Frank Zappa, un genio che se n’è andato senza lasciare eredi

«Il compositore Frank Zappa è partito attorno alle 18 di domenica scorsa per il suo ultimo tour». Così, il 6 dicembre 1993, la famiglia dava la notizia della morte del musicista americano, avvenuta due giorni prima, il 4 dicembre (esattamente 30 anni fa), a causa di un tumore alla prostata diagnosticato troppo tardi. La comunicazione, come immaginabile, colpì gli appassionati di tutto il mondo, anche se non giunse, come si dice, come un fulmine a ciel sereno. I fan sapevano della malattia: nel 1991, per esempio, proprio per problemi di salute, il compositore non poté partecipare allo Zappa’s Universe, un grande evento organizzato come tributo per i 25 anni della sua musica (il suo primo album, Freak Out!, venne appunto pubblicato nel 1966), con al centro l’orchestra Of Our Time, diretta da Joel Thome, e, nel 1992,  poté dirigere solo in un paio di brani l’Ensemble Modern, che a Francoforte (poi anche a Berlino e Vienna) eseguì The Yellow Shark, una versione orchestrale/contemporanea di celebri brani dello stesso Zappa, divenuto, l’anno successivo, un disco di culto per i fan del Genio di Baltimora.

Zappa, un genio che sfugge a ogni etichetta

Orfani di Zappa non sono solo gli amanti del rock: tutta la critica, unanimemente, concorda sul fatto che definire rock la sua musica sia piuttosto riduttivo: certamente ne è la componente principale, magari in larga parte predominante, ma sempre in un continuo gioco di contaminazioni con moltissimi altri generi, da quelli più “prossimi”, per esempio il blues, il rhythm and blues o addirittura forme di “proto” rock, come il doo-wop degli Anni 40 e 50, al jazz, alla musica “colta” (contemporanea, sinfonica, dodecafonica, e così via.). «Per Frank Zappa verrà il tempo in cui gli sarà riconosciuto il giusto merito, ossia di essere uno dei più grandi compositori del Novecento». Così ha detto di lui il maestro Pierre Boulez – che commissionò a Zappa una composizione (The Perfect Stranger) per poi dirigerla nel 1984 col suo Ensemble InterContemporain. E a Boulez fa eco un altro grande direttore d’orchestra, Kent Nagano: «Frank è un genio. Questa è una parola che non uso spesso. Ma nel suo caso non è eccessiva. È estremamente istruito musicalmente. Non sono sicuro che il grande pubblico lo sappia… Non è proprio pop, ma è una pop star, non ha fatto proprio rock, ma è pur sempre una rock star, non è nemmeno proprio jazz, ma si è comunque circondato di musicisti jazz. Alla fine non era proprio un ‘compositore serio’, ma ha studiato le opere di Nicolas Slonimsky, Edgard Varèse, e così via. Non si può proprio inserire in alcuna categoria».

Cosa resta del Genio di Baltimora: i 170 album, la “cassaforte” e l’ultimo regalo Funky Nothingness

Se parliamo in termini di produzione, per fortuna l’eredità lasciataci da Frank Zappa è davvero cospicua: non solo possiamo contare ormai su poco meno di 170 album, di cui più della metà usciti postumi, ma possiamo guardare fiduciosi al patrimonio ancora inedito e contenuto nella sua famosa “cassaforte” (the vault) in cui Zappa stesso aveva stivato ogni sorta di registrazione o video, dai concerti a ogni singola performance casalinga o prova. Zappa definiva questa sua vena archivistica compulsiva “project/object”: prima o poi, ogni singolo frammento avrebbe trovato una armonica collocazione e una realizzazione formale e ufficiale. Gli zappiani ne hanno appena avuto una prova con la pubblicazione (lo scorso giugno) di Funky Nothingness, che presenta una serie di inediti e non solo, registrati nel 1969, nelle stesse sessioni da cui nacque Hot Rats, e appunto mai pubblicate prima d’ora. Se per eredità si intende invece la ideale prosecuzione del suo stile, le cose si complicano un po’. Esistono ottimi epigoni, a cominciare da Dweezil Zappa, secondogenito di Frank, che, dal 2006, porta sulle scene, con grande bravura, la musica paterna, o diversi altri ex-alumni zappiani in varie band. E non mancano ottimi musicisti che hanno creato tribute band di grande qualità (non lo dico per mero spirito patriottico, ma, a livello internazionale, tra i migliori citerei la band torinese Ossi Duri, i chitarristi Sandro Oliva e Dan Martinazzi, i Fast & Bulbous e il pianista-tastierista-compositore Riccardo Fassi con la sua Tankio Band). Se parliamo di eredi in senso compositivo, creativo, musicale non saprei fare nomi.

Frank Zappa, un genio che se n'è andato senza lasciare eredi
Frank Zappa nel 1978 (Getty Images).

L’attrazione per il politicamente scorretto e l’attualità dei testi

Si potrebbe rispondere in molti modi alla domanda perché ascoltare Zappa oggi. La risposta più banale è che la musica di Frank Zappa è bellissima. Ma è anche assolutamente contemporanea: Zappa ha, di fatto, sperimentato e quindi anticipato di decenni, moltissime forme musicali che oggi ascoltiamo. Compreso il rap. Se ascoltate qualunque disco del Genio di Baltimora, vi sembrerà appena realizzato. Per non parlare dei suoi testi: la sua ironia sferzante, il suo continuo fustigare ogni potere costituito (politico – repubblicano o democratico che fosse – economico, religioso – anche qui, senza distinzione di credo), denunciandone i vizi, ma anche la prepotenza e la tracotanza, il sarcasmo nel colpire i luoghi comuni, i tic e i tabù della media borghesia (statunitense) sono di una attualità quasi sconcertante. Anzi, chissà quali argomenti avrebbero offerto oggi a Zappa personaggi come Trump o Biden, ma anche Putin e tanti altri. Certo, oggi avrebbe qualche problema, ancor più che in passato, per la sua incontenibile attrazione per il politicamente scorretto. La discografia zappiana straripa di testi ironici, qualche volte anche “pesanti” – ma sempre per pura finzione – nei confronti, per esempio, delle donne (non furono in pochi a additarlo come misogino), degli omosessuali, o dei predicatori religiosi o, ancora, di una classe media americana continuamente lacerata dal dissidio interiore tra puritanesimo e pulsioni – a volte perversioni – sessuali. A chi gli chiedeva, per esempio, perché mai avesse intitolato un suo brano Titties and beer (Tette e birra), rispose che la canzone era stata scritta per diventare un classico, perché conteneva esattamente tutto ciò che piace all’americano medio: le tette e la birra. Senza contare le decine e decine di testi dedicati alle varie tipologie di “stupidi”, a qualunque livello: sociale, economico, politico, religioso, artistico, ecc. Del resto, Zappa si è sempre detto convinto del fatto che, nell’universo, l’elemento più abbondante non sia l’idrogeno, bensì proprio la stupidità.

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues

È morto a 65 anni Shane MacGowan, cantante e autore della maggior parte dei brani del gruppo folk-punk dei Pogues. Di origine irlandese, divenne celebre negli Anni 80, oltre che per la sua musica, per lo stile di vita sregolato, in particolare per l’abuso di alcol, ma anche di eroina. Il suo brano più famoso è Fairytale of New York, cantata insieme a Kirsty McColl, considerata una delle canzoni natalizie più belle di sempre.

Il movimento punk e la fondazione dei Pogues

Nato nel giorno di Natale del 1957 in Inghilterra, visse in una fattoria in Irlanda (Paese di origine dei genitori) fino all’età di sei anni, quando la famiglia si trasferì a Londra. Parte del movimento punk, nella seconda metà degli Anni 70 aveva fondato il suo primo gruppo, i The Nipple Erectors, che si fecero conoscere a Londra come gruppo di supporto dei Clash e dei Jam. Nel 1981 conobbe Spider Stacy e Jem Finer, con cui l’anno successivo formò i Pogues (inizialmente Pogue Mahone, storpiatura dell’espressione gaelica póg mo thóin, ovvero “baciami il sedere”).

È morto Shane MacGowan, cantante dei Pogues, band famosa per la canzone natalizia Fairytale of New York. Aveva 65 anni.
Shane MacGowan nel 1976 (Getty Images).

L’allontanamento dai Pogues nel 1991 e poi il rientro 

Il gruppo, che come disse una volta lo stesso MacGowan ha sempre proposto «musica irlandese per un giovane pubblico rock», con strumenti propri del primo genere, come flauto, banjo, mandolino, fiddle e fisarmonica, insieme con percussioni e strumenti a corda più moderni, debuttò nel 1984 con l’album Red roses for me. Rimase nei Pogues fino 1991, quando fu allontanato a causa delle sue dipendenze e dei continui ritardi a prove e concerti: cinque i dischi incisi con il gruppo folk-punk. Dopo alcune collaborazioni, nel 1992 aveva formato i Popes, poi lasciati per rientrare nei Pogues che, dopo lo scioglimento nel 1996, avevano ripreso l’attività nel 2001.

La sua vita è stata raccontata in un documentario

Nel corso dei decenni, le dipendenze ne avevano fortemente minato il fisico. Nel 2006, dopo una notte di bevute in Irlanda, si fermò per urinare, inciampò e cadde contro un muro, distruggendo i pochi denti rimasti. E a causa dell’eroina fu persino arrestato: a farlo incarcerare, per cercare di aiutarlo, fu la collega e amica Sinéad O’Connor. Costretto su una sedie a rotelle da una caduta del 2015 da cui non si era ripreso, nel dicembre 2022 MacGowan era stato ricoverato in ospedale per un’encefalite virale e nel corso del 2023 aveva trascorso diversi mesi in terapia intensiva. Ad annunciarne la scomparsa è stata la moglie Victoria Mary Clarke, che ha pubblicato un post sulla sua pagina Instagram a corredo di una sua foto in bianco e nero, con in mano un bicchiere e una sigaretta. La storia del cantante è stata raccontata nel documentario del 2020 Crock of Gold – A Few Rounds with Shane MacGowan, prodotto da Johnny Depp.

Spotify Wrapped 2023, Sfera Ebbasta è l’artista più ascoltato in Italia

Sfera Ebbasta è ancora una volta l’artista più ascoltato in Italia. Il trapper ha infatti vinto per il terzo anno consecutivo la classifica di Spotify Wrapped, che decreta i mattatori della musica in streaming. Il suo X2VR, disco di platino a una settimana dall’uscita, domina anche fra gli album Fimi GfK, tanto da monopolizzare le prime 12 posizioni della chart dei singoli. Un’egemonia culturale che sottolinea lo strapotere dell’urban nel nostro Paese. Al secondo posto c’è infatti il napoletano Geolier, seguito sul gradino più basso del podio da Lazza. In Top5 anche Shiva e Guè. Solo italiani nelle prime 10 posizioni. In classifica seguono infatti Tedua, Marracash, Pinguini Tattici Nucleari (unica eccezione alla scena rap), Capo Plaza e thaSup. Sfera Ebbasta ha intanto annunciato una seconda data allo Stadio San Siro per il 25 giugno, dopo il sold out della prima.

Spotify Wrapped 2023, in Italia fra le donne Anna batte anche Taylor Swift

Grazie al programma globale Equal, Spotify promuove la parità di genere ed esalta il ricco contributo delle donne nel mondo della musica. Pensato per dare visibilità alle artiste e compositrici, crea delle playlist e delle classifiche specifiche del genere femminile. In Italia, come testimonia il Wrapped 2023, la rapper di La Spezia Anna ha battuto persino Taylor Swift, raggiungendo la vetta anche grazie all’ultima hit Vetri neri. Al terzo posto c’è Madame, mentre si sono accontentate solo di quarto e quinto posto Annalisa, fra le più in voga soprattutto in estate, ed Elodie, impegnata nel suo tour nei palazzetti. Al sesto posto si è invece piazzata Rose Villain, capace di mettersi alle spalle colossi internazionali come Shakira e Rosalia. Chiudono la Top 10 infine Lana del Rey e Rihanna.

Lo Spotify Wrapped consente anche di scoprire i nomi degli artisti italiani più ascoltati all’estero. Qui, senza grosse sorprese, in cima alla classifica ci sono i Maneskin, che stanno infiammando stadi e club di tutto il mondo. Alle loro spalle i Meduza, trio di produttori musicali che ha collaborato con diversi cantanti della scena house internazionale. Sul podio anche Ludovico Einaudi, che si è aggiudicato la medaglia di bronzo. Seguono Gabry Ponte, Antonio Vivaldi e Laura Pausini, di recente insignita del titolo di Persona dell’anno ai Latin Grammy Awards. In Top 10 anche Eros Ramazzotti, Gigi D’Agostino, Andrea Bocelli e il rapper Baby Gang. Quanto ai singoli, come per Apple Music l’ha spuntata Cenere di Lazza davanti a Gelosa, featuring di Finesse con Guè, Sfera e lo stesso Lazza. Al terzo posto Vetri neri di Anna.

Taylor Swift regina mondiale con oltre 26 miliardi di stream

Grazie a Midnights e alle ripubblicazioni di Speak Now e 1989, Taylor Swift ha dominato il mercato della musica in streaming. Lo Spotify Wrapped 2023 ha certificato circa 26,1 miliardi di ascolti sulla piattaforma, stracciando ogni concorrenza. Battuto anche Morgan Wallen, l’artista country che l’aveva battuta in alcune categorie dei Billboard Music Awards. Nella classifica globale la popstar di West Reading ha superato Bad Bunny e The Weeknd, rispettivamente sul secondo e terzo gradino del podio. Quarto posto per Drake, che ha battuto Peso Pluma e Feid. Seguono Travis Scott, in auge grazie all’album Utopia presentato in Italia al Circo Massimo, davanti a SZA, Karol G e Lana del Rey.

Pur essendo la star di Spotify Wrapped 2023, Taylor Swift non può vantare né la canzone né l’album con il maggior numero di stream globali. Fra i singoli ha primeggiato Miley Cyrus con la sua Flowers, seguita da Kill Bill di SZA e As It Was di Harry Styles. Solo sesta Cruel Summer della popstar della Pennsylvania, che si è arresa anche a Seven di Latto e Jung Kook e Ella Baila Sola dei messicani Eslabon Armado. La star dell’Eras Tour può però vantare due brani in Top 10, dato che al decimo posto c’è Anti-Hero. Fra i dischi invece il suo Midnights è secondo, alle spalle di Un verano sin ti di Bad Bunny.

Apple Music, la classifica dei brani più ascoltati del 2023: vince Lazza

Cenere di Lazza è il brano più ascoltato su Apple Music nel 2023. La canzone, che gli è valso il secondo posto al Festival di Sanremo, ha conquistato la vetta del podio nel nostro Paese sulla piattaforma streaming. «È stato un anno che difficilmente dimenticherò», ha dichiarato l’artista a Billboard Italia. «Ringrazio tutte le persone che sostengono la mia musica e che hanno reso la canzone la più streammata di Apple». Al secondo posto c’è invece Quevedo: Bzrp Music Sessions, Vol. 52 dei produttori che hanno lavorato anche con Shakira. Sul gradino più basso del podio invece Gelosa, collaborazione di Finesse, Shiva, Guè Pequeno e Sfera Ebbasta. In Top 10 tanti brani del Festival di Sanremo e tracce del rap italiano.

Apple Music, la Top 10 delle canzoni più ascoltate in Italia e nel mondo

Ai piedi del podio italiano di Apple Music si è invece piazzato il brano vincitore all’Ariston Due vite di Marco Mengoni. Dalla rassegna della canzone italiana arrivano poi Supereroi di Mr. Rain al quinto posto e Tango di Tananai, che si è piazzato settimo. Nel mezzo Vetri neri, la nuova hit di Anna con la collaborazione di Capo Plaza e Ava. Geolier è l’unico artista ad avere due brani nelle prime 10 posizioni con Chiagne, un featuring con Lazza e Takagi & Ketra, e X Caso incisa con Sfera, rispettivamente all’ottavo e nono posto. Solamente decima Mon Amour di Annalisa, quattro volte Disco di platino.

Quanto alla Top 10 mondiale di Apple Music, sorprendentemente non domina Taylor Swift. Pur avendo ottenuto il riconoscimento di artista dell’anno della piattaforma, consolidando il recente successo anche ai Billboard Music Awards, la popstar di West Reading si è dovuta accontentare del sesto posto grazie alla sua Anti-Hero dall’album Midnights. In vetta c’è invece Morgan Wallen, cantautore country e rivelazione del 2023, con la sua Last Night. Medaglia d’argento per Flowers di Miley Cyrus, mentre sul gradino più basso del podio si è piazzata SZA con Kill Bill. Quarto posto per Drake e 21 Savage con la loro Rich Flex davanti a Snooze, secondo brano della rapper SZA in classifica. Dopo Taylor Swift invece spazio al J-Pop degli Yoasobi con Idol e a Chris Brown con Under the Influence. Completano la Top 10 Metro Boomin, The Weeknd e 21 Savage con Creepin’  e Official Hige Dandism con Subtitle.

La classifica di Shazam, i Bzrp battono i The Kolors

Oltre alla classifica di Apple Music, è disponibile anche la Top 10 di Shazam con i brani più ricercati del 2023 in Italia. In vetta c’è Quevedo: Bzrp Music Sessions, Vol.52, seguito dal tormentone estivo Italodisco dei The Kolors. Terza piazza per Flowers di Miley Cyrus. Solo ottavi i Maneskin con The Loneliest, davanti al duo Mina e Blanco con Un briciolo di allegria. L’artista più shazammato del 2023 è invece Sfera Ebbasta. A livello mondiale, la classifica è dominata da Rema con la sua Calm Down. Sul podio anche Bloody Mary di Lady Gaga, brano del 2011, divenuto virale su TikTok assieme alla serie Netflix Mercoledì.

Oral, cosa c’è dietro la strana coppia Björk e Rosalia per salvare i salmoni islandesi

È uscita Oral, canzone che vede Björk duettare con una delle popstar più interessanti del momento, Rosalia. Una canzone di cui si è parlato parecchio, perché le due artiste sono quanto di più distante si possa oggi immaginare sul fronte musicale, perché si diceva sarebbe stata una canzone ambientalista, in perfetta sintonia con una china che la carriera dell’artista islandese ha preso da tempo, e perché, soprattutto, da tempo Björk è lontana dall’hype mainstream. L’idea di capire su che terreno lei e Rosalia si sarebbero incontrate dunque sembrava davvero potente. Ad aggiungere un po’ di sfiziose spezie al tutto le dichiarazioni rilasciate poco prima dell’uscita del singolo da parte della stessa Björk, che ha raccontato come la canzone fosse in realtà da lungo tempo dentro i suoi metaforici cassetti, lì tenuta non perché non ancora portata a termine, ma perché considerata troppo pop per i suoi nuovi standard. Oral ora è uscita e alcune sono le notazioni necessarie da fare, prima di passare a indicare il motivo per cui, oggi come oggi, è Rosalia il nome che sorregge questa strampalata coppia di artiste, oltre che uno di quelli su cui puntare se siete tra quanti amano scommettere su chi sia destinato a scrivere il proprio nome nel grande libro della musica leggera.

L’operazione salmoni che ha spinto Björk a collaborare con Rosalia

Dunque, Oral non è una canzone pop. Lo è forse se si parte dall’idea di pop che negli ultimi anni sembra avere Björk. In realtà è un po’ come la famosa battuta di Bisio che chiamava Dio Guido, per tutti gli altri Dio continua a essere Dio o nessuno, e Guido un nome proprio di persona.  Oral è una canzone sofisticata, che parte praticamente poggiando solo sulla voce, eterea, di Björk, poi su una musica decisamente ambient. Non è dunque una canzone pop. E tale non la rende nemmeno la presenza di un fenomeno pop come Rosalia, insieme a Dua Lipa la più forte artista europea al momento. Oral non è neanche una canzone ambientalista. È ambientalista l’operazione, ci fanno sapere entrambe le artiste, perché i proventi dei diritti e le vendite del brano andranno interamente a un fondo atto a permettere agli abitanti del fiordo di Seyðisförður, sulla costa orientale dell’isola scandinava che ha dato i natali all’artista, di coprire le spese legali per una class action contro le industrie della lavorazione dei salmoni che vorrebbero a breve aprire un allevamento in zona. A colpire Björk è stata la recente fuga di salmoni non islandesi da un allevamento. I pesci, appartenenti a una specie particolarmente aggressiva, ha invaso le acque dei fiumi dell’isola mettendo a rischio gli esemplari autoctoni. La notizia ha spinto la cantautrice ad abbandonare ogni ritrosia, e chiedere a Rosalia di portare un po’ della sua coolness in un brano che altrimenti poco avrebbe sentito adatto alle proprie corde.

Oral, la canzone perduta e ritrovata dopo 30 anni

Il video che accompagna il tutto, girato col contributo dell’intelligenza artificiale, le mostra combattere in una lotta non troppo diversa da quelle che si vedono nei videogiochi, niente a che vedere con l’aura mistico naturalista di Björk, né con l’immagine sexy e spregiudicata di Rosalia. Una canzone, ha dichiarato Björk a Rolling Stone Usa, che risale al periodo intercorso tra Homogenic e Vespertine, parliamo degli Anni 90, e che era andata perduta. Una volta ritrovata, non volendo reincidere la voce, perché riteneva non replicabile quel mood, ha chiesto a Rosalia, artista che molto amava, se le andasse di eseguirla. Ed ecco Oral per come la possiamo sentire. Una canzone che Björk descrive come una specie di reggaeton, ma che di reggaeton, ovviamente, non ha nulla, se non una ritmica che si richiama a quel genere, assolutamente sovrastata da archi e flauti, e dalle due voci che si intrecciano alla perfezione, quella di Björk più riconoscibile di quella di Rosalia. Attenzione, non perché Rosalia sia poco conosciuta o abbia una voce più neutra rispetto alla collega islandese, tutt’altro. Solo perché il brano è evidentemente stato scritto per mettere in rilievo le caratteristiche animiste tipiche di Björk, i sospirati che la rendono unica. Rosalia è invece più calda come voce e come temperamento, ed è da sempre protagonista di canzoni che si rifanno alla musica tradizionale, che sia il flamenco o, appunto, il reaggaeton, preso, smontato e ricostruito secondo il proprio estro e gusto personale.

Oral, cosa c'è dietro la strana coppia Björk e Rosalia per salvare i salmoni islandesi
Rosalia ai Latin Grammy Awards (Getty Images).

Rosalia e il lavoro sulla forma canzone orientato alla ricerca antropologica, oltre che della hit perfetta

Il suo Motomami, album del 2022 arrivato dopo l’esplosione mondiale con El Mal Querer, concept del 2018 che ruotava tutto intorno a una storia d’amore che oggi definiremmo tossica e ispirata al romanzo medievale Roman de Flamenca, è una sorta di bignami di come si possa prendere un genere ritenuto dai più rozzo, dozzinale, a tratti anche trash, ed elevarlo al grado di bellezza assoluta. Un lavoro di decostruzioni di canoni altrimenti sfilacciati su cui costruire storie che ruotano costantemente sopra il femminile, mescolando antico e futuribile, come raramente è capitato di vedere nel pop. Un lavoro che la potrebbe far accostare a figure come Peter Gabriel e David Byrne, e al tempo stesso tenere il passo a Dua Lipa e Beyoncé, certo seguendo la strada a tratti percorsa da Shakira, ma sempre tenendo la barra dritta, come se il suo lavorare sulla forma canzone fosse costantemente orientato alla ricerca antropologica, oltre che della hit perfetta.

Sentire canzoni come Hentai, liberata da tutti i fardelli sovrastrutturali delle tipiche produzioni del genere e lasciata come una ballad per voce e piano scordato, un testo che si rifà alla pornografia orientale dei manga e che quindi lancia chiari richiami sessuali su una melodia malinconica, o La fama, ospite quell’altro genio del pop che risponde al nome di The Weeknd, tutta giocata su una linea di basso ipnotica, una canzone di gelosia e passione che ben si è mossa anche in classifica, dovrebbero da sole darci la cifra di un talento che al momento ha forse solo in Tove Lo, artista svedese di stanza negli Usa che per tante popstar ha scritto tenendo per sé i brani più provocatori e sensuali, una ipotetica competitor. Del resto, Taylor Swift su un piano meramente pop ben lo dimostra, il mondo della musica internazionale è più che mai saldamente nelle mani femminili, Rosalia con o senza Björk non ha che da sbizzarrirsi a giocare con le tradizioni del mondo, magari anche salvando il salmone islandese.

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l’artista

Partiamo da una non-notizia e da una notizia, a voi scegliere l’abbinamento: Morgan è stato licenziato da X Factor, Morgan è tornato a pubblicare musica inedita slegata a altri progetti editoriali, come pura e semplice musica, a 16 anni dall’uscita del suo ultimo album di inediti, Da A ad A. La faccenda del licenziamento dell’artista brianzolo da X Factor è più che nota, per giorni è stata trend topic sui social. La mattina di lunedì 20 novembre è stata annunciata la cacciata, per atteggiamenti incompatibili con le policy della rete e per delle dichiarazioni fatte durante alcune interviste. Durante la puntata del quarto Morgan aveva reagito in maniera piuttosto veemente, prima litigando con Dargen, cui ha dato a più riprese del venduto e dell’incompetente, poi in una sola frase, con Ambra, Francesca Michielin e Fedez, finendo per beccarsi i fischi della platea. Inalberato per questioni di brani e coreografie, ha affondato Ambra parlando di «retorica delle lacrime», la Michielin invitandola a andare nei camerini da Ivan Graziani – ricorderete tutti che nel terzo live la presentatrice aveva preso una gaffe clamorosa a riguardo -, andando poi anche a dare una stoccatina ad Annalisa, per altro super ospite della puntata, finendo per chiudere la polemica dando del depresso a Fedez, fatto che per molti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Lo scontro di Morgan con la lobby che ruota attorno a Fedez

Tutte le polemiche di questo X Factor sono in qualche modo ruotate intorno a Morgan – senza che gli ascolti ne traessero beneficio – e a lui è stata contrapposta una sorta di lobby che ruota intorno a Fedez. Prima Davide Simonetta, autore del brano Bellissima di Annalisa, che Morgan ha bollato come banale e armonicamente inesistente. Poi la Michielin, che ha provato a dimostrare l’impossibile dal palco dell’Arca, in compagnia di Ambra, quando ha mostrato a beneficio di smartphone come il brano di Annalisa poggiasse su un giro che dal Fa passa al Re. Poi, ancora, Dargen, cui ha rinfacciato di essersi venduto al sistema, e poi di non capire nulla di musica, quando a un certo punto ha detto «possiamo dire che i Duran Duran fossero gli Annalisa degli Anni 80».

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l'artista
Fedez (Getty).

Infine Fedez e ancora la Michielin. Tutti legati da stretti rapporti di lavoro, è noto. Davide Simonetta, della scuderia Eclectic di Clessi, scrive anche per Fedez, come del resto anche lo stesso Dargen, non a caso poi andato come ospite alla prima puntata del podcast che il figliol prodigo Fedez sta facendo per la Siae. La Michielin deve i suoi pochi successi a Fedez, Annalisa, per cui Simonetta scrive, è a sua volta dentro Eclectic, come Fedez seguita artisticamente da Clessi. Insomma, una sorta di Confraternita dei Preraffaelliti, in assenza totale di arte e anche di parte. Morgan no, lui gioca un campionato a parte, infatti è stato mandato via. Curioso registrare come gli unici superstiti della sua squadra, gli Astromare, piazzati in squadra con Ambra, si siano salvati, mandando al ballottaggio gli altri due artisti del team della sola donna sul banco dei giudici, con Matteo Alieno a lasciare infine il programma. Come stanno le cose tra voci e illazioni? Ai posteri, verrebbe da chiosare, l’ardua sentenza.

Ormai è lungo l’elenco dei posti da cui è stato cacciato

Ma questa era la non-notizia, sveliamo il segreto di pulcinella. Perché Morgan è già stato allontanato da X Factor in passato, questo ce lo ha detto Fedez tramite Striscia la notizia (noi pensavamo se ne fosse andato), per via di cose successe con «le lavoratrici di Sky»: non vediamo l’ora del processo per capire come Sky ci racconterà tutte queste storie. Poi è stato cacciato da Amici di Maria De Filippi, quando litigò con Mike Bird, il povero Michele Merlo poi morto per incuria sanitaria, reo ai tempi di non sapere chi fossero i Pink Floyd, poi è stato squalificato dal Festival di Sanremo, per aver cambiato il testo ai tempi della querelle ormai mitologica con Bugo, a seguire da Sanremo Giovani, per aver insultato Amadeus via Whatsapp proprio per aver invitato nuovamente Bugo al Festival, a Ballando con le stelle non parliamone, e ora questo, via da X Factor, dopo aver rischiato di neanche arrivarci per via dello scazzo condito da insulti omofobi con un paio di fan a Selinunte, durante un concerto estivo dedicato a Battiato, scazzo che gli sarebbe comunque costato metà ingaggio.

La nuova musica di Morgan e le troppe distrazioni che reprimono l'artista
Morgan.

Il nuovo album scritto nientemeno che con Pasquale Panella

Ora, che grazie ai social sia passato in cavalleria questo orrore di chiedere costantemente che qualcuno venga licenziato credo sia lo zeitgeist più lampante: di fatto Morgan è probabilmente l’artista più licenziato della storia dello spettacolo italiano, altro che Leopoldo Mastelloni, forse non solo dello spettacolo, e anche per questo gli si dovrebbe tutti volere un po’ di bene. Ma il vero motivo per cui gli si deve volere bene è la notizia contenuta in questo articolo, l’uscita nella notte tra mercoledì 22 e giovedì 23 novembre di Sì, certo l’amore, primo singolo estratto dal nuovo album del nostro – E quindi, insomma, ossia – che vede Morgan affiancato ai testi da nientemeno che Pasquale Panella, autore di tutte le liriche del Battisti cosiddetto bianco, gli ultimi cinque lavori di studio del cantautore di Poggio Bustone, oltre che di una quantità impressionante di poesie e di canzoni regalate a artisti anche abbastanza improbabili, su tutte Vattene amore di Amedeo Minghi e Mietta e Per amore di Gianni Morandi e Barbara Cola.

Brano uscito mercoledì notte, una scelta suicida ma da artista

Una canzone della durata di quasi sette minuti, con un testo altissimo che la musica, un concentrato di rimandi colti, dal prog a Frank Zappa, segue alla lettera, sfociando in una vera gemma preziosa quanto complicata, decisamente fuori da ogni logica commerciale. Qualcuno avrà notato che ho sottolineato che il brano è uscito nella notte tra il mercoledì e il giovedì, come se fosse cosa strana. Bene, da tempo gli artisti si sono genuflessi al mercato, lasciando che le classifiche o il desiderio di finirci dettassero loro le agende. Così tutti, ma proprio tutti tutti, anche quelli che in classifica non ci finiranno mai, escono nella notte tra il giovedì e il venerdì, così da poter avere una settimana piena di ascolti – ormai si parla solo di stream – nei rilevamenti della settimana successiva. Uscire di giovedì equivale a vedersela con brani con sei giorni in più di ascolti alle spalle, e scivolare la settimana successiva tra i brani con due settimane alle spalle. Una scelta suicida, se si punta solo alla classifica, una scelta da artista, se è la musica quella cui si guarda.

Altrove è indicata come la più bella canzone italiana di sempre

Sapere che Panella, nel mentre, avrebbe ambito addirittura a che il brano, a più riprese annunciato e fino a oggi circolato solo in alcune delle tante chat di Whatsapp che hanno visto e vedono Morgan protagonista, non uscisse affatto, rimanendo con quell’aura di “attesa” rende il tutto ancora più affascinante. Quanto invece dovremo aspettare per poter ascoltare tutto l’album non è dato saperlo. Certo, Morgan, spesso additato come uno che non fa niente da vent’anni a questa parte – tanti ne sono passati dal mitico Le canzoni dell’appartamento, album che contiene quella Altrove indicata come la più bella canzone italiana di sempre dalla stampa specializzata – nei fatti è un’anima perennemente in movimento, tra concerti, spettacoli, programmi tivù, collaborazioni strampalate, libri, dischi di cover, passaggi per i talent inclusi. Quando però lo si sente nel suo mondo di appartenenza, la musica cantata e suonata, la sensazione che un po’ meno distrazioni ci potrebbe portare ad ascoltare musica di valore si fa forte, perché, sempre per dirla con parole che Panella ha regalato a suo tempo a una giovanissima Mietta, con musica sempre di Minghi, «quello che capita nelle canzoni non può succedere in nessun posto del mondo, tu ricordati di noi».

Fedez torna in Siae e ne promuove la mission con “Siae racconta”

In una Instagram stories pubblicata lunedì 20 novembre, Fedez ha annunciato il suo ritorno in Siae e, anzi, si impegnerà a promuoverne la mission di tutela di autori e compositori. Lo farà con Siae racconta, un format in collaborazione con la società di collecting in cui promuoverà una serie di interviste ad autori, a partire da Mogol e Dargen D’Amico, e a dirigenti di Saie e delle etichette discografiche.

Fedez: «Rifarei la scelta di andarmene dalla Siae»

«Inaugureremo questo nuovo format chiamato Siae racconta in cui intervisterò grandi autori della musica italiana, persone che lavorano in Siae, per capire come la società sia migliorata rispetto al passato e che cosa fa per tutelare gli autori e i compositori», ha spiegato Fedez sui social. «Per anni sono stato in contrapposizione a Siae, sono stato il primo artista in Italia ad andarsene dalla Siae e a rompere quello che veniva chiamato “monopolio”. Ero fermamente convinto di quella scelta allora, ed è una scelta che rifarei perché credo che aprire al libero mercato avrebbe potuto portare rinnovamenti per tutti. A oggi Siae è una società che tutela e fa collecting con gli strumenti che abbiamo a disposizione nel 2023».

Gli ospiti delle quattro puntate di Siae racconta

Il progetto partirà martedì 21 novembre e si articolerà in quattro puntate. Nella prima Fedez incontrerà Dargen D’Amico, cantautore, autore e produttore che racconterà quali sono i suoi segreti del mestiere. Il 28 novembre sarà la volta di Mogol, l’autore che ha fatto la storia della musica italiana, oggi anche presidente onorario di Siae. Si parlerà dell’importanza di essere credibile, di collaborazioni straordinarie, e di una canzone considerata dai letterati la più bella: Vento nel vento di Battisti-Mogol. Il 5 dicembre Fedez incontrerà Matteo Fedeli, il direttore generale più giovane della storia di Siae, e nell’ultimo episodio, del 12 dicembre, sarà ospite Klaus Bonoldi, head of A&R di Universal Music. Si tratta di colui che da anni scova e gestisce gli autori della Universal, che parlerà di come si fa a capire se un brano è una hit e come si evolve l’industria musicale.

Prince, all’asta il guardaroba e i gioielli della rockstar

All’asta il guardaroba di Prince, genio di Minneapolis e uno dei massimi chitarristi nella storia del rock. RR Auction venderà online il 16 novembre abiti di scena, accessori e gioielli appartenuti un tempo alla star di Purple Rain, Kiss e When Doves Cry. La collezione, che comprende circa 200 oggetti, apparteneva all’uomo d’affari parigino Bertrand Billois, che ha raccolto in circa 20 anni i cimeli più importanti dell’intera carriera dell’artista statunitense, scomparso nel 2016 per overdose di farmaci oppiacei. La casa d’aste ha specificato infatti che non c’è alcun coinvolgimento degli eredi di Prince, ma si tratta esclusivamente di regali e doni che il cantante ha fatto negli anni ad amici e fan al suo Paisley Park di Minneapolis. Billois voleva farne un museo, ma dopo varie riflessioni ha pensato di diffonderlo tra gli appassionati di tutto il mondo.

Chitarre, abiti di scena e gioielli di Prince andranno all'asta il 16 novembre per RR Auction. Spicca una giacca con le ruche del 1985.
Prince in concerto a Los Angeles nel 1995 (Getty Images).

Giacche e gioielli, all’asta look leggendari di Prince

Influencer ante litteram, per citare il New York Times, Prince ha legato la sua carriera non soltanto a brani di fama mondiale, ma anche a look che hanno segnato la storia del rock. Eclettico e stravagante, l’artista negli anni ha creato uno stile che i fan hanno presto cercato di imitare. Fra i 200 oggetti, spicca senza dubbio una camicia bianca con le ruche che indossò durante gli American Music Awards di Los Angeles nel 1985. Sulle note di Purple Rain, tenne una delle sue migliori performance in carriera, tanto da guadagnarsi l’appellativo di His Purpleness. Il prezzo è stimato intorno ai 15 mila dollari, ma non si esclude che al termine dell’asta possa raggiungere cifre ben più elevate. In vendita anche una spilla da bavero per il suo completo verde, oro e blu che indossò nel corso dell’esibizione, che dovrebbe essere battuta per circa 7 mila dollari.

Fra i cimeli all’asta The Fashion of Prince di RR Auction anche una chitarra elettrica interamente blu, per cui si devono spendere almeno 12 mila dollari. All’asta inoltre il cappotto in cachemire che l’artista indossò nella commedia Under the Cherry Moon di cui fu anche regista. Dal set del film arrivano anche i tacchi neri di Kristin Scott Thomas, che interpretò la ricca ereditiera di cui si innamora il protagonista. Il prezzo stimato dei due capi è rispettivamente 25 mila e mille dollari. I fan potranno acquistare, per cifre non inferiori a 500 dollari, gli storyboard originali del videoclip di Kiss e oggetti di scena di Purple Rain, film premio Oscar per la miglior colonna sonora. E ancora, spazio a occhiali da sole, pass per il backstage, fotografie inedite e scalette autografe dei concerti in Europa, tra cui una descrizione del guardaroba per il live di Dortmund del 1990.

Chitarre e pullman per i tour, le altre aste famose sull’artista

RR Auction non sarà però la prima casa d’aste a organizzare una vendita dei cimeli di Prince. Nel 2016, pochi mesi dopo la sua morte, a Beverly Hills un fan del genio di Minneapolis infatti acquistò per 700 mila dollari, a fronte di una stima di circa 80 mila, la celebre Yellow Cloud, la chitarra gialla realizzata nel 1995 esclusivamente per l’artista da un liutaio della sua città. Parallelamente, un altro appassionato si aggiudicò un’altra camicia con le rouche per 96 mila dollari, ben oltre il prezzo di partenza da 6 mila dollari. Quattro anni dopo invece venne battuto per una cifra non dichiarata un Eagle 10 del 1983, pullman interamente viola che Prince utilizzò per 100 date del Purple Rain Tour negli States dal novembre 1984 all’aprile dell’anno successivo.

Chitarre, abiti di scena e gioielli di Prince andranno all'asta il 16 novembre per RR Auction. Spicca una giacca con le ruche del 1985.
Prince suona la Yellow Cloud venduta per 700 mila dollari (getty Images).

Laura Pausini è Person of the Year ai Latin Grammy Awards 2023

I Latin Grammy Awards 2023 parlano italiano. La 24esima edizione dei grandi premi per la musica latina ha infatti scelto Laura Pausini come Person of the Year, una delle massime onorificenze possibili. L’artista di Faenza è la prima a vincerlo pur non essendo di lingua madre spagnola ed è solamente la terza donna a ottenere il riconoscimento dopo Gloria Estefan nel 2008 e Shakira nel 2011. «Sono davvero onorata di ricevere questo premio dalla Latin Recording Academy», ha dichiarato la cantante sul sito dei Grammy. «Essere nominata in occasione dei 30 anni di carriera è qualcosa che non riesco a descrivere». In programma una serata di gala per mercoledì 15 novembre, quando si terrà un concerto tributo in suo onore con la partecipazione di altri esponenti della musica mondiale. Il giorno seguente ci sarà la consegna dei premi a Siviglia, che ospita eccezionalmente per il 2023 l’evento americano.

Laura Pausini premiata per la carriera e il suo impegno nel sociale

L’Academia Latina de la Grabación ha deciso di premiare Laura Pausini non soltanto per la sua carriera di successo. Come si legge sul sito ufficiale, il riconoscimento si riferisce anche al suo «continuo impegno nel sostenere le cause di giustizia sociale che le stanno più a cuore, tra cui la fame nel mondo, la violenza sulle donne e i diritti Lgbtq+». Prima di lei, erano state Person of the Year anche star come Carlos Santana, Ricky Martin, Placido Domingo e Julio Iglesias. «Laura è una delle artiste più talentuose e care della generazione», ha spiegato Manuel Abud, Ceo dei Latin Grammy Awards. «A 30 anni dal debutto, la sua voce straordinaria continua a rompere le barriere attraverso lingue e generi, affascinando il pubblico di tutto il mondo».

I Latin Grammy Awards scelgono Laura Pausini come Person of the Year 2023. L'artista italiana è la prima non spangola a vincere il premio.
Laura Pausini sul palco dei Latin Grammy Awards 2022 (Getty Images).

Entusiasta anche la stessa artista italiana, che il 10 novembre ha suonato proprio a Siviglia durante la prima tappa del suo tour in Spagna. «La lingua iberica mi ha aperto le porte sin da giovane», ha spiegato Pausini. «Mi ha fatto sentire a casa e mi ha ispirato ad andare avanti, esplorando e vivendo la musica senza confini. Posso solo dire grazie, di cuore, sono molto emozionata». La cantante ha poi festeggiato condividendo la notizia anche sul suo canale Instagram ufficiale. Vincitrice del Festival di Sanremo nel 1993 con il brano La solitudine, Laura Pausini vanta numerosi premi anche in campo internazionale. Spicca il Grammy Awards nel 2006 per Resta in ascolto, che accompagna ben quattro successi proprio ai Latin Grammy. L’artista si è infatti imposta nel 2005 come Miglior artista pop femminile, che si aggiunse al premio dei fan per la solista dell’anno. La versione spagnola di Io canto nel 2007 le garantì un nuovo successo, cui ne seguirono altri due nel 2009 e nel 2018 per Primavera in anticipo e Fatti sentire.

Latin Grammy Awards, le nomination della 24esima edizione

Durante la cerimonia del 16 novembre, che avrà in programma anche un’esibizione di Andrea Bocelli, si conosceranno i vincitori dei 24esimi Latin Grammy Awards. Per la canzone dell’anno sono in lizza, fra gli altri, Christina Aguilera con No Es Que Te Extrañe, Shakira con la virale Bzrp Music Sessions, Karol G e la sua Mientras Me Curo Del Cora, Maluma & Marc Anthony con La Fórmula e Rosalia con Despechá. Quanto al reggaeton spiccano i nomi di Ozuna & Feid, Tego Caldero e ancora una volta Karol G. Non mancheranno poi riconoscimenti per brani in portoghese, canzoni tejane e messicane, ma anche per le tracce di salsa, bachata e mariachi.

Sfera Ebbasta, già sold out il concerto gratuito a Milano

Sfera Ebbasta ha annunciato un concerto gratuito a Milano per lunedì 13 novembre, ma è già sold out. Il trapper infatti suonerà all’Allianz Cloud, palazzetto solitamente riservato alle partite di basket, alle ore 21 assieme ad altri artisti della scena italiana. Come confermato da Thaurus e Vivo Concerti, con lui ci saranno infatti i dj set di Shablo e Finesse. Spazio anche per il lancio di nuovi gadget esclusivi. Immediato l’assalto da parte dei fan al sito Ticketone, dove si potevano scaricare i biglietti di ingresso, tanto che nonostante il poco preavviso in meno di due ore è stato confermato l’esaurimento posti.

Sfera Ebbasta, i rumors su una nuova canzone con Lazza e Drillionaire

L’annuncio di un concerto gratuito di Sfera Ebbasta arriva proprio mentre si moltiplicano in Rete i rumors su un possibile nuovo singolo con Lazza e Drillionaire. Dopo aver dominato le classifiche italiane con le canzoni Bon Ton e Piove, i due trapper potrebbero presto unire nuovamente le forze per un brano pronto a far ballare le piazze e le discoteche del Belpaese. A spoilerare la hit sarebbe stato proprio l’artista medaglia d’argento a Sanremo con la sua Cenere tramite un video su TikTok. I fan, analizzando nel dettaglio i profili social dei due artisti, avrebbero anche decifrato il titolo della traccia, che dovrebbe essere G63. Durante il live all’Allianz Club di Milano, Sfera e Shablo potrebbero anche presentare alcuni inediti della loro nuova collaborazione, prossima all’uscita come confermato dallo stesso dj ai microfoni di Radio 105.

Sfera Ebbasta ha annunciato un concerto gratuito all'Allianz Club di Milano il 13 novembre. Biglietti già sold out in meno di due ore
Il tapper Sfera Ebbasta suonerà a Milano (Getty Images).

Grammy Awards, l’ex Ceo Neil Portnow accusato di stupro

Una cantante statunitense, protetta dall’anonimato, ha denunciato l’ex Ceo dei Grammy Awards Neil Portnow per violenza sessuale. I fatti risalirebbero al 2018 in una stanza d’albergo di New York. Sotto accusa anche la Recording Academy, il gruppo no profit che organizza gli Oscar della musica, per aver ignorato lo stupro nonostante ne fosse al corrente già almeno dal 2020. Immediata la replica del 75enne newyorkese, che ha risposto tramite un suo portavoce. «Si tratta di parole completamente false», ha spiegato in un’email riportata anche dal Guardian. «Senza dubbio, sono motivate dal rifiuto di Portnow di ottemperare alle oltraggiose richieste di denaro e assistenza della ricorrente per ottenere un visto di soggiorno». La notizia arriva a poche ore dall’annuncio delle nomination ai Grammy Awards 2024, attese alle 16.45 italiane del 10 novembre.

L’ex Ceo dei Grammy Awards avrebbe aggredito la cantante dopo averla drogata

Sebbene non si conosca l’identità dell’artista americana che ha sporto denuncia, i media hanno affermato che è una cantante di fama mondiale che, nel corso della sua carriera, ha suonato alla Carnegie Hall, una delle più importanti sale da concerto negli States che ha ospitato anche Beatles, David Bowie, Maria Callas, Tina Turner e Frank Sinatra. Secondo l’accusa, Neil Portnow avrebbe incontrato l’artista, che all’epoca dei fatti aveva 37 anni, nella camera di un hotel di Manhattan per questioni di lavoro. Prima di aggredirla sessualmente, le avrebbe offerto un drink che l’avrebbe stordita tanto da farle perdere conoscenza a intermittenza. La cantante ha ricordato poi di aver contattato già alla fine del 2018 la Recording Academy, che però non le ha creduto. «Riteniamo che le affermazioni siano prive di fondamento», si legge nella risposta ufficiale dell’epoca. «Vogliamo difendere vigorosamente l’Academy dalle accuse».

Neil Portnow, ex Ceo dei Grammy Awards, è stato denunciato per violenza sessuale da una cantante americana. La replica: «Parole oltraggiose».
Neil Portnow, ex Ceo dei Grammy Awards (Getty Images).

Non è però la prima volta che Portnow finisce al centro delle polemiche per il suo comportamento o per via di alcune dichiarazioni infelici. Nel 2019, l’anno in cui annunciò le sue dimissioni dalla carica di presidente e amministratore delegato dei Grammy Awards, dichiarò in piena epoca #MeToo che le donne della musica in tutto il mondo devono «farsi avanti se vogliono maggiori riconoscimenti». L’anno successivo, invece, emersero per prima volta le voci di una sua aggressione sessuale nei confronti di un’artista, prontamente insabbiate al fine di evitare lo scoppio di uno scandalo. Deborah Dugan, che aveva preso il posto di Portnow alla guida dei Grammy, avrebbe ricevuto forti pressioni arrivando a rassegnare le dimissioni dopo pochi mesi per aver cercato di portare a galla una serie di abusi nella musica.

Avril Lavigne e Sum 41 agli I-Days di Milano il 9 luglio 2024

Dopo i Green Day, attesi nella serata del 16 giugno, gli I-Days 2024 hanno annunciato altri due headliner. Il 9 luglio, all’Ippodromo Snai di Milano, sbarcheranno infatti Avril Lavigne e i Sum 41, attesi dalla loro ultima esibizione in Italia prima dello scioglimento. Deryck Whibley, Dave Baksh, Jason McCaslin, Tom Thacker e Frank Zummo saluteranno i loro fan dopo 27 anni di successi, suonando dal vivo le migliori hit e alcuni brani del doppio album Heaven :x: Hell, anticipato dal singolo Landmines. Lavigne invece tornerà a Milano dopo il concerto del 24 aprile 2023 al Forum di Assago con un viaggio attraverso un ventennio di carriera. I biglietti saranno disponibili in prevendita, per gli iscritti all’app I-Days, alle ore 11 di lunedì 13 novembre. La vendita generale aprirà invece il giorno seguente allo stesso orario su Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket. Il prezzo partirà da 50 euro.

Avril Lavigne e Sum 41, le anticipazioni del concerto agli I-Days 2024

Per i Sum 41 sarà dunque l’ultimo concerto in Italia. La band, nata nell’Ontario nel 1996, si scioglierà infatti dopo la pubblicazione di Heaven :x: Hell, atteso su tutte le piattaforme nella primavera del 2024. All’album seguirà il When the Sum Sets Tour, che li porterà a suonare nei maggiori festival e sui palcoscenici di tutto il mondo. Oltre alle tracce del nuovo disco, Whibley & Co. diranno addio al loro pubblico con i grandi successi che hanno caratterizzato la loro carriera. Quasi certa dunque la presenza in scaletta di In Too Deep, Fat Lip, The Hell Song e Still Waiting, capaci di scalare le classifiche globali e far vendere alla band oltre 15 milioni di dischi.

Dopo i Green Day, gli I-Days hanno annunciato i Sum 41 e Avril Lavigne per il live del 9 luglio 2024. Biglietti in presale dal 13 novembre.
Un concerto dei Sum 41 che saranno agli I-Days 2024 (Getty Images).

Quanto ad Avril Lavigne, la regina del pop punk di Belleville tornerà in Italia a poco più di un anno dal suo live al Forum di Assago. L’artista sarà protagonista di un vero e proprio viaggio attraverso la sua carriera ventennale, costellata di hit capaci di raggiungere la vetta dei singoli di Billboard. Partendo dall’album Let Go del 2002, che la lanciò nell’Olimpo della musica, canterà Complicated, I’m With You e Sk&er Boy per poi passare a The Best Damn Thing con My Happy Ending e Girlfriend. Fino ad arrivare al 2019 con Head Above Water, che l’ha riportata sulla scena musicale dopo la pausa forzata per combattere la malattia di Lyme, e all’ultimo album Love Sux con la collaborazione di Travis Barker dei Blink-182 e di Machine Gun Kelly.

LEGGI ANCHE: Green Day ai Magazzini Generali di Milano il 7 novembre

Club Dogo, Marracash, Salmo e Noyz Narcos: il ritorno dei big del rap

Marracash, 44 anni, a settembre ha chiamato all’adunata il pubblico del rap col suo Marragheddon, andando a mettere insieme il più grande numero di spettatori per un evento rap in Italia, 130 mila biglietti strappati per le due date di Milano e Napoli, record destinato a superarsi già il prossimo anno. Guè, Jake la Furia e Don Joe, rispettivamente 43 anni a dicembre, 44 e 48 anni, tornano insieme come Club Dogo, e subito scatta la dogomania, 10 date al Forum di Assago andate sold out nel giro di poche ore, per un evento che con circa 120 mila presenze entrerà a sua volta nella storia della musica leggera italiana. La presenza di Beppe Sala nel video che ne ha annunciato il ritorno a dare al tutto una mano di surreale. Salmo e Noyz Narcos, 39 e 44 anni, danno finalmente alle stampe il loro album insieme, atteso per oltre 10 anni, Cult, spopolando nelle piattaforme di streaming e andando a ridisegnare l’estetica del rap italiano, mai come in questo caso a tinte horror e con testi che vacillano tra il citazionismo cinematografico e il graffio punk. Tre situazioni che però, viste nell’insieme, sembrano volerci dire qualcosa.

Il miracolo del rap, 50 anni di vita e la capacità di apparire sempre the next big thing

Perché se è vero come è vero che mettere d’accordo tutti è impresa difficile in qualsiasi campo – figuriamoci nella musica dove generi, mode, addirittura metodi d’ascolto influiscono in maniera decisiva, andando di volta in volta a cancellare il passato prossimo a beneficio di chi vive il presente da protagonista – è pur vero che il rap, che proprio nei mesi scorsi ha soffiato metaforicamente sulle 50 candeline, sembra si stia proponendo, almeno in Italia, come un luogo dove le vecchie glorie hanno ancora parecchio da dire, anche a un pubblico di giovanissimi. È infatti innegabile come il rap si sia riuscito a mantenere negli anni un genere non solo capace di rinnovarsi costantemente, ma sia riuscito nell’impresa titanica di restare nell’immaginario collettivo come qualcosa di talmente nuovo da risultare quasi ancora da scoprire, come una delle tante next big thing con cui ciclicamente ci si ritrova a fare i conti. Sin dagli Anni 90, infatti, con la generazione precedente a quella dei vari Club Dogo, Marracash e Salmo, abbiamo assistito a una catena quasi destabilizzante di titoli che anno dopo anno gridava all’arrivo di una nuova musica, quel rap degli Articolo 31, per altro anche loro da poco tornati insieme e oggi fuori col singolo Classico, dei Sottotono, dei Frankie Hi Nrg, di Piotta, via via, scavallando il secolo, fino a Mondo Marcio, Fabri Fibra e, appunto, la covata degli artisti milanesi che proprio intorno alle Sacre Scuole ruotava, dai su menzionati Club Dogo a Marracash, sempre introdotti al pubblico come portatori sani di qualcosa di sconosciuto e innovativo, benché il rap esistesse negli Usa sin dagli Anni 70 e anche da noi fosse sbarcato ormai da tempo immemore.

Club Dogo, Marracash, Salmo e Noyz Narcos: il ritorno dei big del rap
Gli Articolo 31.

Il gran ritorno dei big della scena italiana: da Marra ai Club Dogo fino a Salmo e Noyz

Oggi, con una capacità di memoria pari allo zero – la vita degli artisti è ridotta a volte al breve lasso di qualche uscita, poi il veloce oblio, nella totale incapacità di sconfinare dall’alveo generazionale da parte di nomi che pur hanno l’attenzione anche del mainstream ufficiale, Amadeus e il suo Festival di Sanremo in testa – stiamo assistendo al ritorno massiccio e anche orgoglioso di chi la storia del rap, in Italia, ha contribuito a scriverla. Marracash, il rapper filosofo, a farsi catalizzatore per vecchi e giovanissimi andando a dar vita a un evento che suona come la prima vera e propria conta di chi quel genere lo ha praticato e lo pratica. Il Marragheddon è un po’ come come la Woodstock di chi ama barre e flow; i Club Dogo sono tornati in maniera spavalda, lanciando le date al forum di tre in tre senza neanche aver tirato fuori uno straccio di canzone nuova, solo contando sulla leggenda che col tempo si è radicata. Salmo e Noyz sbattono sul mercato un disco talmente atteso che ormai sembrava destinato a rimanere a vita nella lista dei desiderata, la presenza benedicente di Dario Argento a dare al tutto un’aura di ulteriore leggenda. Prendi due così e mettili insieme e non potrai che vedere un oggetto di culto, o di Cult.

Un conto è cantare la malavita, un conto è finirci dentro

Anche nel rap, ripetiamo, nato 50 anni fa nel Bronx e ormai divenuto lessico valido per tutte le lingue, dagli stacchetti delle veline di Striscia alle canzoni dello Zecchino d’oro – è possibile guardare al passato con timore reverenziale. Le vecchie glorie, esattamente come sta accadendo nel rock, sono ancora belle arzille, pronte a prendersi tutto quello che in gioventù, a causa dell’allora reale novità del genere in questione, non si sono potute prendere in chiave di riscontri di vendita e di pubblico. Il tutto senza neanche dover ricorrere a quella pubblicità certo molto “affascinante” se si è ragazzini che ancora nulla si sa della vita, discutibile per chi ha già il certificato elettorale dentro un cassetto, che la cronaca nera sta fornendo ai nuovi eroi della scena, da Shiva a Baby Gang, passando per Gallagher, Rondodasosa o Simba la Rue, perché un conto è cantare la strada e la malavita, un conto rimanerci incastrati dentro. Del resto, se si è agli arresti domiciliari, o peggio, a San Vittore, è difficile poter fare concerti mandati velocemente sold out.

Green Day agli I-Days di Milano il 16 giugno 2024: le info sui biglietti

I Green Day suoneranno agli I-Days di Milano il 16 giugno 2024. La band statunitense di Billie Joe Armstrong è la prima headliner della nuova edizione del festival nel capoluogo lombardo, che nel 2023 ha radunato in città 320 mila rockers. Per l’occasione, i ragazzi di Berkeley porteranno dal vivo The Saviors, il nuovo album in uscita il 19 gennaio e già anticipato dai singoli American Dream is Killing Me e Look Ma, No Brains, pubblicato il 2 novembre. Durante il concerto inoltre canteranno i migliori successi di Dookie e American Idiot, per festeggiarne rispettivamente i 30 e i 20 anni dall’uscita. Facile presumere che si potranno ascoltare When I Come Around e Basket Case, ma anche Wake Me Up When September Ends, Holiday e Boulevard of Broken Dreams. Con loro sul palco ci saranno anche i britannici Nothing But Thieves, che suoneranno il disco Dead Club City.

Green Day, dove comprare i biglietti per il live agli I-Days 2024

Per Billie Joe Armstrong e soci si tratterà del ritorno agli I-Days a due anni dall’ultima volta. I Green Day infatti furono ospiti del festival milanese il 15 giugno 2022, mentre il giorno dopo salirono sul palco del Firenze Rocks. I biglietti, che costeranno 56 euro, saranno disponibili in prevendita su My Live Nation dalle ore 10 di giovedì 9 novembre. La vendita libera aprirà invece il giorno successivo, alle 10.30 del mattino, sui circuiti Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket. I tagliandi, come già avvenuto per numerosi altri eventi dal vivo, saranno nominativi al fine di combattere il bagarinaggio online e il secondary ticketing.

I Nothing But Thieves suoneranno a Milano anche il 26 e 27 febbraio

Se per i Green Day dovrebbe trattarsi dell’unica data italiana del tour, per i fan dei Nothing But Thieves sarà invece la terza occasione di sentire i loro beniamini dal vivo. La band rock alternative dell’Essex guidata dal frontman Conor Mason sarà infatti sempre a Milano per due date al Fabrique il 26 e il 27 febbraio 2024. I biglietti sono già disponibili su Ticketone e Ticketmaster al costo di 41,60 euro. I britannici, già in Italia nel 2017 quando si esibirono prima di Blink-182 e Linkin Park a Monza, canteranno le loro hit di successo Welcome to the DCC e Overcome tratte dal nuovo disco.

I Green Day suoneranno il 16 giugno 2024 all'Ippodromo La Maura di Milano per gli I-Days. Con loro sul palco i Nothing But Thieves.
I Nothing But Thieves ad Aarhus, in Danimarca (Getty Images).

Mariah Carey di nuovo in tribunale per All I Want for Chrismas is You

Non c’è pace per Mariah Carey e la sua All I Want for Christmas is You. Andy Stone, paroliere e cantante country noto con il nome d’arte Vince Vance, ha infatti citato in giudizio la cantante per il secondo anno di fila, accusandola di avergli rubato il successo di Natale. Lo stesso autore aveva dapprima presentato e solo in seguito ritirato un reclamo simile nel 2022. Stavolta ci riprova portando, secondo i suoi legali, prove ben più concrete che confermerebbero il furto del brano da parte della star. Vance ritiene che Carey abbia violato i diritti d’autore della sua canzone registrata nel 1989 e diffusa ampiamente nel 1993 con la traccia omonima distribuita nel 1994. «La sua arroganza non conosce limiti», ha sbottato il cantante a Billboard. «Persino il suo coautore non crede alla storia che ha raccontato».

Mariah Carey si sarebbe inventata la storia sulla genesi del brano di Natale

«Ho scritto All I Want for Christmas is You quando ero davvero all’inizio della mia carriera», ha raccontato Mariah Carey nel 2021. «Pensavo ancora alla mia infanzia e a quanto desideravo vedere la neve ogni anno. Ho composto il pezzo su una tastiera Casio nella mia casa di New York, scrivendo di tutte le cose che mi facevano pensare al Natale». Una storia intima e tenera ma, secondo Vince Vance, del tutto inventata. «Ha spacciato come sua la canzone narrando una falsa storia di origine», hanno scritto i legali dell’autore nella denuncia. «È un chiaro atto di violazione perseguibile». In supporto della sua teoria, l’artista ha ricordato come Walter Afanasieff, che scrisse la canzone con Carey, abbia smentito la sua storia. In un’intervista del 2022, infatti, disse che era «impensabile che avesse composto il singolo su una tastiera Casio. È una teoria un po’ esagerata».

L'autore country Vince Vance, come fatto nel 2022, ha accusato Mariah Carey di avergli rubato la canzone All I Want for Christmas is You.
Mariah Carey durante un concerto natalizio (Getty Images).

L’accusa di Andy Stone, inoltre, presenta dettagli più accurati sulle grandi somiglianze che vi sono sia nel testo sia nelle note delle due canzoni. Sotto i riflettori infatti una «struttura linguistica unica» e l’utilizzo di vari elementi musicali copiati. «La combinazione della progressione di accordi nella melodia con l’aggancio letterale è un clone superiore al 50 per cento dell’opera originale», ha spiegato Stone. «Un caso che torna con la scelta del testo». Confrontando le parole delle due canzoni, come ha dimostrato il Guardian, molti termini si ripetono dando vita alle medesime immagini, dall’arrivo di Babbo Natale ai regali sotto l’albero. Vince Vance ha poi ricordato la presenza del singolo nel film Love Actually del 2003, che ha contribuito a dare un nuovo slancio alla canzone.

Il post su Instagram per annunciare le feste: «È ora»

In attesa di scoprire gli sviluppi sulla nuova accusa di Vince Vance, Mariah Carey si prepara per una nuova stagione di successo. Con un post su Instagram, l’artista ha dato il via alla feste di Natale “scongelandosi” per l’occasione. «È ora», ha scritto la cantante nel video in cui scaccia le maschere di Halloween indossando il costume di Babbo Natale. All I Want for Christmas is You ha raggiunto la prima posizione nella Billboard Hot 100 per quattro anni consecutivi, restandovi nel 2022-23 persino per 12 settimane di fila. Con l’avvento delle piattaforme streaming, la hit ha aumentato sempre più il suo consenso, tanto da non mancare dalle classifiche dal 2007. Nel 2022 l’Economist stimò 2,5 milioni di incassi annuali dalle vendite del brano online, arrivando a un totale di 72 milioni dall’uscita.

Videoclip d’autore, da Guadagnino a Tim Burton: i grandi registi nella musica

Cresce l’attesa per l’uscita di Now and Then, l’ultimo inedito dei Beatles in arrivo il 2 novembre. Al brano, che vanterà la voce di John Lennon e la presenza di Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, farà seguito il giorno seguente un videoclip diretto da Peter Jackson, già autore del documentario Get Back. Il neozelandese, noto regista de Il Signore degli Anelli, esordirà così nel campo musicale, seguendo una tendenza molto diffusa nella storia del cinema. Prima di lui, infatti, diversi cineasti di Hollywood avevano collaborato con le star del palcoscenico, dando vita a clip rimaste nella storia. È il caso di Martin Scorsese, che per Michael Jackson ha diretto Bad, o di Tim Burton, che ha lavorato al fianco dei Killers. Non mancano i casi in Italia, da Luca Guadagnino con Paola e Chiara ai Manetti Bros. per Piotta.

Peter Jackson ha diretto il videoclip di Now and Then dei Beatles. Da Guadagnino a Tim Burton, gli altri grandi registi nella musica.
Il regista neozelandese Peter Jackson (Getty Images).

I 10 videoclip musicali più famosi diretti dai grandi registi del cinema

Luca Guadagnino fra Ornella Vanoni, Elisa e il duo Paola e Chiara

Leone d’Argento a Venezia 2022 per Bones and All, Luca Guadagnino ha lavorato anche con le star della musica. Nel 2000 infatti diresse Paola e Chiara nel loro successo più iconico, Vamos a Bailar (Esta vida nueva), capace di far ballare spiagge, piazze e festival per un’estate intera. L’anno successivo, il regista di Chiamami col tuo nome e del remake di Suspiria ha lavorato anche con Elisa per il brano Luce (tramonti a nord est), vincitore del Festival di Sanremo. Nel 2021 invece ha diretto Toy Boy di Colapesce Dimartino e Ornella Vanoni.

I Manetti Bros. hanno diretto Supercafone di Piotta

Ben più vasta la lista di videoclip musicali che vantano la regia dei Manetti Bros., autori della trilogia di Diabolik giunta al terzo capitolo presentato alla Festa del Cinema di Roma. Il più famoso è certamente Supercafone, successo del 1999 targato Piotta con protagonista anche l’attore Valerio Mastandrea. I due cineasti hanno però lavorato anche con gli 883 in Come deve andare e Bella vera, oltre che con Alex Britti per le sue hit Mi piaci e Solo una volta. Senza dimenticare la collaborazione con Gigi D’Alessio per il singolo Il cammino dell’età.

Tim Burton, suo il videoclip di Bones dei Killers

Passando al campo internazionale, è impossibile non vedere il tocco di Tim Burton in Bones dei Killers. Il regista di Nightmare before Christmas e della serie Netflix Mercoledì ha infatti diretto nel 2006 il videoclip della band di Brandon Flowers in cui compare anche la modella Devon Aoki. Nel filmato i protagonisti, tra cui gli stessi musicisti, si trasformano in scheletri mentre si trovano in un drive-in. Burton ha collaborato nuovamente con i Killers sei anni dopo, nel 2012, dirigendo per loro Here with Me con Winona Ryder che racconta l’amore a tinte dark tra un ragazzo e la star di Hollywood.

Martin Scorsese e John Landis al servizio di Michael Jackson

Nel corso della sua carriera, Michael Jackson ha realizzato videoclip leggendari. Su tutti spicca Bad che nella versione integrale dura 18 minuti e vanta la regia di Martin Scorsese. Costato oltre 2,2 milioni di dollari, che segnò un record nel 1986, richiese quattro giorni di lavoro e fermò persino la produzione di un film. Il regista era infatti impegnato sul set de Il colore dei soldi con Tom Cruise e Paul Newman, ma mise in pausa le riprese per spostare la sua troupe a New York. Il re del Pop ha collaborato invece con John Landis, autore di Una poltrona per due e The Blues Brothers, per il suo singolo più famoso, Thriller, e per Black or White, in cui appare anche un giovane Macaulay Culkin, che interpreta un fan di MJ.

David Fincher ha diretto Madonna nel videoclip di Vogue

Regista di Fight Club e The Social Network, solo per citarne alcuni, David Fincher ha diretto il videoclip di Madonna Vogue. Girato in bianco e nero, richiamando il look dei film Anni 30, è considerato uno dei più belli di sempre, tanto da issarsi al 28esimo posto di tutti i tempi per Rolling Stone. I due avevano anche collaborato in precedenza per i singoli Express Yourself e On Father.

Xavier Dolan e Adele insieme per Hello e Easy on Me

Gran Prix al 69esimo Festival di Cannes per È solo la fine del mondo, il regista canadese Xavier Dolan ha diretto due importanti videoclip nella carriera di Adele. Sua infatti la mano dietro a Hello, che nel 2015 segnò il ritorno della cantante britannica dopo quattro anni di assenza. Girato a Montréal, racconta la stagione degli addii e l’abbandono con l’artista intenta a meditare sui ricordi in una casa spoglia e vuota. I due hanno collaborato anche per Easy on Me del 2021, primo estratto del disco 30.

Brian De Palma al servizio del Boss per Dancing in the Dark

Autore di Scarface, Carrie – Lo sguardo di Satana e del primo capitolo di Mission: Impossibile, Brian De Palma ha lavorato anche al fianco di Bruce Springsteen. Il regista americano ha infatti realizzato per il Boss il videoclip di Dancing in the Dark, brano del 1984 e primo estratto dell’album Born in the Usa. Nel filmato, che immortala anche la serata di apertura del tour omonimo della rockstar statunitense, è presente una giovanissima Courteney Cox, che all’epoca aveva appena 20 anni. Dieci anni dopo sarebbe diventata nota per aver interpretato Monica Geller nella sitcom Friends.

Marc Webb ha diretto il videoclip 21 Guns dei Green Day

Nel 2009, un anno prima di assumere la regia di The Amazing Spider-Man, Marc Webb lavorò a 21 Guns dei Green Day. Con la band aveva già collaborato per Waiting, mentre più recentemente ha diretto anche Avril Lavigne in Wish You Were Here e Zayn e Sia in Dusk Till Dawn. Nel filmato i due protagonisti, interpretati dagli attori Lisa Stelly e Josh Boswell, replicano anche la foto che campeggia sulla copertina di 21st Century Breakdown, album di Billie Joe Armstrong e soci che contiene il singolo.

Anton Corbijn fra Nirvana e Depeche Mode

Regista olandese di Control e Life, Anton Corbijn ha lavorato a numerosi videoclip musicali prima di iniziare la sua carriera a Hollywood. Il regista ha legato il suo nome principalmente a grandi star del palcoscenico, fra cui è impossibile dimenticare Nirvana e Depeche Mode. Per i primi infatti diresse nel 1993 Heart-Shaped Box, uno dei singoli più celebri dell’album In Utero, terzo e ultimo progetto in studio con Kurt Cobain uscito dopo il grande successo di Nevermind. Tre anni prima aveva invece collaborato con i Depeche Mode per il singolo Enjoy the Silence. Un cult che vede il frontman Dave Gahan nei panni di un re che attraversa Regno Unito, Svizzera e Portogallo.

Robert Rodgriguez con Demi Lovato, Lady Gaga e Ariana Grande

Grande amico di Quentin Tarantino, con cui ha collaborato per Kill Bill e Grindhouse, Robert Rodriguez è autore di film cult come Sin City, Dal tramonto all’alba e Machete. In carriera ha realizzato anche due videoclip musicali. Il primo risale al 2015, quando diresse Confident per Demi Lovato, che si trasforma in una guerriera action al fianco della special guest Michelle Rodriguez. Nel 2020 ha invece realizzato per Lady Gaga e Ariana Grande Rain on Me, incluso nell’album Chromatica. Il suo tocco è chiaramente visibile grazie all’atmosfera dark del filmato, girato in una città sotto la pioggia.

Cocktail d’amore, il nuovo singolo di Mahmood in uscita il 3 novembre

Mahmood annuncia il suo ritorno con Cocktail d’amore, il nuovo singolo in uscita il 3 novembre in radio e sulle piattaforme digitali.

Il singolo è prodotto da Dardust

Il singolo, scritto da Mahmood e prodotto da Dardust, è una ballad malinconica sulla fine di una relazione, che sfoglia con delicatezza i ricordi della coppia, dai viaggi ai momenti e gesti più semplici, fino a ripercorrere aspettative e desideri ormai annebbiati dai rimpianti. La cover del brano è stata curata dal visual artist e fotografo Frederik Heyman, che – con il suo immaginario surreale creato con l’ausilio della tecnologia 3D – ha collaborato con le più importanti star internazionali.

In primavera il tour europeo

Nei mesi di aprile e maggio 2024 si terrà l’European tour, 16 date che vedranno l’artista esibirsi nei principali club di 10 Paesi europei – fra cui Regno Unito, Francia, Germania, Spagna – per poi concludere con una tappa italiana al Fabrique di Milano, prevista per il 17 maggio 2024. Le prevendite e tutte le informazioni sul tour sono disponibili sul sito di Friends and partners.

Gli Articolo 31 sono davvero un Classico

Alla faccia della nostalgia. Gli Articolo 31, cioè J-Ax  e DJ Jad, tornano con Classico, un singolo che con la solita ironia che negli anni, decenni ormai, ci hanno fatto conoscere, sembra voler mettere tutti i puntini sulle i. Perché loro sono dei classici, non dei vecchi, un po’ come Vasco, ripetono nel ritornello, poi omaggiandolo citando Vado al massimo. E perché la nostalgia non sanno proprio cosa sia, men che meno si arroccano su posizioni generazionali, anzi.

Un Classico per boomer, presi a pizze in faccia, e per giovani «stupidi che preferiscono sognare»

Fermi tutti. Raccontare una canzone, converrete con chi scrive, è operazione futile quanto cringe, parola che nel testo della canzone trova ovviamente spazio, ma trovare oggi una canzone il cui testo abbia un peso specifico alto – non che non lo abbia anche la musica messa su per l’occasione da Jad – e che soprattutto pretenda l’attenzione non solo dei coetanei degli autori – quei boomer che nel medesimo pezzo sono legittimamente presi a pizze in faccia e «che risolvono complotti ma sbagliano i congiuntivi» – ma anche dei giovani che «non vogliono più lavorare perché sono pigri, che stupidi preferiscono illudersi e sognare, invece della paga in nero per lavori umili» – spesso bullizzati dai medesimi boomer, trattati come appestati, debosciati, introflessi su loro stessi e chi più ne ha più ne metta – è qualcosa di talmente raro da pretendere una celebrazione, oltre che una analisi. Il fatto è che gli Articolo 31, è vero quanto Ax recita nel ritornello, sono un classico, i titoli stanno lì per un motivo serio, in fondo. Classico, cioè una rara realtà che ha la stima non solo di chi c’era ai tempi in cui sono usciti, ma anche di chi è arrivato dopo, e magari li ha conosciuti nel lungo periodo sabbatico che i due vecchi compari si sono presi, salvo poi tornare insieme ufficialmente in occasione dell’ultimo Sanremo dove hanno presentato Un bel viaggio.

La parentesi di Disco Paradise

E se all’Ariston hanno presentato un brano che guardava al passato, senza recriminazioni, rimpianti o rimorsi, tanto per citare la banda Bonnot, due adulti che non fingono di essere ragazzini e che, usando un linguaggio comunque appetibile anche per i ragazzini, provano a cantare la vita e il ritrovarsi rappacificati con una serenità di fondo che in epoca di polarizzazioni ci aveva colpito non poco, stavolta decidono di premere sul tasto dell’ironia e lo sfottò, una delle frecce nella loro faretra praticamente da sempre, andando a mettere alla berlina tutti quelli che li hanno tacciato di nostalgia, così come quelli che li hanno poi tacciati di giovanilismo, questo a causa della hit estiva Disco paradise, in compagnia di un a sua volta, per Ax, ritrovato Fedez e della regina delle charts Annalisa, lì a farsi concorrenza da sola. A tal proposito, e giusto per esercitare un po’ di quella ironia, va detto che il tormentone – baciato dalle classifiche e dal gradimento del pubblico d’oggi, in prevalenza di giovanissimi, questo pur rimandando il brano a un passato anche passato per gli autori stessi, gli Anni 60 mica li hanno vissuti, Ax e Jad – è una canzone di una leggerezza che tende all’effimero. E non si leggano queste parole come quelle di chi adora l’effimero e non perde occasione per celebrarlo. No, è proprio una canzoncina irrilevante e questo nonostante la presenza degli Articolo 31 e di Annalisa. Fatto che, per una di quelle proprietà matematiche che proprio per il mio essere boomer  ho dimenticato (troppi anni tra me e la scuola) fa sì che io arrivi alla seguente teoria: le canzoni degli Articolo 31 mi piacciono, quelle di Annalisa mi piacciono, quelle di Fedez no, quindi, siccome Disco paradise non mi piace, è Fedez il problema, come quelle spezie che le usi e rovinano piatti che altrimenti adoriamo, ognuno di noi ha la propria, la mia è Fedez.

Gli Articolo 31 sono un Classico che non passa di moda
Dj Jad e Dj Ax.

Al bando la nostalgia per un passato non così da rimpiangere

Tornando però a Classico, ecco che la canzone, uscita alla mezzanotte tra giovedì 26 e venerdì 27 ottobre, come di prassi, è un brano che si fa ascoltare per il suo incedere baldanzoso e comunque appoggiato su solide basi rock’n’roll, e per un testo che è un incastro di schiaffi e buffetti. Chiaro per chi facciano il tifo gli Articolo 31, nell’eterna guerra tra generazione. Al centro la nostalgia per un passato che in realtà non è che sia poi così da rimpiangere sgretolata a colpi di piccone. La figura degli zombie nei parchetti, laccio emostatico al braccio e siringa buttata in terra, parla chiaro, come parla chiaro anche il palese affetto che il nostro, anzi, i nostri provano nei confronti dei giovani, troppo spesso tirati per la giacchetta da chi non perde occasione per dirsi migliore di chi è arrivato dopo. Un po’ un prendere le distanze dai propri coetanei, certo, ma una presa di posizione quantomai condivisibile: in fin dei conti non c’è di peggio di un boomer che non fa i conti con la propria anagrafe e decide di entrare in competizione con chi, nei fatti, dovrebbe essere accompagnato alla vita. La nostalgia quindi è messa al bando, o bannata che dir si voglia, mentre il concetto di classicità, usato con autoironia, non è poi così scherzoso come Ax e Jad vogliono farci credere, se è vero come è vero che praticamente tutti i rapper arrivati dopo di loro – e la storia ci dice che salvo quelli delle Posse tutti i rapper sono arrivati dopo di loro in Italia – hanno finito per riconoscere la loro primogenitura. Quelli nati dopo che loro già erano col microfono e i piatti in mano, rapper e trapper, riconoscono al duo una sorta di padrinato, sorte condivisa, lato pop, con Max Pezzali e gli 883: gli uni intenti a raccontare le periferie, gli altri la provincia.

Gli Articolo 31 sono un Classico che non passa di moda
Dal video di Classico.

Fregandosene delle convenzioni, J-Ax e DJ Jad si schierano senza se e senza ma con la nuova generazione

Il singolo è stato lanciato sui social dagli Articolo 31 con una iconica foto dei due che, braccia conserte dietro la schiena, guardano attraverso una rete un cantiere, titolo trasformato per l’occasione in Vecchi di merda- Classico, riprendendo un verso particolarmente identificativo del testo, difficile non capire da che parte stiamo i nostri eroi, anche volendo. I rischi dell’esercizio di stile, quando si è particolarmente talentuosi e la carriera e la vita ce lo hanno fatto capire è un attimo gigioneggiare camminando sul filo dell’autocompiacimento, è fugato dall’urgenza di prendere una posizione, decisamente impopolare: schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei ragazzi. Urgenza che sotto le mani di J-Ax e DJ Jad diventa però quantomai pop, al punto da generare una sorta di paradosso un pop impopolare. Converrete è qualcosa che solo chi è abituato a giocare con le parole è in grado di concepire. Così come è solo di chi si è abituato nel tempo a fregarsene delle convenzioni, surfando sempre in cima alle onde non perdendo mai di vista l’idea di divertirsi. La chiamano musica leggera mica per caso.

Gli Articolo 31 sono un Classico che non passa di moda
Gli Articolo 31 sul palco dell’Ariston (Getty Images).

Sala invece di celebrare il ritorno dei Club Dogo avrebbe potuto accompagnare gli Articolo in qualche vera periferia

Il sindaco Beppe Sala, invece di prestarsi a celebrare il ritorno dei Club Dogo, raccontando una Milano-Ghotam City di cui, sicuramente, non dovrebbe andare poi così fiero, avrebbe dovuto celebrare loro, gli Articolo 31, magari lanciandoli a passeggio per una di quelle periferie nelle quali sono nati e cresciuti, e che per questo hanno deciso di raccontare, quelle periferie che a occhio lui, Sala, si è dimenticato di frequentare, se non per gesti eclatanti quali l’incontro con il gruppo degli Seven 7oo, confondendo l’hype con la qualità, le pose con la vita vera. In fondo è anche di lui che si parla in Classico, a farsi i selfie coi calzini arcobaleno, salvo poi tuonare coi giovani della movida. Claudio Santamaria, nel video-spot del ritorno dei Club Dogo, che vede il primo cittadino coprotagonista, cita, senza però nominarlo, la famosa frase di Bertold Brecht «sventurato un popolo che ha bisogno di eroi». Qui tocca chiudere citando un Bakunin apocrifo, quando si corre il rischio di prendersi troppo sul serio è bene armarsi di ironia al grido di «una risata vi seppellirà», e gli Articolo 31 ancora una volta ci riescono.

TikTok annuncia il primo concerto live streaming con Cardi B e Anitta

Anitta, Cardi B, Niall Horan e Charlie Puth. Sono i quattro artisti che compongono la line up di In the Mix, il primo festival musicale di TikTok. La piattaforma social di ByteDance ha infatti annunciato che trasmetterà in live streaming un concerto esclusivo previsto per il 10 dicembre a Mesa, in Arizona. Altri cantanti inoltre si uniranno agli headliner, tra cui diversi giovani talenti che hanno guadagnato le luci della ribalta proprio con i loro videoclip sull’app. I biglietti per l’evento, che avrà luogo all’interno dello stadio di baseball Sloan Park, saranno disponibili in prevendita da venerdì 27 ottobre. I prezzi partono da 25 dollari per il prato, fino a 60 dollari per l’area parterre più vicina al palcoscenico circolare al centro dell’area di gioco. Bisognerà spendere 40 dollari per accomodarsi sulle gradinate. Non è ancora chiaro se e quanto bisognerà spendere per avere accesso alla trasmissione streaming.

In line up anche Niall Horan e Charlie Puth. Live su TikTok, l'evento in The Mix si svolgerà in Arizona. Dal 27 ottobre i biglietti online.
I quattro headliner dell’evento In the Mix di TikTok (X).

LEGGI ANCHE: Annalisa si è spogliata, alleggerita e ha fatto boom pure su TikTok

TikTok, chi sono le star dei social al concerto in live streaming

Accanto ai quattro headliner, che canteranno i loro maggiori successi recenti e del passato, TikTok ha poi annunciato la presenza di varie star della piattaforma. Ci sarà per esempio Isabel LaRosa, cantante classe 2004 del Maryland che nel 2021 ha firmato un contratto con la Rca Record proprio grazie al suo successo sui social. Il suo singolo I’m Yours, divenuto virale in Rete, ha totalizzato migliaia di visualizzazioni, tanto da essere pubblicato anche in versione accelerata, più adatta ai tempi brevi dei filmati online. Sempre dagli States, ma stavolta da Atlanta, arriverà la rapper Kalii, nome d’arte della 23enne Kaliya Ashley Ross. Con le sudcoreane Fifty Fifty ha cantato Barbie Dreams, parte della colonna sonora del film Barbie con Margot Robbie. Annunciata anche la presenza della rapper canadese di origini congolesi Lu Kala e per il musicista Sam Barber.

L’impegno di TikTok nella musica mondiale è già noto da tempo. In estate, per esempio, la società madre ByteDance aveva lanciato TikTok Music, servizio di streaming musicale su abbonamento ancora però non disponibile in Italia. Negli Usa avrà presto luogo un talent show che ricorda da vicino X Factor e The Voice destinato agli artisti emergenti. Denominato Gimme the Mic (in italiano, Dammi il microfono), il contest mirerà a scegliere il miglior hitmaker, che riceverà un premio di circa 2500 dollari. In collaborazione con Billboard, TikTok ha persino lanciato a settembre una speciale classifica dei brani più ascoltati e utilizzati per produrre filmati sulla piattaforma a livello planetario. Nella Top 50 di ottobre sono presenti, tra gli altri, Drake, l’immancabile Taylor Swift e Doja Cat.

La tragica attualità dell’opera The Death of Klinghoffer di Adams

Portare in palcoscenico la storia di oggi – così recente che ancora la tensione della cronaca cova sotto la cenere, così presente che la successione di tragici eventi sembra un ordine seriale non modificabile – è stata a lungo la sfida di uno dei più importanti compositori contemporanei, John Adams. Dal suo debutto con Nixon in China (1987), il 76enne musicista del Massachusetts, uno dei grandi nomi del cosiddetto minimalismo, ha variamente percorso le strade suggerite dagli avvenimenti contemporanei. Poco a che vedere – almeno sul piano dei soggetti – con la maggior parte delle scelte del caposcuola, Philip Glass, di 10 anni più anziano, che nell’ultimo ventennio del secolo scorso andava proponendo per la scena personaggi come Einstein o il faraone Aknaten, o Galileo Galilei, oppure faceva ricorso alla letteratura, com’è il caso di The Fall of the House of Usher, da Edgar Allan Poe, lavoro portato al debutto nello stesso anno in cui Adams raccontava in musica lo storico incontro fra il presidente Usa e Mao-Tse-Tung.

La tragica attualità dell'opera The Death of Klinghoffer di Adams
I ringraziamenti di John Adams dopo aver ricevuto il premio Erasmo nel 2019 ad Amsterdam (Getty Images).

Le polemiche su The Death od Klinghoffer a partire dalla prima a Bruxelles nel 1991

Il secondo lavoro per il palcoscenico di Adams, The Death of Klinghoffer (La morte di Klinghoffer), ha avuto una vita complicata fin dal suo primo apparire, al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, nel marzo del 1991, con la regia di Peter Sellars. E il motivo è facilmente intuibile. Si tratta infatti di una rievocazione del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro da parte di quattro terroristi appartenenti al Fronte per la Liberazione della Palestina, avvenuto nell’ottobre 1985. L’azione culminò nell’omicidio del cittadino americano di religione ebraica Leon Klinghoffer, che aveva 69 anni ed era costretto su una sedia a rotelle e dopo essere stato ucciso con due colpi di pistola fu gettato in mare dai terroristi. Concluso il dirottamento e arrestati i suoi responsabili, che furono processati in Italia perché la nave batteva bandiera italiana, a proposito specialmente di questo feroce delitto si scatenò la cosiddetta “crisi di Sigonella”, che vide i rapporti fra Stati Uniti e Italia arrivare al punto più basso dal Dopoguerra a oggi.

Le controversie statunitensi sul presunto antisemitismo dell’opera di Adams

Più che in Europa, l’opera ha avuto vita difficile negli Stati Uniti, a causa dell’aspra e prolungata, ricorrente controversia sul suo presunto antisemitismo, addebito sempre sdegnosamente respinto dal compositore, che ha ripetutamente affermato di essersi ispirato a un rigoroso equilibrio nell’illustrare le posizioni dei palestinesi e quelle degli ebrei. Posizioni riflesse nell’ampio spazio dato alle pagine corali nelle quali, appunto, i due popoli esprimono il loro sentire. In ogni caso, lo stesso Adams aveva provveduto almeno inizialmente (poi le esecuzioni integrali non sono mancate) a eliminare una scena dell’opera, nella quale i vicini di casa dei Klinghoffer negli States sono rappresentati secondo quelli che sono stati da più parti accusati di essere stereotipi antisemiti. E quella scena non è presente neanche nella sola registrazione discografica oggi reperibile. Ma il musicista ha tenuto la posizione sull’impianto generale del lavoro, nonostante nel tempo sia stato attaccato anche da intellettuali autorevoli come il musicologo Richard Taruskin.

Nel gennaio 2002 la prima a Ferrara pochi mesi dopo l’attacco dell’11 settembre

Rappresentata negli Stati Uniti, durante gli Anni 90 e i primi anni Duemila, sempre con accompagnamento di proteste, l’opera è approdata sul massimo palcoscenico operistico americano, quello del Met di New York, soltanto nell’autunno del 2014, a 23 anni dalla prima assoluta. In quell’occasione, è stata sospesa la programmata trasmissione in streaming della rappresentazione, scelta che ha causato la risentita protesta di Adams, ma lo spettacolo è andato in scena con il calendario stabilito senza ulteriori problemi. In quel momento, la prima assoluta in Italia (a quanto ci risulta, anche l’unica produzione) era già avvenuta da oltre un decennio. The Death of Klinghoffer è stata infatti rappresentata al teatro Comunale di Ferrara nel gennaio del 2002, pochi mesi dopo il sanguinoso attacco terroristico alle Due Torri dell’11 settembre 2001, in un intrigante allestimento firmato dal regista Denis Krief, poi replicato il mese successivo anche a Modena (direttore Jonathan Webb). Per capire il clima, nel novembre di quell’anno il coro dell’opera di Boston si era rifiutato di eseguire in concerto alcuni dei cori dei palestinesi e degli ebrei contenuti nella partitura. Nella città dei Finzi Contini, sede di una delle più importanti comunità israelitiche italiane, non si è dovuta registrare alcuna contestazione. Alla fine – chi scrive era presente – il successo è stato pieno.

La tragica attualità dell'opera The Death of Klinghoffer di Adams
La protesta degli studenti ebrei all’esterno del Metropolitan Opera in occasione della prima di The Death of Klinghoffer nel 2014 (Getty Images).Le grandi pagine corali che punteggiano il dramma 

Una drammaturgia essenziale da cui emergono l’ideologia e le radici culturali dei personaggi

Anche se tutta l’opera, a partire dal prologo con i suoi due grandi cori, si basa su una sorta di “simmetria” che in qualche modo mette di fronte la prospettiva dei palestinesi e quella degli ebrei, o più generalmente dell’Occidente, il tema politico finisce per essere trascinato dalla tensione dell’evento che si racconta, secondo una logica drammaturgica asciutta, essenziale. Ne sortisce una sorta di epica tesa, drammatica, densa di implicazioni psicologiche che non riguardano tanto i personaggi (sono quelli della cronaca, ma nessuno ha un reale rilievo individuale) quanto la loro ideologia, i loro sentimenti di popolo, le loro radici di cultura. La partitura di Adams ha molte più frecce al suo arco del ricorso agli stilemi ricorrenti del minimalismo musicale. Certo, rimane il gusto per i piani sonori ben definiti, omogenei, per le progressioni armoniche, per le tinte soffuse e le dinamiche sottili, per un’invenzione melodica a tratti rarefatta. Qui però, fermo restando un eloquio comunque trasparente e “comprensibile”, senza astrusità, s’impone anche una cifra espressiva effettivamente drammatica, molto ricca di sostanza ritmica, plasticamente teatrale. Non c’è distacco intellettualistico, ma partecipazione a tratti vibrante, comunque efficacemente comunicativa, specialmente nelle grandi pagine corali che punteggiano il dramma secondo una logica che affonda le radici nella tragedia greca e ha i suoi antecedenti musicali nell’Oratorio. Meno incisiva la scrittura vocale dei singoli personaggi, soprattutto per l’insistenza su un declamato anche duttile ma in qualche caso almeno rinunciatario nella sua ripetitività.

Il libretto di Alice Goodman non perde mai di vista il dramma di popolo

Il libretto della poetessa Alice Goodman (la stessa autrice di Nixon in China) è spesso ridondante, complesso nella gran mole di riferimenti coranici o biblici (l’autrice è anche ministra di culto della Chiesa Anglicana al Trinity College di Cambridge), ma non perde di vista, ed è essenziale, il filo rosso del dramma di popolo che racconta. E il dramma, da tutti i punti di vista, sta in queste atroci parole pronunciate dal terrorista Mamoud: «Il giorno che io / E il mio nemico / Staremo tranquillamente seduti / Ognuno dei due a esporre il suo caso / Sforzandoci di raggiungere la pace / Quel giorno morirà la nostra speranza / E anch’io morirò». Dopo 30 anni, parole ancora di sconvolgente e tragica attualità.

I Rolling Stones ci insegnano ancora cosa è il rock

Alberto Arbasino, fosse ancora vivo, avrebbe 93 anni. Mick Jagger e soci, oggi fuori con il loro nuovo lavoro Hackney Diamonds, ne hanno 80, chi più chi meno. Arbasino, tra le sue tante invenzioni letterarie – ricordiamo che a lui si deve l’iconica “casalinga di Voghera e quel “signora mia”, così snob da diventare simpatico – ha coniato la massima «si parte come brillanti promesse per diventare soliti stronzi, a pochi il privilegio di diventare venerati maestri». Parola più, parola meno. Ragionamento perfetto, buono per tutte le situazioni. Ma non per i Rolling Stones. Che hanno toccato tutte queste voci, per poi arrivare ben oltre il ruolo di venerati maestri: sono vere e proprie leggende viventi. Fatevi un giro in una qualsiasi città, specie quelle come Milano o Roma, infestate da cantieri, e vedrete come in genere passano le giornate i loro coetanei, a trascinare stancamente carrelli per la spesa, guardare come viene su quel palazzo, parlare stancamente su qualche panchina, se non in casa fissi su un programma qualunquista di Rete4. Questo mentre i, accompagnati dalle schitarrate iconiche di Keith Richards – il quale recentemente ha dichiarato di aver smesso da decenni con le droghe, questo dopo averci raccontato con dovizie di dettagli nella sua bio di essersi fumato anche le ceneri del padre morto – alternandosi tra classici rock’n’roll di matrice nera e ballad sdolcinate, tutte acustiche e archi, i nostri paladini ci dimostrano, oggi più che mai, che non solo il rock non è stato seppellito dalla trap, ma ci sono buone probabilità che le sopravviverà, mostrando sempre e comunque la lunga linguaccia, da poco apparsa anche sulle maglie del Barcellona.

Sarà il genio o una strana congiuntura astrale ma le canzoni girano che è una bellezza

Il disco, chiederà qualcuno? Ha ancora oggi senso tirare fuori un album? E ha senso tirare fuori un album di una band che da sempre, primi Anni 60, lavora su un unico mood? Sì, ha senso. Perché, sarà il genio, quello che li ha fatti assurgere a leggende, appunto, o sarà una strana congiuntura astrale che ciclicamente li vede al posto giusto nel momento giusto, ma questa manciata di nuove canzoni – nuove ma che potrebbero comodamente essere antiche – girano che è una bellezza, e girano anche nei cellulari, volendo, non necessariamente in stereo hi-fi. Partiamo con la decisamente funzionale Angry, funzionale per far discutere ma anche sufficientemente radiofonica per finire un po’ in tutte le airplay. I vecchietti in questione ben sanno che per arrivare al loro pubblico è meglio passare di lì che nelle Playlist di Spotify. Il lavoro si dimostra solido e impeccabile, con tracce sempre a fuoco e qualche picco in alto di quelli che ti fanno sobbalzare sulla sedia, se sei loro coetaneo una di quelle comprate in una televendita di Mastrota in tv, in regalo una bicicletta col cambio Shimano, immagino.

La dolce e smielata Depending on You è di quelle che, è scritto, finirà in una qualche scena strappalacrime di una commedia romantica grazie alla voce di Jagger sempre capace di creare empatia immediata con l’ascoltatore; Whole Wide World è un rockaccio amarissimo sulla brutta china che ha preso la loro città, Londra, e con essa tutto il mondo, con le chitarre di Richards e Ron Wood che si intrecciano come in fondo hanno sempre fatto. Poi arrivano le atmosfere rilassate e quasi caraibiche di Dreamy Skies, impreziosita dalla armonica del cantante e dall’hammond di una garanzia come Benmont Tench, direttamente dagli Heartbreakers del mai abbastanza compianto Tom Petty. Seguono la caciaresca Live by the Sword, con di nuovo tutti i componenti dietro i rispettivi strumenti, Charlie Watts redivivo compreso, miracoli della tecnologia, Bill Wyman figliol prodigo sempre gradito come l’ospite Elton John, e Tell me Straight, il classico momento Keith Richards, col rugoso asso delle sei corde anche al microfono.

I Rolling Stones ci insegnano ancora cosa è il rock
Keith Richards, Ron Wood e Mick Jagger (Getty Images).

Sweet Sounds of Heaven impreziosita dal genio di Lady Gaga e Stevie Wonder

Due due sono i punti che meritano particolare attenzione, e non solo da parte dei sodali della band che rischia di diventare la più longeva del pianeta. Parto dalla fine, e segnalo subito Sweet Sounds of Heaven, il gospel lunghissimo, oltre cinque minuti, praticamente quasi tre canzoni, stando ai diktat e standard imposti da Daniel Ek di Spotify, dove al fianco di Jagger c’è una artista che indubbiamente, destino permettendo, continuerà a lungo a stupirci per la sua geniale versatilità: Lady Gaga. Una canzone che prende il concetto di incedere del tempo e lo fa a pezzi, dimostrando come una bella canzone è in grado di superare le mode, la contemporaneità, puntando dritto dritto verso l’infinito e oltre, per dirla con Buzz. Lady Gaga, per altro, dei nostri vecchietti potrebbe essere più nipote che figlia, l’anagrafe parla chiaro. Una canzone che se fosse uscita negli Anni 60 avrebbe avuto esattamente lo stesso impatto, perché il rock’n’roll è questa cosa qui, signora mia, non certo solo una faccenda di pose e ammiccamenti, di cui comunque sia i Rolling Stones che Lady Gaga sono maestri indiscussi. Per la cronaca, alle tastiere c’è tale Stevie Wonder, perché se sei i Rolling Stones e chiami anche un Dio in terra come l’ex enfant prodige della Motown, il Dio prende e arriva.

Con Sir Paul McCartney in Bite My Head Off 

Arriviamo quindi a Bite My Head Off, che vede al basso Sir Paul McCartney, altro ultra 80enne piuttosto in forma, con un tour mondiale lì dietro l’angolo. Una canzone che è un vero pugno in faccia, violento e sardonico, dove i nostri si divertono a fare il verso, attenzione attenzione, vedi come a volte le leggende possono diventare volendo soliti stronzi, a quel punk che ormai quasi 50 anni fa aveva provato a mandarli definitivamente in pensione. Un brano punk rock storto, come il punk era per questioni spesso di incapacità, e come in fondo sono spesso state le canzoni dei Rolling Stones, sporche il giusto per graffiare le anime, capaci di profumare di sudore e umori vari, una certa idea di sesso sempre presente, anche quando apparentemente non sembra.

La carezza ai Maneskin e la certezza che il rock sarà anche da boomer ma è molto divertente

Hackney Diamonds sicuramente non farà mai i numeri di un Bad Bunny, e magari neanche quelli dei Maneskin, indicati proprio da Mick Jagger come la più grande rock band al mondo (nonostante siano italiani), fatto che lo ha lasciato stupito, ha dichiarato ai microfoni di 7 del Corriere della Sera, tanto quanto le sue parole lasciano stupiti noi: chissà se dobbiamo considerare Damiano e soci anche più grandi degli Stones. Il disco però ci regala almeno due canzoni che rimarranno nelle nostre orecchie parecchio, volendo anche tre, e che comunque ci dicono che il rock sarà anche una faccenda da boomer o da nostalgici, ma a volte essere boomer e nostalgici è proprio molto divertente.

Calcutta ci prepara al lancio di Relax tra trollate e genialità

Calcutta sta tornando. Coi suoi tempi, nello specifico cinque anni, ma sta tornando: è questione di ore e Relax sarà alla portata di tutti (uscirà il 20 ottobre). Compresi quanti hanno avuto occasione di vedere e sentire Edoardo D’Erme, questo il suo vero nome, a Roma, in quello che una guida turistica definirebbe il bellissimo scenario di Villa Medici.

Calcutta, Vascellari e la performance sotto forma di peep show

Sentirlo e vederlo, si fa per dire. E comunque in una situazione di relax. Le tisane che accoglievano su un tavolino coloro che si erano prenotati questo dovevano favorire, così come la musica dell’artista, appena sussurrata. Il verbo sussurrare sembra centrale in questa opera, ma per il resto tutti hanno dovuto prendere atto che l’attesa era parte dell’opera stessa, pazientando. Perché, sotto la guida dell’artista Nico Vascellari, artista visivo e musicista, colui che in qualche modo viene indicato come uno dei padri fondatori dell’indie italiano, detto anche itPop, ha dato vita a una performance artistica che era visibile e ascoltabile solo a distanza, accostandosi a fessure su una parete, che ricreavano il titolo dell’album, attraverso le quali era possibile sbirciare e origliare all’interno, dove Calcutta e i suoi musicisti, una performance ogni mezz’ora, eseguivano alcuni brani, vecchi e nuovi. Una sorta di peep show, di quelli che vanno di scena nei sexy shop di Amsterdam, ma con la musica invece del corpo di una donna al centro dell’attenzione. Una performance, appunto, non a caso diretta da un artista. Che però è stata scambiata da parte dei suoi fan, che in quanto tali dovrebbero essere ben abituati alle sue estrosità, per una sorta di trollata, come un tiro mancino giocato ai loro danni. O, a vederla dal lato positivo, come complicità tra artista e pubblico.

La trovata di lanciare su YouTube i testi di Relax sussurrati in Asmr da Sara J 

In realtà Calcutta è un artista e come ogni artista che si rispetti ha deciso di dar vita a una performance, unica e immagino irripetibile. Chi c’era c’era, gli altri sono dovuti farsela raccontare. Mentre Relax, il nuovo lavoro, è ancora tutto da scoprire. Siccome, però, siamo in un’epoca di frammentazione, ogni giorno una nuova notizia ruba la scena alla precedente, ecco che Calcutta assesta un altro colpo gobbo, andando a lanciare senza preavviso il suo lavoro su YouTube, con ore di anticipo sulla data d’uscita. E siccome l’album si chiama Relax, ecco che il cantautore laziale si è affidato a Sara J, una delle performer di punta della cosiddetta scena Asmr (acronimo che sta per Autonomous Sensory Meridian Response), per farcelo sussurrare. Invece di una versione ufficiale, suonata e ovviamente cantata da lui, magari anche con qualche featuring, la voce che si ascolta nelle 11 tracce, ovviamente a fatica, è quella di Sara J, che sussurra i testi delle canzoni sulle basi, immaginiamo ufficiali, che se ci sono sono però inascoltabili per noi comuni mortali. Questa cosa dell’Asmr è da tempo in voga su YouTube come su TikTok, e è una tecnica atta proprio a creare una condizione di estremo relax, quindi una scelta quantomai coerente quella di Calcutta, artista da sempre schivo, lontano dai riflettori, più propenso a far parlare di sé che a parlarne in prima persona. Trentacinque e passa minuti: tanti sono quelli presenti sul canale YouTube di Calcutta con la voce sussurrata di Sara J, testi che poi potremo ascoltare con la musica e la voce del nostro appena percepibili, neanche fossimo in una di quelle sale delle Spa dove si va per cacciare lontano lo stress.

Viva le trollate performance di Calcutta e largo all’avanguardia

Qualcuno avrà preso anche questa mossa come una trollata, inconsapevole che la musica, anche quella pop, è arte e da sempre la performance artistica è parte del mondo della musica leggera, basti pensare che quello che viene considerato uno dei classici del rock, l’album della banana di Andy Warhol tirato fuori dai Velvet Underground, era appunto nato nella factory dell’artista di punta della PopArt, come parte di un discorso artistico a tutto tondo. Benvengano quindi le trollate di Calcutta, artista che ci ha regalato negli anni una manciata di canzoni importanti, anche se a ragione gli si è stato imputato il dilagare di una scena che per un po’ di tempo è sembrata più dannosa che virtuosa. Ora non resta che aspettare che il disco esca e le canzoni, quelle vere, siano ascoltabili, sempre che anche in quel caso non ci sia di mezzo una qualche performance che faticheremo a codificare, ma sicuramente apprezzeremo. Largo all’avanguardia, pubblico di…

Maneskin, Damiano protagonista del nuovo video di Anitta

Anitta e Damiano David insieme per un giorno. O meglio, per un videoclip. La popstar ha infatti scelto il frontman dei Maneskin come protagonista per il filmato che accompagnerà l’uscita di Mil Veces, nuovo singolo in arrivo il 19 ottobre su tutte le piattaforme. A svelarlo è stata la stessa cantante brasiliana con un post sui profili Instagram e TikTok. «Ora sapete perché avrei registrato questo video altre mille volte», ha scritto nella didascalia, accompagnando un teaser del brano. «La mia ragazza per un giorno», ha invece commentato Damiano David. I due hanno così spento anche i rumors su una possibile frequentazione che avevano inondato i social network dopo le prime immagini dei due artisti assieme sul set. Il videoclip del brano Mil Veces, traducibile come «Un migliaio di volte», si presenta a tinte hot, con Damiano e Anitta nei panni di una coppia innamorata.

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Anitta, chi è l’artista brasiliana che ha scelto Damiano dei Maneskin nel video

Classe 1993, Anitta è ormai una delle popstar latine più affermate sulla scena musicale mondiale. Originaria di Rio de Janeiro, la 30enne ha esordito nel 2010 firmando il suo primo contratto discografico. Con il brano Show das poderosas, tre anni dopo ha ottenuto la fama e si è distinta come rivelazione nel suo Paese. Presto ha conquistato gli Mtv Music Awards e i palcoscenici più importanti, inanellando una serie di successi, tra cui l’Mtv Ema del 2015, prima artista brasiliana di sempre. Nella sua discografia conta varie collaborazioni con artisti reggaeton, tra cui le star J Balvin e Maluma. Nel 2020 ha conquistato anche l’Italia grazie ai featuring con Fred de Palma. Le loro Paloma e Un altro ballo, pubblicata l’anno successivo, hanno fatto ballare le spiagge e le discoteche durante le stagioni estive. A maggio 2023 ha aperto la finale di Champions League fra il Manchester City e l’Inter a Istanbul.

Damiano dei Maneskin nel nuovo videoclip di Anitta, in uscita il 19 ottobre.
Anitta sul palco del Global Citizen Festival 2023 a New York (Getty Images).

BTS, il 9 novembre su Prime Video il film-concerto Yet to Come

I BTS sono pronti ad approdare su Amazon Prime Video. Il 9 novembre sarà disponibile a livello globale Yet to Come, il film-concerto registrato nell’ottobre 2022 all’Asiad Main Stadium di Busan, in occasione della candidatura della città per Expo 2030. Il docufilm uscirà in contemporanea per 240 Paesi e comprende 19 canzoni della band sudcoreana leader del K-pop. «Siamo entusiasti di collaborare con Hybe (l’etichetta dei BTS, ndr.)», ha spiegato a Deadline David Simonsen, direttore di Prime Video per il Sudest asiatico. «Tutti noi non vediamo l’ora di deliziare i consumatori con questo live, consapevoli della popolarità dei contenuti sudcoreani in ogni angolo del pianeta».

BTS, scaletta e incassi al cinema del docufilm Yet to Come

Il 15 ottobre 2022 RM, Jin, Suga, J-hope, Jimin, V e Jungkook cantarono di fronte a 50 mila persone. Il live andò anche in onda sulla piattaforma Weverse con sottotitoli in inglese e cinese, per consentire a tutti gli appassionati del K-Pop di seguire il concerto in diretta. In scaletta 19 brani, presenti nell’album antologico Proof uscito nel giugno dello stesso anno. I fan hanno potuto accompagnare i sette artisti sulle note delle hit Dynamite e Butter, ma anche Idol, Run e Mic Drop. E ancora, i BTS hanno cantato Save Me, Butterfly e Fire, oltre ai successi For Youth e Boy with Luv. Il brano Yet to Come (The Most Beautiful Moment) da cui è stato tratto il nome del concerto ha invece chiuso la scaletta.

Amazon ha acquisito i diritti per Yet to Come, il docufilm dei BTS uscito al cinema a febbraio 2023. Uscirà su Prime Video il 9 novembre.
I sette membri dei BTS agli Mtv Emas 2020 (Getty Images).

Sbarcato nelle sale di tutto il mondo l’1 febbraio 2023, il film-concerto dei BTS ha totalizzato 29 milioni di dollari al botteghino internazionale. Ottimi anche i risultati in Italia, dove ha incassato 800 mila euro nel corso dei cinque giorni di programmazione. Numeri che però impallidiscono di fronte al successo incredibile che sta ottenendo Eras Tour, il docufilm di Taylor Swift che ha esordito con 128 milioni nel mondo dal 13 al 15 ottobre, di cui 746 mila nel Belpaese. Impegnati con il servizio militare obbligatorio in Corea del Sud, i BTS non pubblicheranno nulla assieme fino ad almeno il 2025. Nel settembre 2023 hanno tuttavia firmato un nuovo contratto con Big Hit Music, etichetta gestita sempre da Hybe, che produrrà il nuovo disco della band K-Pop.

Benji, un ritorno musicale del quale avremmo voluto fare a meno

Tiziano Ferro deve aver fatto scuola, perché se un tempo vigeva il detto “lavare i propri panni sporchi in casa”, sembra che oggi per promuoversi non ci sia di meglio che andarli a pulire davanti a uno schermo, di una tv o di uno smartphone dove si seguono social e videocast. Ultimo in ordine di tempo dei seguaci ferriani è Benji, al secolo Benjamin Mascolo, un tempo parte del duo Benji e Fede, a lungo in vetta alle classifiche di vendita con titoli fortunatamente presto rimossi dalla memoria collettiva. Diventato habitué  delle cosiddette cronache rosa per la liaison, ora finita, con Bella Thorne, ora è di nuovo pronto a sfornare musica in proprio, vai a capire se è una promessa o una minaccia.

La confessione fraterna a One More Time di Luca Casadei tra sessodipendenza, droghe e alcol

Conscio che oggi è tutto divenuto iperveloce, e quel che funzionava anche solo ieri in un battito d’ali diventa modernariato buono per un mercatino della domenica, Benji –  nonostante abbia 30 anni si fa chiamare ancora come fosse il protagonista di un cartoon giapponese – ha deciso di mettere in piazza un passato prossimo, va detto, piuttosto oscuro. Lo ha fatto andando nel luogo preposto a questo, e no, non sto parlando di Belve, ma di One More Time di Luca Casadei, seguitissimo videocast nel quale il di nero vestito videocaster tira fuori il peggio dai propri ospiti provando poi, come uno sciamano tirato a lucido per la Fashion Week, a farli rialzare. Questo il format del suo show, la storia di chi è caduto ma si è poi rimesso in piedi. Benji, chiamato a inaugurare la nuova stagione, non si è certo tirato indietro, anzi, ha sciorinato per quasi due ore tutti i dettagli più intimi e anche osceni della sua recente vita: il rapporto tossico con la bella Bella, la sessodipendenza, le orge (pensa te come siamo messi che a parlare di orge ancora si fa notizia), passando poi a un altro tipo di tossicità, quella da dipendenze chimiche e alcoliche. Il racconto di Bella che non gli apre la porta e lui, lasciati in casa tutti i vestiti, se ne va in giro nudo per le strade di Los Angeles sembra scritto da uno sceneggiatore che non ha aderito allo sciopero di Hollywood.

Benji, un ritorno musicale del quale avremmo voluto fare a meno
Benji nel video di Sobrio.

Parliamo di tutto tranne che di musica

Preciso preciso, perfetto perfetto, per far parlare di One More Time, Casadei sui social non ha mancato di confessare come il mettersi a nudo di Benji di fronte al microfono abbia in qualche modo creato tra loro un legame che va oltre la professione e anche oltre l’amicizia, quasi una fratellanza. Benji dal canto suo ha raccontato di come fosse diventato semplicemente un’appendice a racconti su altri. Era presente quando Conar McGregor ha steso Francesco Facchinetti, era presente qui e lì a fianco a Bella Thorne, insomma, era arredamento. Di musica, ovviamente, non se n’è parlato, e cosa vorrai mai dire di chi ha regalato al mondo pezzi quali… no, non fatemeli citare, li ho rimossi e così spero voi, e che nel tempo è riuscito a buttare quanto capitalizzato nel giro di pochi anni nel cestino della spazzatura, confermando di aver lavorato solo sulla sua immagine. La lite con Fede, del resto, fu causata da uno scontro dovuto proprio a questo.

Il lancio di Sobrio

Oggi Benji è tornato, di nuovo in piedi, per dirla con Luca Casadei, anche se con voce meno radiofonica e con un po’ più di capelli in testa. Dopo aver fatto un passaggio obbligato in quel de Le Iene – se non fai un monologo lì, vestito di nero, oggi come oggi, in pratica non esisti –  ecco la notizia che sta per tornare anche sul mercato discografico che nel mentre è decisamente cambiato: lo streaming è l’unica via percorribile e la trap la fa da padrona. Titolo della canzone, attenzione, Sobrio. Una canzone che si muove tra pop e urban, di una bruttezza che, come si dice in questi casi, fa il giro, però invece di fermarsi e diventare ai nostri occhi (orecchi) bella, continua come nella Ruota della Fortuna, fermandosi su Perde. Una canzone che parla di Bella Thorne, ovviamente. La sobrietà sarebbe dalle dipendenze in senso generale, quindi anche quella dall’amore tossico provato per lei, ma non fosse per questo mettere in piazza i fatti suoi non meriterebbe neanche uno sbadiglio. Benji è tornato, certo, e si dice sobrio, fatto che ovviamente accogliamo con piacere, per quanto si possa provare piacere per chiunque sta vivendo un buon momento su questo pianeta così martoriato. Ma quel monologo di nero vestito che sembrava tanto il discorso che si fa alla Alcolisti anonimi, anche su questo Tiziano Ferro nella sua docuserie è arrivato per primo, si sgretola nel momento in cui si ha la sensazione che tutto sia solo un goffo tentativo di promuovere un ritorno per il resto irrilevante.

Quell’autobiografismo morboso da cui non riusciamo a liberarci

Negli ultimi anni, forse per questo dominio delle charts da parte dei trapper e dei rapper, è passato per buono il concetto che la musica debba essere giocoforza autobiografica, restringendo in maniera asfissiante il campo visivo di chi scrive, e quindi di chi ascolta, per altro inducendo molti a credere di aver vissuto una vita comunque tale da essere raccontata nei minimi dettagli, e di essere raccontata in una qualche forma d’arte, sia essa musica, di questo parliamo, ma anche letteratura, pensiamo al boom dei memoir e dell’autofiction. Incrociare questo autobiografismo spinto con l’autobiografismo morboso di certi spettacoli televisivi, che non fanno altro che indagare in maniera indiscreta e volgare dentro le vite di gente che spesso conosciamo solo per questo, genera mostri che non credo ci possiamo permettere. La vita è già sufficientemente dura di suo, una nuova canzone di Benji, oggi, è forse troppo anche per noi, che sentita quella canzone tutto vorremmo essere fuorché sobri.

Ed Sheeran in Italia, l’8 giugno al Lucca Summer Festival 2024

Ed Sheeran torna in Italia nel 2024. L’8 giugno il cantautore britannico si esibirà al Lucca Summer Festival presso l’Area delle Mura Storiche per l’unica tappa nel Belpaese del suo Mathematics Tour, dove canterà il meglio dei quattro album Plus, Multiply, Equals, Divide e Subtract. Biglietti in vendita dal 20 ottobre alle ore 11 su Ticketone, mentre è previsto un presale da mercoledì 18 grazie a Radio105 previa registrazione sul sito ufficiale dell’emittente. Per combattere il bagarinaggio e il secondary ticketing, sarà consentito l’acquisto di due tagliandi nominativi per account. La disponibilità sarà limitata e, data la probabile forte richiesta, gli organizzatori consigliano di collegarsi in Rete agli orari indicati. Ed Sheeran sarà il secondo artista a unirsi al Lucca Summer Festival 2024, che ha già annunciato Rod Stewart per il 7 luglio con una tappa del suo tour d’addio.

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Ed Sheeran live al Lucca Summer Festival 2024: settori e prezzi dei biglietti

Come si legge sul sito ufficiale dell’evento, Ed Sheeran si esibirà a partire dalle 21.30 presso l’area concerti delle Mura Storiche. Il prato sarà diviso in due settori distinti A e B, dal costo rispettivamente di 100 euro e 78 euro, prevendita esclusa. Più caro invece il prezzo della gradinata laterale, dove per avere un biglietto occorrerà sborsare 130 euro più prevendita. L’acquisto sarà possibile mercoledì 18 e giovedì 19 ottobre sul sito di Radio105, dove ottenere un codice alfanumerico da utilizzare su Ticketone. Ciascun tagliando sarà nominativo, che si potrà cambiare fino al giorno del concerto. All’ingresso bisognerà esibire anche il proprio documento di identità.

Annunciata l'unica tappa italiana di Ed Sheeran l'8 giugno 2024 al Lucca Summer Festival. Biglietti in vendita su Radio105 e Ticketone.
Ed Sheeran sul palco con Eminem del 2022 (Getty Images).

Tornato su tutte le piattaforme streaming il 29 settembre con Autumn Variation, Ed Sheeran vanta numeri globali da record. Il suo disco Divide è il più venduto di sempre da un artista maschile nel Regno Unito e il singolo Shape of You ha il maggior numero di ascolti nella storia di Spotify. Primo solista britannico a poter rivendicare 52 settimane in testa alle classifiche inglesi, è alle spalle solo dei giganti Elvis Presley e Beatles. In carriera ha venduto 56 milioni di album e 150 milioni di singoli, oltre ad aver vinto 7 Billboard Awards, 7 Brit Awards e 4 Grammy. Vanta collaborazioni con artisti del calibro di Eminem, Elton John, Andrea Bocelli e 50 Cent. I suoi ultimo live in Italia risalgono al 2019, quando si esibì a Firenze, Roma e Milano. I fan potranno ascoltare dal vivo Bad Habits, Shivers, Thinking Out Loud e tante altre, tra cui le nuove hit Eyes Closed e Life Goes On.

Madonna, in scaletta per il Celebration Tour più di 40 canzoni

Madonna si prepara a iniziare il suo atteso Celebration Tour già sold out in tutta Europa. Sabato 14 ottobre, la popstar 65enne sarà alla O2 Arena di Londra per la prima tappa di una serie di concerti che, il 23 e il 25 novembre, la porteranno in Italia al Mediolanum Forum di Assago. In attesa del debutto, la Bbc ha intervistato il direttore musicale Stuart Price, che ha preannunciato uno spettacolo senza precedenti con oltre 40 canzoni in due ore di live. «Sarà un documentario sulla sua carriera», ha spiegato, anticipando la presenza di medley e brani integrali. «Madonna ha aspettative molto alte, ha sfruttato la sua convalescenza in estate per migliorare gli show e concentrarsi al 100 per cento su di essi». Il tour attingerà anche a quattro decenni di filmati d’archivio, registrazioni in studio originali e costumi classici per una vera festa musicale.

Madonna, la scaletta del Celebration Tour e l’assenza di una band

Per la prima volta da quando cantava nei club all’inizio della sua carriera, Madonna si esibirà da sola sul palco. Durante i live del Celebration Tour infatti non ci sarà alcuna band ad accompagnarla dal vivo, dato che lo show attingerà alle registrazioni originali delle canzoni. «Ci sono incisioni che non possono essere ricreate», ha spiegato Price. «Naturalmente, quando si tratta di Madonna, tutto ruoterà intorno a una contestualizzazione delle cose, alla ricerca di un modo per trasmettere messaggi forti». Specificando che i concerti non saranno una semplice «operazione nostalgia», il direttore musicale ha poi anticipato alcuni dettagli sulla scaletta. Ci saranno tutte le pietre miliari della sua carriera come Vogue,  Like a Prayer e Ray of Light, ma anche Live to Hell e Don’t Tell Me, i preferiti dai fan.

«Il vero problema è stato mettere in due ore di concerto oltre 40 canzoni», ha raccontato Price. «Abbiamo deciso di attingere a ogni momento cruciale della sua storia artistica». Stando alle anticipazioni, Madonna canterà integralmente circa 25 canzoni, mentre altre 20 faranno parte di medley oppure fungeranno da collante per spostarsi fra un momento e l’altro dell’esibizione. «Non è stato facile, ma lei è sempre forte e vanta un’interazione con il pubblico unica. Forse cambieremo lo show ogni volta». Non si escludono anche intermezzi acustici, seguendo la scia di quanto fatto da Taylor Swift durante il suo Eras Tour. «Madonna è molto dura con se stessa, è sempre intransigente», ha proseguito Price. «La persona che salirà sul palco ha però un aspetto incredibile e suonerà in modo altrettanto incredibile».

In corso le prove finali in un’arena segreta di Londra

Intanto, come hanno confermato alcuni media britannici tra cui il Sun, Madonna ha iniziato le prove finali del suo live a Londra. La popstar ha infatti affittato un’arena segreta per affinare gli ultimi accorgimenti. «In alcuni casi va avanti anche per 12 ore al giorno», ha detto una fonte anonima al tabloid inglese. «Il palco è il più elaborato che abbia mai avuto, sarà qualcosa di epico». Con lei tutto il team e i ballerini di supporto, che la seguiranno durante le tappe della tournée. Secondo Billboard, considerando anche i concerti negli Stati Uniti e in Oceania, Madonna potrebbe incassare circa 140 milioni di dollari in totale grazie a oltre 800 mila biglietti venduti. Gran parte dei proventi sarà devoluto in beneficenza al Raising Malawi e al Chema Vision Children’s Center.

Il 14 ottobre parte a Londra il Celebration Tour di Madonna, a novembre in Italia. In scaletta più di 40 canzoni, ma non ci sarà una band.
Madonna sul palco degli Mtv Vma 2018 (Getty Images).

The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito

Quale modo migliore di festeggiare il 50esimo anniversario di quello che è universalmente ritenuto uno dei più begli album di tutti i tempi, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, che andare a destrutturarlo, proponendone una versione dolente e intima, esattamente il contrario di quanto una celebrazione prevederebbe? È quello che ha fatto Roger Waters, a lungo iconica mente (e basso) del gruppo, che di godersi la terza età e l’indubbio status di mito del rock non vuole proprio saperne. Non solo è appena arrivata sugli ormai rari scaffali di dischi veri la sua nuova fatica The Lockdown Session, ma ha deciso di “demolire” un mito come la sua opera, rivendicandone di fatto la paternità assoluta.

Perché Roger Waters è una delle rare rockstar di questi tempi vili

Ma andiamo quindi con ordine. È vero, The Dark Side of The Moon è un album dei Pink Floyd che risente moltissimo dell’influenza e del talento di Roger Waters. Il fatto che si tratti di un’opera rock, ricordiamolo, nella top 100 Fimi ancora oggi, e che a distanza di 50 anni tenga ancora duro con oltre 50 milioni di copie vendute è un miracolo che nella musica cosiddetta leggera capita una volta ogni morte di papa. E il fatto che questo miracolo porti in tutte le tracce la firma di Roger Waters –  suoi tutti i testi, sue alcune musiche, tre in solitaria le altre tutte frutto di collaborazione con i singoli membri della band – pone il suo nome al centro della scena. Il suo però andare contro gli altri, Gilmour in particolare, è figlio di un discorso antico. Quale band ci sarebbe mai stata senza uno scontro tra due giganti, si pensi ai Beatles, ai Rolling Stones e giù a seguire. E inoltre è parte fondante di una mitologia personale costruita a suon di dichiarazioni polemiche, posizioni anche ostili – si pensi al suo rapporto con Israele – e un non voler fare e non volersi fare sconti. Tutto questo, complici canzoni e album immortali, ha creato una delle rare vere rockstar dei nostri tempi vili.

I brani vengono spogliati per dare centralità alla parola

L’idea di sviscerare lati oscuri del nostro essere e del nostro sentire – semplifico – prendono nella nuova edizione e versione di questo grande classico una forma insolita, minimale (per come possa suonare minimale un massimalista), malinconica. Ma queste a dire il vero erano già caratteristiche dell’opera originale che forse è addirittura impietosa, come è impietoso mettere in evidenza le cicatrici e le rughe che ci si ostina a non voler vedere accecati dall’amore, nello specifico l’amore per la musica ma anche per se stessi. The Dark Side of the Moon Redux è quantomai fedele all’idea di riduzione. Waters, cui tutti i collaboratori avevano sconsigliato di fare i conti in questo modo col suo passato, come se volesse sottolineare la centralità della parola, parola che occupa uno spazio fondamentale da tempo nei suoi live (i suoi discorsi sono parte integrante degli show al pari delle canzoni), ha deciso di denudare i brani, togliendo proprio le sonorità che Gilmour e Mason ci avevano messo. Non per disistima, che siano dei grandi musicisti lo ha sempre dichiarato, ma proprio per spostare l’accento sui testi che lascia immutati, arricchendoli però di piccoli inserti. La sua voce, ricordiamo che Waters ha da poco compiuto 80 anni, fatica a volte a reggere le melodie, seppur ridotte all’osso, ma lascia che la carica emotiva che trapela da ogni sussurro faccia il suo sporco lavoro. Un lavoro quindi rischioso, che Waters ha affrontato in solitaria visto che solo i suoi collaboratori erano a conoscenza del progetto, ma che alla fine ci regala la sua versione del capolavoro con tutte le note a margine, le sottolineature, come si trattasse del vecchio diario su cui quelle canzoni presero vita.

The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito
David Gilmour, Roger Waters, Nick Mason e Rick Wright nel 2005 (Getty Images).

L’attualità sinistra di The Dark Side of the Moon dovrebbe farci pensare

The Dark Side of the Moon Redux  si iscrive perfettamente in questa fase della sua carriera, in sintonia coi suoi ultimi tour, ma anche con i suoi ultimi lavori in studio. Un lavoro che si distacca da quanto presentato nel 2006 sul palco, quando ripropose l’intero album dal vivo, rimanendo però più fedele all’originale. E dal vivo i suoi sodali ripropongono suoni vicini a quelli di Gilmour e Mason che questa volta sono assenti giustificati: l’arte, quando è arte davvero, pretende i suoi sacrifici. Vedere come oggi, a 50 anni dall’uscita, i temi di The Dark Side of The Moon, pensati e scritti da Waters quando non aveva ancora 30 anni, suonino sinistramente attuali ci dice qualcosa su di noi che nessun libro di storia ancora ci ha riconsegnato. Vedere come a 80 anni Waters sia ancora lì a filosofeggiare potrebbe risultare un’ottima ancora di salvezza per un futuro più sinistro di quanto una mente fertile come la sua, forse, si sarebbe mai potuto immaginare. Sostituire il suono orchestrale e psichedelico col vuoto, la sottrazione, lasciando a una voce quasi cavernosa il compito di reggere il tutto ci dice invece di come il genio non invecchi, semmai cambi e tenda più che mai all’eternità.

Meta e Siae estendono l’accordo per la musica sui social

La musica resterà ancora su Facebook e Instagram. L’azienda di Mark Zuckerberg Meta e la Siae, Società italiana degli autori e degli editori, hanno infatti esteso l’accordo provvisorio siglato a maggio 2023 e in scadenza il prossimo 6 ottobre. La nuova deadline è fissata per il 31 gennaio 2024. «Utenti e creator continueranno ad accedere al catalogo Siae mentre portiamo avanti le negoziazioni per un’intesa a lungo termine», ha spiegato un portavoce di Menlo Park. «Abbiamo concordato una nuova estensione per la licenza». Nonostante la pace temporanea, il nodo non è ancora stato del tutto sciolto, anche se la nuova proroga può essere vista come un segnale positivo.

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Meta e Siae, le tappe della rottura e l’accordo temporaneo

Il caso era scoppiato a metà marzo 2023, quando la società americana, madre dei social network Instagram, Facebook e WhatsApp, aveva comunicato di non aver raggiunto un accordo con la Siae per il rinnovo della licenza sui diritti d’autore. Parallelamente, Meta aveva silenziato sui suoi social network le canzoni presenti nel repertorio della Società italiana degli autori e degli editori, bloccandone l’utilizzo per post e stories. La Siae, dal canto suo, aveva fatto sapere in una nota di non aver sottoscritto una proposta unilaterale della società di Menlo Park, restia a condividere i dati di riproduzione delle singole tracce musicali. «Un dato per noi fondamentale per capire l’offerta», aveva detto allora il direttore generale Matteo Fedeli. «Loro invece ci hanno messo di fronte a un numero, dicendoci di accettarlo oppure di andarcene».

Rinnovato fino al 31 gennaio 2024 l'accordo provvisorio tra Meta e Siae per la musica su Facebook e Instagram. Era stato siglato a maggio.
Le principali app di Meta, tra cui Facebook e Instagram (Getty Images).

Dopo una brusca interruzione, i negoziati erano poi ripresi nella seconda metà di aprile portando subito alla sottoscrizione di un accordo temporaneo il 15 maggio. «Crediamo sia importante collaborare con l’industria musicale e nel valore della musica italiana», aveva spiegato all’epoca Meta. «Ci auguriamo di poter trattare con SIAE come già facciamo con altri titolari di diritti in Italia». Le trattative proseguiranno, nel frattempo però influencer, creator digitali e tutti gli utenti di Facebook e Instagram potranno continuare a utilizzare i brani degli artisti tutelati da Siae nei loro contenuti. Almeno fino al 31 gennaio.

Perché la pausa di Tananai ci stupisce tanto

Tananai si ferma per qualche tempo, «un pochino» dice lui, e si ferma per fare mente locale su quel che è successo in questi due anni di ascesa e grandi successi e per mettersi a scrivere qualcosa di nuovo,  «che abbia senso di esistere», così da tornare con canzoni degne di questa bella storia. Uno dice: ok, e dove sta la notizia?

Uno stop necessario a capitalizzare quanto costruito finora

È normale che un cantante che nel giro di un paio di anni è passato dall’essere quello strambo e stonato a Sanremo – con una canzone certo orecchiabile, Sesso occasionale, cantata però talmente male da valergli un ultimo posto – a quello che mette d’accordo tutti – con, Tango, sempre a Sanremo, e con all’attivo collaborazioni importanti e un tour clamoroso –  decida di fermarsi per scrivere qualcosa di interessante, così da capitalizzare quanto accaduto fin qui. Se uno non si ferma, in fondo, come è possibile che produca qualcosa di buono? È normale alternare una fase di iperpresenzialismo a una di assenza, così da tornare più forte di prima e magari lasciare anche spazio agli altri.

La legge dello streaming: niente album ma un singolo ogni mese, senza pause

Normale? Mica tanto. Perché la contemporaneità, quella che ci vuole sempre più distratti, con la soglia di attenzione scesa pericolosamente sotto il mezzo minuto e i trending topic che si rincorrono alla velocità della luce, ci dice che tocca esserci sempre, alzare sempre il tiro, produrre e produrre. Del resto, parliamo di musica, Daniel Ek, che da Ceo di Spotify un po’ di voce in capitolo dovrà pur averla, ha parlato chiaro: basta album, tirate fuori un singolo al mese, così da rimanere sempre sulla cresta dell’onda. Un singolo al mese, senza soste, senza pause. La recente storia della discografia lo dimostra. Gli artisti accorrono a Sanremo perché sotto la cura Amadeus il Festival è diventato tutto: Sanremo, ovvio, ma anche Festivalbar, e volendo anche il Tora! Tora! (il festival della musica alternativa per antonomasia, ideato e realizzato da Manuel Agnelli prima di finire a X Factor, quando ancora ci credeva). E magari azzeccano anche il brano giusto. Neanche il tempo di disfare la valigia, però, e devono tirare fuori non più un album, come un tempo, ma un nuovo brano, magari con il feat giusto, e poi un altro ancora. E poi arriva il momento dei tormentoni estivi. Nessuno sembra volersi tirare fuori dalla pubblicazione compulsiva, brani su brani, la presenza costante nei programmi dedicati alla musica che sembrano tutti uguali. A inizio settembre all’Arena di Verona c’è stato un susseguirsi di eventi speciali con la stessa organizzazione, lo stesso cast e in un paio di casi anche gli stessi conduttori, da far sembrare la trama de Il giorno della marmotta una sorta di profezia miratissima. E ancora: comparsate in talk che, a loro volta, finiscono per assomigliarsi tutti. Perché se dici le stesse cose a intervistatori diversi finisci per rendere quel che dici talmente irrilevante da divenire solo “musica da ascensore”. I social, dimenticavo i social. La possibilità di farci sapere tutto quel che si fa, quel che si pensa, dove e con chi si è, senza mai perdersi niente ha reso anche questo mezzo centrale nella comunicazione dei cantanti.

Perché la pausa di Tananai ci stupisce tanto
Tananai al festival di Sanremo del 2022 (Getty Images).

Dall’ultimo posto di Sesso occasionale al botto con Tango: l’ascesa inarrestabile di Alberto Cotta Ramusino

Già, non perdersi niente. Il fatto è che la percezione costante, che spesso tracima in certezza, è che non ci sia poi molto da perdersi. Se si sparano 100 proiettili in poco tempo, a meno che non si sia in un film tipo quelli con Jason Statham dove si spara a raffica incrociando le braccia e tutti i colpi vanno miracolosamente a centro, è facile che si finisca per non colpire proprio nessuno. Di sparare a vuoto, con pallottole perse in un oceano di altre pallottole. Tananai, uno che in quanto a uso dei social si è dimostrato maestro Sensei, dopo la sconfitta a Sanremo 2022 ha dimostrato grandissima autoironia, finendo per diventare il vincitore morale dell’edizione. Anche perché i veri vincitori, Mahmood e Blanco, non è che abbiano suscitato la medesima empatia. Alberto Cotta Ramusino si è poi trasformato nella Next Big Thing, facendo il botto con Tango, riempendo i palasport e godendosi una popolarità crescente, debordante. Poi ci ha detto che si vuole fermare. Certo, nel comunicarcelo se ne sta lì con la faccia da schiaffi, i capelli spettinati, il torso nudo lasciato intuire, ma quel che dice è chiaro, encomiabile anche, sempre che rifuggire tutto ciò che è contemporaneo non risulti troppo da boomer. Però, è incontrovertibile, l’annuncio di un momentaneo stop, fosse anche un pit stop ai box, quindi roba di qualche mese, suona novecentesco. E fa rumore, soprattutto se ad annunciarlo è uno che il Novecento l’ha giusto intravisto, visto che Tananai è nato nel 1995.

Se manterrà la parola, allora potremo dire che il ragazzo si è fatto davvero uomo

La speranza – lo dicemmo anche quando oltre 10 anni fa Ivano Fossati annunciò il ritiro dalle scene – è che sia qualcosa di vero, non una boutade studiata per far parlare. Il fatto che si chiuda un articolo su Tananai – quello che stonava una canzone esile dal titolo Sesso occasionale all’Ariston neanche due anni fa e che quest’anno, dallo stesso palco, ha cantato una canzone d’amore sotto le bombe di Kyiv intonatissimo – citando Fossati, forse, dice già tutto. Daniel Ek se ne farà una ragione, i tanti fan forse meno: se manterrà la parola potremo dire che il ragazzo si è fatto davvero un uomo, e ascoltarlo con ancora maggiore curiosità quando deciderà di tornare.