La crisi della Rai meloniana tra flop, tagli e la complicata staffetta Sergio-Rossi

Ora tutti attendono con ansia le annunciate svolte di novembre: il piano industriale, il contratto di servizio, l’accordo definitivo (politicamente scottante) sul canone in bolletta, il possibile extragettito derivante dal recupero dell’evasione sul canone stesso. Con ansia perché l’ad Rai Roberto Sergio ha già spiegato: «Dal momento in cui riusciremo a chiudere» su questi obiettivi «la sostenibilità e l’efficienza è possibile, come il ruolo di servizio pubblico». Efficienza fa rima con tagli: c’è un disperato bisogno di risorse da investire sull’audiovisivo e sulla digitalizzazione, mentre il progetto media company, cui tiene tantissimo il direttore generale Giampaolo Rossi, langue e ha bisogno di una nuova spinta. Ecco, Rossi appunto. Sergio non manca di smentire le malelingue circa i rapporti difficili tra i dioscuri di Viale Mazzini: «Rossi e io stiamo lavorando insieme e porteremo entro fine novembre risultati che non si vedevano in alcuni casi dal 2008».

La crisi della Rai meloniana tra flop, tagli e la complicata staffetta Sergio-Rossi
Il dg Rai Giampaolo Rossi, l’ad Roberto Sergio e la presidente Marinella Soldi (Imagoeconomica).

La battaglia persa contro Mediaset e l’exploit di La7

Sarà, ma intanto la Rai deve far quadrare i conti e gli ascolti in picchiata non aiutano. I flop della nuova programmazione targata (politicamente) Giorgia Meloni si sprecano e adesso non resta che sperare in una ripresa con il ritorno, l’anno prossimo, di Massimo Giletti, mentre Matteo Salvini già si sfrega le mani. L’emorragia autunnale di telespettatori per la tivù pubblica è da allarme rosso: Canale5 è ormai avanti, mentre Italia1 è stabilmente sopra Rai2. L’ultima débâcle di cui si discute è Avanti Popolo (Rai3) di Nunzia De Girolamo, che alla prima puntata, martedì scorso, è stata stracciata dalle Iene ma battuta nettamente anche da Floris, Berlinguer e Fagnani. «Non siamo più un modello, ma stiamo rincorrendo il modello Mediaset», mastica amaro una fonte Rai che si sfoga con Lettera43, «Avanti Popolo è debole, si è fatto surclassare dalle Iene e si è fatto mangiare pure da Belve». Rai3 contro Rai2, ossia come farsi la guerra da soli. «Ma il vero problema è che sull’offerta complessiva non teniamo contro Mediaset». Nonostante la difesa a spada tratta di Sergio nei confronti di Pino Insegno, anche Il mercante in fiera viene considerato «un programma morto» dalle parti di Viale Mazzini. Marcello Ciannamea, direttore dell’Intrattenimento prime time, avrebbe detto internamente che serve tempo, bisogna aspettare e insistere perché poi la gente si abitua. Un concetto espresso dallo stesso amministratore delegato per giustificare alcuni dei flop. Sergio si è pure aggrappato alla surreale motivazione che la sera fa caldo, la gente esce e non guarda la tivù. Sì, peccato che il clima sia davvero torrido soltanto per la Rai, visto che nel frattempo Mediaset è pimpante e La7 sta facendo registrare veri e propri exploit. Tanto che, secondo quanto risulta a Lettera43, l’ad della televisione di Urbano Cairo, Marco Ghigliani, oltre a rallegrarsi dei risultati della sua azienda, si sarebbe stupito per il crollo di Rai3, la concorrente più diretta in termini di target.

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Nunzia De Girolamo e nella foto il marito Francesco Boccia ospite della prima puntata di Avanti Popolo! (da X).

Preoccupano i flop del melonianissimo Insegno, di Agorà e gli scarsi risultati di Balivo e Bortone

In tutti i casi, il melonianissimo Insegno è inchiodato al 2 per cento di share, anche perché «il programma rispecchia uno schema vecchio e finisce per cozzare con i pacchi, benché non siano in contemporanea: la gente non guarda due giochi televisivi uno dopo l’altro», riflettono in Rai. Tuttavia, la crisi di ascolti è endemica: Agorà di Roberto Inciocchi è in caduta verticale. Caterina Balivo, con La volta buona, non fa gli ascolti che nella stessa collocazione faceva Serena Bortone, la quale, a sua volta, va maluccio con Chesarà… su Rai3, facendo rimpiangere Massimo Gramellini che intanto vola su La7. In arrivo, nel frattempo, anche un programma di inchiesta, Far West, condotto da Salvo Sottile. Tornando a Nunzia De Girolamo, le sue bretelle costano carissime: 200 mila euro a puntata. «Hai voglia a parlare di tagli, quando poi ci sono situazioni del genere. Bortone, per dire, ha una pletora di autori. E intanto i direttori editoriali e di testata lamentano le scarse risorse umane a disposizione per far fronte ai molti impegni presi», denunciano diverse voci a Saxa Rubra. Dunque, il rischio è che ci si avviti in un circolo vizioso, per cui il crollo degli ascolti riduce le risorse pubblicitarie che a loro volta comportano tagli a danno dell’offerta e così l’audience si restringe ulteriormente. Un cane che si morde la coda. Il tutto è ancora più surreale alla luce della protesta in corso dei vigilantes Rai contro cambi d’appalto e tagli da 200 euro al mese (tra superminimi e buoni pasto) su stipendi di poco superiori ai 1.000 euro mensili.

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Serena Bortone nello studio di Che Sarà (da X).

Secondo i rumors Meloni ha voluto attaccare le opposizioni demolendo Rai3 ma a pagare è tutta la Rai

«Il cambio di narrazione voluto dal centrodestra fallisce perché manca la visione e i soggetti non sono credibili. Lo vediamo con i successi di Berlinguer a Mediaset e Gramellini a La7: la gente si fidelizza e segue determinati volti anche dopo il trasloco di rete. Paradossalmente alla Rai regge uno come Alberto Matano che è stato messo alla conduzione de La vita in diretta dalla gestione Salini, quando in Rai comandava il M5s. Ora però l’errore di Giuseppe Conte è stato non aver chiesto Rainews24, che loro concessero all’opposizione nel momento in cui governavano. È una questione di vero pluralismo», riflette una fonte esperta delle cose di Viale Mazzini. E aggiunge: «Meloni ha voluto demolire Rai3 per attaccare le opposizioni, ma sta pagando tutta la Rai. E intanto il Pd insiste su Mario Orfeo (direttore Tg3, ndr) che certamente non rispecchia il pensiero di Elly Schlein».

Il capitolo tg è un’altra ferita aperta

Il capitolo telegiornali è un’altra ferita aperta. In generale, gli ascolti sono in calo. Al Tg1 il direttore super-meloniano Gian Marco Chiocci è inviso al blocco storico di destra in azienda e risulta che gli abbiano chiuso i rubinetti in termini di risorse umane, malgrado si tratti della rete ammiraglia. Sul secondo canale, Tg2 Post non regge, sui numeri, il lancio della prima serata, tuttavia pare sia blindato perché si tratta di una rubrica molto amata dal direttore Antonio Preziosi e dal ministro della Cultura ed ex direttore del telegiornale, Gennaro Sangiuliano. In redazione gira una vecchia e feroce battuta: andava meglio anni fa quando il traino lo facevano i cartoni animati. Peraltro il Tg2 è stato ribattezzato malevolmente Tele-Tajani, visto che da luglio a settembre il ministro degli Esteri ha superato chiunque in termini di tempo-voce concesso, persino la premier Meloni.

La crisi della Rai meloniana tra flop, tagli e la complicata staffetta Sergio-Rossi
Gianmarco Chiocci (Imagoeconomica).

Scricchiola la “Rai dei generi” e la preannunciata staffetta Sergio-Rossi sarà difficile da gestire

Eppure il nodo della riforma dell’informazione non è all’ordine del giorno e Sergio taglia corto: «Non è nel piano industriale di novembre», ricordando che in passato molti dirigenti «sono caduti su questo tema». In compenso scricchiola la “Rai dei generi”, con i nove contenitori senza un coordinatore. Un assetto che non piace all’ad: «Non so se resteremo così». Si tornerà ai direttori di rete? Possibile. Adesso però in molti si chiedono: nella diarchia Sergio-Rossi chi si intesterà i flop televisivi a catena? L’amministratore delegato ci sta mettendo la faccia e lo si è visto anche con la difesa vibrante di Insegno. Ma se la responsabilità fosse di entrambi, è il ragionamento, entrambi dovrebbero dimettersi. In ogni caso, il Cda scade a luglio 2024: la presidente Marinella Soldi, dopo aver contestato le nomine di primavera, ha assunto un profilo basso. Chiaramente naviga verso altri lidi e l’ingresso nel board della Bbc sta lì a dimostrarlo. Lo scioglimento del Consiglio di amministrazione Rai, comunque, non viene anticipato per la delicata coincidenza politica con le Europee di giugno e la preannunciata staffetta tra Sergio e Rossi è un’operazione non più scontata e difficile da gestire, perché è storicamente complicato collocare un ad uscente in una posizione aziendale inferiore. La manovra si presenta ad alto tasso di tensione politica e a Viale Mazzini prevedono: «La Lega si metterà di traverso, c’è da scommetterci, perché Sergio rappresenta un po’ tutti, mentre Rossi è la massima espressione di TeleMeloni».