima che altre imprese non prendevano in considerazione e rifiutavano. Concordi sono state tutte le dichiarazioni di importanti, di altri competenti ed autorevoli dirigenti del Comune di Salerno che sono stati sentiti in proposito. Se i fatti stanno così viene invertito totalmente la portata dell’accusa che, nel frattempo, ha registrato come la parte politica, quella che avrebbe potuto averne indirettamente un ruolo determinante, sia stata prosciolta, con l’esclusione di Vincenzo De Luca, Vincenzo Napoli e Felice Marotta, tutti vertici importanti della vita del Comune di Salerno. Al processo delle Cooperative Sociali ha giovato un dibattimento attento, imparziale, desideroso di capire ed indagare sui fatti. Il Tribunale nella sua interezza ha fin qui seguito ogni minimo particolare registrabile nel dibattimento, con autorevolezza e con integrazioni finalizzate a capire tutto e bene. É stato sempre rispettato il ruolo delle parti processuali, con una capacità di ascolto che non lascia dubbi che i fatti siano stati valutati con ampia ed attenta completezza. Anche gli elementi a difesa, soprattutto quelli in punto di diritto, afferenti alla vicenda degli affidamenti, sono stati recepiti e valutati come migliorativi della conoscenza giurisperita che i giudici normalmente hanno di tutte le vicende sostanziali.Un processo difficile e gravato da un’attenzione mediatica pungente e fuorviante, si può dire che sia stato celebrato con grande equilibrio in tutti i momenti, inclusa la dialettica risentita tra l’accusa e gli imputati che hanno tenuto a collocare i fatti e le imputazioni nel loro corretto contesto temporale, logico e cronologico.
Il Processo si avvia alla fase finale con gli interventi dell’accusa e della difesa che fin qui ha seguito con empatia e che ora si accingerà, con la riconosciuta competenza degli avvocati, a far emergere tutto ciò che restituirà verità ai fatti ed agli imputati, dando alla città la risposta attesa di un tempo che deve essere chiuso e di una storia della cooperazione che ha diritto al riconoscimento della sua innocenza e della completa estraneità da accuse che hanno fatto male a Salerno, ai servizi di manutenzione del patrimonio pubblico ed a persone schiacciate da imputazioni assolutamente prive di consistenza, mentre la realtà dei servizi é precipitata a livelli inconfessabili di abbandono e di degrado.

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Omicidio Pennasilico, confermate le condanne

“Azione unitaria, preparata e predisposta”.  La Corte di Cassazione con le motivazioni della propria decisione  mette una pietra tombale sulla sentenza per il delitto di Domenico Pennasilico per il quale da due mesi sono in carcere i fratelli Franco e Nicola Di Meo che  sconteranno 17 anni e 8 mesi di reclusione a testa stabilito dall’Assise Appello. Un anno e 8 mesi per Bruno Di Meo condannato in Assise Appello dopo l’assoluzione in primo grado.  Secondo la Procura, Franco Di Meo avrebbe ucciso Pennasilico, in un agguato nelle campagne di Giffoni Sei Casali, zona Cerzoni, dove la vittima si era recata con il figlio Generoso per recuperare dei bovini che pascolavano. Quasi contemporaneamente, a breve distanza, Pennasilico era stato colpito da un primo colpo di fucile, caricato a pallettoni, da altri complici, come riferito dalla vittima al figlio Generoso Raffaele, in una concitata telefonata nel corso della quale lo avvisava di mettersi in salvo. Una lite tra le due famiglie di pastori per motivi di pascolo, sarebbe alla base del delitto.  Il proiettile alla gamba recise l’arteria femorale, provocandone il decesso. A fare l’allarme e a sporgere denuncia ai carabinieri fu il figlio. Gli ermellini hanno confermato in toto il verdetto della Corte d’assise d’appello. Finanche il riconoscimento della responsabilità civile – nel concorso in omicidio e nella premeditazione – del figlio di Nicola, Bruno Di Meo, che in primo grado fu assolto proprio da quest’accusa e condannato ad un anno ed otto mesi per il solo reato di minacce nell’ambito di un “concorso morale” – derubricazione del tentato omicidio che gli era contestato – ai danni del figlio di Domenico, Generoso Pennasilico.  Scrive la Cassazione. “Si è trattato di un’azione unitaria preparata e predisposta in vista del prevedibile arrivo sul luogo teatro degli eventi dei Pennasilico nel tentativo di recuperare i propri animali dei quali i Di Meo, con i quali vi erano antichi rapporti di astio, si erano accorti.. ” La Corte ha tratto la conclusione che anche Bruno Di Meo ha posto in essere un ruolo qualificabile a titolo di concorso morale nell’omicidio. I giudici di appello hanno, inoltre, ricostruito l’utilizzazione, nella vicenda, di tre armi: una pistola e due fucili.

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