Anastasi è l'ultimo ex calciatore italiano morto di sclerosi laterale amiotrofica. Mentre la federazione scozzese vieta le "incornate" ai bambini sotto i 12 anni. Cosa dice la scienza? Che i giocatori hanno tassi di mortalità più alti per malattie neurodegenerative, Alzheimer e Parkinson. Una volta nel mirino c'erano i palloni, ma anche adesso i rischi restano. Gli studi sull'argomento.
«Papà aveva la Sla», ha rivelato il figlio di Pietro Anastasi, morto venerdì 17 gennaio 2020 a 71 anni. «Gli era stata diagnosticata da tre anni, dopo essere stato operato di un tumore all’intestino. Ha chiesto la sedazione assistita per poter morire serenamente. Gli ultimi mesi sono stati davvero devastanti, ha scelto lui giovedì sera di andarsene». Il centravanti della Juventus Anni 70 e prima ancora del Varese “miracolo” del 1967-68 e dell’unico Europeo finora vinto, nel 1968, dall’Italia è il 41esimo calciatore italiano che dal 1941 muore della finora incurabile sclerosi laterale amiotrofica.
TANTE TEORIE: DAI FARMACI AI DISERBANTI
Ma da cosa dipende questa correlazione calcio–Sla? Forse dai colpi di testa, spesso finiti nel mirino anche in passato? In realtà non si sa esattamente. Teorie alternative parlano di eccesso di esercizio fisico, di possibile abuso di sostanze farmacologiche, di diserbanti e pesticidi usati per trattare i campi da gioco. Si sa però che qualcosa ci deve essere.
IL RISCHIO DI SLA È DOPPIO NEI GIOCATORI
Uno studio fatto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano fatto su 25 mila ex calciatori in attività tra il 1959 e il 2000 ha confermano che il rischio di Sla è tra loro quasi il doppio rispetto ai cittadini italiani normali: 3,2 casi ogni 100 mila persone contro 1,7. Negli ultimi anni la sopravvivenza media dopo l’insorgere del male è crollata: da 10-15 anni e a volte 18, a 3-5. E i colpi di testa sono sempre sul banco degli imputati.

IN UNA CARRIERA TRA I 50 E 100 MILA COLPI DI TESTA
La Federazione calcio scozzese ha imposto il divieto di colpire la palla con la testa ai minori di 12 anni. A ispirare la decisione uno studio della Stirling University di Glasgow su oltre 7 mila ex giocatori nati tra il 1900 e il 1976, da cui risulta come i calciatori abbiano un tasso di mortalità 3,5 volte più alto del normale per le malattie neurodegenerative, cinque volte per l’Alzheimer, due per il Parkinson e quattro per la Sla. Tutte malattie che sarebbero collegate non tanto al singolo colpo di testa, ma alla somma nel corso di una intera carriera: dalle sei alle 12 volte ogni partita, più gli allenamenti. Diciamo dunque tutti i giorni, e per una vita calcistica di una ventina di anni si oltrepasserebbero facilmente i 50 mila colpi di testa, per avvicinarsi ai 100 mila.
RISCONTRATO IN UN TEST LA PARZIALE PERDITA DI MEMORIA
La Stirling University ha inoltre fatto un test su 20 calciatori in attività, attraverso una macchina che riproduceva la forza di impatto di un cross da calcio d’angolo: una delle situazioni di gioco più frequenti. È stata riscontrata una perdita di memoria tra il 41% e il 67% nelle 24 ore successive.
LA DEMENZA DI ASTLE CHE HA SCOSSO L’INGHILTERRA
Della cosa si parla dal 2002, quando per via di un problema degenerativo al cervello morì a 59 anni Jeff Astle: già attaccante del West Bromwich Albion e anche della nazionale inglese. La figlia Alba denunciò che il male era stato provocato dal calcio, e che a 55 anni era assolutamente in forma quando un medico gli diagnosticò una precoce insorgenza di demenza. Subito dimenticò il nome della figlia, iniziando a palare della madre come se fosse ancora viva. Alba Astle alla Bbc disse anche che dopo l’inchiesta sulla morte il mondo del calcio aveva provato a «spazzare via il caso nascondendolo sotto un tappeto, come si fa con la polvere che non si vuole guardare e poi togliere».

LESIONI CEREBRALI CHE PORTANO ANCHE A DEPRESSIONE
Altri calciatori hanno poi avuto problmi del genere, compresi quattro membri della nazionale inglese che vinse il Mondiale del 1966: i difensori Jack Charlton e Ray Wilson e i centrocampisti Martin Peters e Nobby Stiles. Uno studio post mortem dello University College di Londra e della Cardiff University sul cervello di cinque ex calciatori professionisti e un dilettante che avevano giocato a calcio per una media di 26 anni e che avevano sviluppato casi di demenza dopo i 60 anni ha riscontrato in quattro casi encefalopatia traumatica cronica (Etc): un tipo di lesione cerebrale collegata a perdita di memoria, depressione e demenza.
CAUSA DI ALCUNI GENITORI AMERICANI CONTRO LA FIFA
Sulla base di questi studi, nel 2013 un gruppo di genitori statunitensi fece causa contro la Fifa e altre organizzazioni in un tribunale della California per «negligenza e trascuratezza» rispetto ai possibili danni prodotti dal colpo di testa. Dal 2016 la United States Soccer Federation ha dunque introdotto una nuova normativa in base alla quale sotto i 10 anni il colpo di testa è vietato, e tra gli 11 e i 13 anni è concesso in allenamento per non più di 30 minuti al giorno.
C’ENTRANO ANCHE I PALLONI
Peter McCabe, il presidente di Headway – una autorevole brain injury association inglese che si occupa di malattie neurodegenerative – ha però osservato che sarebbe necessario approfondire gli studi correlandoli anche ai palloni di oggi, prodotti con materiali diversi da quelli del passato. E qua bisogna appunto ricordare che se oggi il colpo di resta appare essenziale al calcio, in passato non è stato sempre così.

CON LA GOMMA LA SITUAZIONE È MIGLIORATA
In realtà, in effetti, il calcio moderno diventa possibile solo quando la vulcanizzazione della gomma rende possibile la fabbricazione di palloni diversi dalle vesciche di animale o sfere di stracci che si erano usate prima. Aggeggi quanto mai approssimativi, al tempo stesso complicati da afferrare e dalle traiettorie imprevedibili.
CUCITURE ALL’INTERNO E NIENTE PIÙ FERITE. MA BASTA?
Con la gomma divenne invece possibile specializzare da un lato palloni rotondi, che potevano essere calciati con precisione. Dall’altro palloni ovali, che potevano essere tenuti sotto il braccio con comodo. Nel 1863 si ebbe infatti la grande scissione tra palla ritonda e palla ovale. Nel 1871 ci fu la prima edizione della più antica competizione calcistica del mondo: la Football Association Challenge Cup, in Italia nota come Coppa d’Inghilterra. Nel 1871 nacque in Inghilterra la Rugby Football Union. Altri sport con diversi tipi di palla specializzati seguirono. Ma in quel calcio delle origini pur di cuoio il pallone era cucito all’esterno, e se si colpiva di testa proprio nel punto dove c’erano i punti il rischio era quello di doversi fare altri punti, in fronte. Per questo ci si andava con cautela: fino a quando proprio al Mondiale del 1930 non fu inaugurato un tipo di pallone dalle cuciture interne che evitava le ferite esterne. Ma i danni “interni” potrebbero essere rimasti.
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