Colombo Labriola e Francesco Di Sano, coinvolti nel processo sui depistaggi, sostengono di essere stati «costretti a obbedire agli ordini»,
Due carabinieri imputati al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile nei confronti di altri due loro colleghi co-imputati per il reato di falso ideologico. Si tratta di Colombo Labriola e Francesco Di Sano, che intendono costituirsi parte civile nei confronti di Francesco Cavallo e Luciano Soligo, entrambi tenente colonnello e loro superiori in grado, dai quali – secondo i legali – avrebbero ricevuto disposizioni di modifica di alcuni atti. «L’ordine fu dato da chi, insistendo sulla modifica, sapeva qualcosa di più costringendo gli altri a eseguirla» – ha detto uno dei loro legali in aula. «Loro hanno subito un danno di immagine, come è successo per gli agenti della polizia penitenziaria».
«NON SAPEVAMO DEL PESTAGGIO»
«Non sapevamo del pestaggio», è la versione dei due. «Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi. C’è stata una strana insistenza nel chiederci di eseguire quelle modifiche che all’epoca non capivamo. Oggi sappiamo tutto e per questo abbiamo deciso di costituirci parte civile. Non siamo nella stessa linea gerarchica, l’abbiamo subita, erano ordini».
QUELLA CORREZIONE ALLA RELAZIONE
Francesco Di Sano e Colombo Labriola accusano quindi altri due loro colleghi superiori co-imputati, i tenenti colonnello Luciano Soligo e Francesco Cavallo. Una versione, la loro, che ha una data e un posto precisi: è il 27 ottobre 2009, cinque giorni dopo la morte di Stefano Cucchi, e il posto è la stazione di Tor Sapienza, dove Stefano era stato portato dopo l’arresto e dopo che – secondo la sentenza di primo grado dello scorso novembre – il giovane aveva già subito il pestaggio ad opera di altri due carabinieri. Il giorno dopo l’arresto, Francesco di Sano, che lavorava come piantone alla stazione di Tor Sapienza, dopo aver dato il cambio al suo collega Colicchio aveva trovato già Cucchi in camera di sicurezza e lo aveva visto dallo spioncino: per questo è una delle persone coinvolte poi per la redazione della relazione di servizio richiesta dalla scala gerarchica dopo la morte di Cucchi. E il 27 ottobre alla stazione di Tor Sapienza giunge il tenente colonnello Luciano Soligo, comandante della compagnia di Montesacro, di cui la stessa stazione è alle dipendenze. Soligo chiede al comandante della stazione, il luogotenente Colombo Labriola, di inviare via email il file con la relazione al capo ufficio comando del Gruppo Roma, il tenente colonnello Francesco Cavallo. Ma quest’ultimo rimanda indietro la mail con la nota “meglio così”, in cui reinvia i file con delle specifiche sulle modifiche delle annotazioni di salute. Labriola stampa il nuovo file e lo consegna a Soligo.
«NON AVEVANO POTERE DECISIONALE»
Il nuovo atto, modificato, ha però bisogno della firma di Di Sano, che quel giorno non lavora ed è in procinto di partire per la Sicilia dopo aver acquistato un biglietto aereo. «Prima di partire, devi firmare l’annotazione», gli avrebbe detto Soligo. Su quell’aereo Di Sano non riuscirà a salire e, intrattenutosi per molto tempo da solo con Soligo, alla fine firma quel nuovo documento. «Quel biglietto aereo l’ho perso, tanto che ricordo di essere dovuto poi scendere in Sicilia in macchina. Quel giorno ci fu un lungo colloquio con Soligo», spiega oggi Di Sano. Secondo lo stesso avvocato, quella serie di azioni è giustificata dagli ordini eseguiti secondo la gerarchia militare: «Di Sano e Labriola non avevano nessun potere decisionale, non erano di pari rango nei confronti di Soligo o di Cavallo». Dunque, sostiene la difesa, non aveva altra scelta: “dovevano ubbidire”.
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