Stazione Centrale deserta. Come l'Intercity, solitamente stipato. Non si vede passare nessun controllore, né in Lombardia né in Liguria. I pochi passeggeri sperano per 4 ore che nessuno tossisca, prima di respirare a pieni pomoni l'aria del mare. Il racconto.
Non si fa mai caso a quanto possano rimbombare i passi nella stazione Centrale di Milano. Un suono sordo e grave. Lo stesso che si avverte attraversando le navate di una chiesa.
Venerdì mattina. Ore 9. L’edificio è totalmente immerso nel silenzio. Proprio come una basilica. Ed è straordinariamente vuoto. «Qui tutto bene. Sono sola.
Si sente ovunque un forte odore di disinfettante», dice una donna parlando al telefono, probabilmente per tranquillizzare la famiglia. «Non penso che questa stazione sia mai stata così tirata a lucido dalla sua inaugurazione».
QUATTRO ORE CON LA PAURA CHE IL VICINO DI POSTO TOSSISCA
Da quando è apparso, il coronavirus ha stravolto in modo impensabile le nostre vite. Anche un semplice viaggio in treno di quattro ore lo si affronta ora con un po’ di preoccupazione. E non per i soliti ritardi o per le cancellazioni, quanto per il timore di finire in un vagone in cui qualcuno tossisca.

In treno, a quanto pare, non vengono rispettate le misure di sicurezza partorite dal pool di scienziati cui si affida il governo. Niente distanza minima di un metro, il posto accanto è a meno di 30 centimetri e se il vicino è raffreddato e starnutisce, si deve resistere fino alla fine del viaggio. Eppure un messaggio audio in doppia lingua – italiano e inglese – invita ogni tanto i passeggeri ad attenersi alle 10 regole di igiene varate per contenere l’epidemia. Al gate della Stazione Centrale, in compenso, l’addetto se ne sta ben lontano dai passeggeri. E, rispettando diligentemente le direttive sulla distanza di sicurezza, non controlla altrettanto diligentemente la validità del titolo di viaggio che gli viene mostrato.

Non che la promiscuità, in questo periodo, sia un reale problema. Il treno Intercity Milano – Ventimiglia è praticamente vuoto. Forse perché attraversa ben due zone gialle, quella lombarda e quella savonese. Sulla stessa tratta, coperta anche dal francese Thello che arriva da Marsiglia, diverse settimane fa, prima che il contagio dilagasse anche in Francia, i controllori d’Oltralpe avevano ottenuto dalla compagnia il permesso di poter scendere prima del confine, lasciando il posto ai colleghi italiani.
L’ESODO DEI LOMBARDI IN LIGURIA PARE UN RICORDO
Una situazione surreale. Com’è surreale ritrovarsi praticamente soli su un treno di norma affollato da lombardi che trascorrono il week end al mare. A bordo si incontra invece la polizia, due agenti che percorrono il convoglio da un capo all’altro. «Non avevo mai visto questo treno così vuoto», racconta a Lettera43.it Claudia, laureanda di 23 anni. Figura esile, premuta sul finestrino quasi a non volere respirare l’aria della carrozza, «in genere siamo uno sull’altro». «Fa davvero uno strano effetto», continua. «Ho notato che per strada la gente se può ti gira al largo». Alla fine anche lei si è decisa a usare una mascherina. «Sì», ammette arrossendo, «avevo paura di affrontare un viaggio simile, nella calca, senza alcuna protezione. Non immaginavo certo che non avrei trovato nessuno». Resta un po’ in silenzio e poi aggiunge: «Se posso evito i mezzi pubblici. In questi giorni macino chilometri per Milano. E se la prossima settimana non avessi il rogito dal notaio, resterei a Genova. Ma con il mio fidanzato stiamo mettendo su famiglia…».

GLI EFFETTI DEL CORONAVIRUS NELLA VITA QUOTIDIANA
La psicosi ha colpito anche la vita del suo ragazzo. «La scorsa settimana ha chiamato il suo dentista per fissare la data di un intervento. Quando ha detto che veniva da Milano non volevano prendere la prenotazione. Ha dovuto insistere e ricordare che non proviene dalla zona rossa».
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Saltato anche il viaggio che si erano regalati per la laurea: «Saremmo dovuti andare a Praga. Una settimana prima Ryanair ci ha comunicato che tutti i voli sono stati cancellati. Abbiamo avuto il rimborso del biglietto ma non ci hanno restituito i 40 euro di assicurazione che avevamo stipulato a parte». «Almeno», sottolinea con tono di rivalsa, «ora i prezzi di alberghi e voli sono crollati: ho già prenotato le vacanze per dicembre in Sud America spendendo meno della metà del solito e con la clausola che se salta il volo questa volta il rimborso sarà totale. Perché prima o poi tutto questo passerà», sbuffa.
NUOVE PSICOSI E VECCHI PREGIUDIZI
Il coronavirus è poi terreno fertile in cui germinano vecchi pregiudizi. « Io non sono razzista», aggiunge un viaggiatore sulla sessantina salito a Genova, avvolto in un voluminoso giaccone mimetico, berretto di lana calato fin sugli occhi, «ma hanno fatto entrare cinesi, cani e porci e ora l’effetto è quello».

«Vivo a pochi chilometri dal confine», fa notare quasi a volere giustificare la sua netta presa di posizione, «so bene che quando provano a mettere piede in Francia i gendarmi li fermano e li rimandano tutti da noi. Io se vado in altri Paesi devo avere il documento o non entro. Le regole vanno rispettate». Dicendolo, attira su di sé per qualche istante l’attenzione degli altri pochi viaggiatori, che annuiscono senza fiatare. Poi riprendono a chiacchierare tra loro a bassa voce.
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I rumori come le parole vengono ulteriormente ovattati dalle mascherine ben premute su naso e bocca. Tutti sperano che il viaggio si concluda il prima possibile per tornare a respirare a pieni polmoni all’aria aperta, l’aria del mare. Il treno è stranamente in perfetto orario nonostante sia una tratta tristemente nota per i ritardi. «Una mezz’ora in più, come minimo, ci vuole sempre», dice ancora Claudia, che intanto è arrivata alla sua fermata e tanto basta per farle riacquistare un sorriso ottimista. Invece l’Intercity spacca il secondo. L’altro aspetto insolito è l’assenza di controllori: in genere se ne vedono due, uno in Lombardia e uno in Liguria. Non passano solo quando il treno è molto in ritardo e la gente molto arrabbiata. O durante i viaggi al tempo del coronavirus.
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