Omicidio Pennasilico, confermate le condanne

“Azione unitaria, preparata e predisposta”.  La Corte di Cassazione con le motivazioni della propria decisione  mette una pietra tombale sulla sentenza per il delitto di Domenico Pennasilico per il quale da due mesi sono in carcere i fratelli Franco e Nicola Di Meo che  sconteranno 17 anni e 8 mesi di reclusione a testa stabilito dall’Assise Appello. Un anno e 8 mesi per Bruno Di Meo condannato in Assise Appello dopo l’assoluzione in primo grado.  Secondo la Procura, Franco Di Meo avrebbe ucciso Pennasilico, in un agguato nelle campagne di Giffoni Sei Casali, zona Cerzoni, dove la vittima si era recata con il figlio Generoso per recuperare dei bovini che pascolavano. Quasi contemporaneamente, a breve distanza, Pennasilico era stato colpito da un primo colpo di fucile, caricato a pallettoni, da altri complici, come riferito dalla vittima al figlio Generoso Raffaele, in una concitata telefonata nel corso della quale lo avvisava di mettersi in salvo. Una lite tra le due famiglie di pastori per motivi di pascolo, sarebbe alla base del delitto.  Il proiettile alla gamba recise l’arteria femorale, provocandone il decesso. A fare l’allarme e a sporgere denuncia ai carabinieri fu il figlio. Gli ermellini hanno confermato in toto il verdetto della Corte d’assise d’appello. Finanche il riconoscimento della responsabilità civile – nel concorso in omicidio e nella premeditazione – del figlio di Nicola, Bruno Di Meo, che in primo grado fu assolto proprio da quest’accusa e condannato ad un anno ed otto mesi per il solo reato di minacce nell’ambito di un “concorso morale” – derubricazione del tentato omicidio che gli era contestato – ai danni del figlio di Domenico, Generoso Pennasilico.  Scrive la Cassazione. “Si è trattato di un’azione unitaria preparata e predisposta in vista del prevedibile arrivo sul luogo teatro degli eventi dei Pennasilico nel tentativo di recuperare i propri animali dei quali i Di Meo, con i quali vi erano antichi rapporti di astio, si erano accorti.. ” La Corte ha tratto la conclusione che anche Bruno Di Meo ha posto in essere un ruolo qualificabile a titolo di concorso morale nell’omicidio. I giudici di appello hanno, inoltre, ricostruito l’utilizzazione, nella vicenda, di tre armi: una pistola e due fucili.

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