Il caso Alfieri travolge il Consorzio farmaceutico

di Peppe Rinaldi

 

E venne anche il tempo per il famigerato CFI, il Consorzio farmaceutico intercomunale. Avranno bisogno di quintali di farmaci miorilassanti o antidepressivi coloro i quali stanno per entrare nel tunnel buio e spietato che precede la cotta giudiziaria. Sarebbero già due (forse tre) le persone iscritte nel registro degli indagati dalla procura della repubblica di Salerno, in un filone di indagine assorbito, sebbene distinto, da quello principale che ha condotto dietro le sbarre il presidente della Provincia Franco Alfieri. Non è possibile escludere, allo stato, che se ne aggiungano nelle prossime ore altri perché la faccenda è davvero complicata, almeno quanto è stata scandalosa in anni di indifferenza della catena degli organi di controllo. Come per altre vicende qui accennate, anche per il Cfi si aprivano e chiudevano fascicoli di indagine come buste di snack e patatine, in modo che nessuno avrebbe avuto da dire, osservare, criticare e, quando non si aprivano, denunce ed esposti anche seri e dettagliati più di raccogliere polvere non ebbero potuto. La musica sembra cambiata, l’aria che tira è quella del guaio grosso, molto grosso. Ecco, quindi, che occorreranno molti calmanti perché la storia del Cfi si presenta per davvero come la madre di tutti gli scandali recenti della pubblica amministrazione. Nelle maglie della giustizia è caduta, dopo anni di caccia simulata o fittizia, una coppia di dirigenti (N.R. e F.S.) del CFI e un imprenditore del commercio di farmaci la cui identità è allo stato ignota, almeno a questo giornale.

 

Ipotesi di reato molto gravi

 

Bilanci falsi, anzi falsati sistematicamente di anno in anno. Casse sventrate. Debito alle stelle. Appropriazione di somme stratosferiche per sé e per amici, amichetti e amichette vari a seconda dello standard politico del momento e del Comune di appoggio. Manipolazione sistematica dei concorsi pubblici in un gioco di porte girevoli tra enti locali consorziati, Cfi, unità operative sul territorio. Sospetto commercio parallelo di farmaci, canali di approvvigionamento poco chiari nel corso del tempo, cui si è tentato di mettere una pezza di recente ma, a quanto pare, vanamente, questa parte dell’inchiesta è a se stante, una delle più complesse e delicate. Sfruttamento dei lavoratori, oltre 130 contenziosi in poco tempo e relativo affidamento di incarichi legali in una superfetazione del ricorso al patrocinio che, platealmente, veniva concordato con i vertici del Cfi per effondere danaro e fare clientele, tanto era tutto danaro pubblico. Utilizzo spregiudicato del capestro dei contratti a tempo determinato, rinnovati di volta in volta ma solo se ci si fosse mantenuti allineati e coperti e, soprattutto, si fosse stati candidamente omertosi per ciò che si vedeva e capiva di quanto accadeva sul posto di lavoro. Per non dire dei danni erariali che si dovranno pagare e per la qual cosa è già attiva da qualche mese la bradipica Corte dei Conti: basti pensare ad esempio che, non avendo il Cfi onorato molte cartelle esattoriali, la parte sanzionatoria pari al 30% dell’importo dovuto configura di per sé la fattispecie del danno richiamato, e qui è facile presumere che l’assunzione di farmaci calmanti necessiterà di un raddoppio viste le cifre che prima o poi qualcuno dovrà pagare: a meno che pure la Corte dei Conti non si riaddormenti, nel qual caso si vedrà. Intanto c’è la procura ordinaria. Se non abbiamo dimenticato altro in questa assurda sequenza di ipotesi di reato, che non si capisce come mai nessuno abbia notato per anni (alla procura di Nocera Inferiore non si contano i fascicoli giacenti), appare chiaro che la situazione non solo è grave ma è pure seria, parafrasando Flaiano.

 

Il ruolo del presidente della Provincia

 

Alfieri cosa c’entra? Alfieri era il dominus del Cfi, lo era diventato soprattutto negli ultimi anni non solo e non tanto per il suo ruolo di sindaco di Capaccio, che è uno dei soci del baraccone farmaceutico, ma proprio per la sua innegabile qualità di far rete e sistema, ipnotizzando un po’ tutti. L’inchiesta che per ora lo impegna (ufficialmente) solo per la questione Dervit e Cogea, come sappiamo non si esaurisce in questi due “semplici” filoni: il Consorzio ne è diventata parte importante e, in un certo senso, era pure ora che lo diventasse, tale e tanta è apparsa la disinvoltura con cui si è operato al punto da accumulare 12 milioni di euro di passivo. Per quel che si è potuto capire a tanto ammonta il buco sin qui scavato come una fogna pedonale di Gaza, ma se ad esso sommiamo il quasi mezzo milione di euro che uno solo dei dirigenti indagati è riuscito a ingoiarsi attraverso artifici e trucchi contabili (pure questi mai visti da nessun sindaco, nessun consigliere comunale, nessun giornalista, nessun carabiniere, nessun prefetto, nessun finanziere, nessun pubblico ministero e via elencando) oppure i 10mila euro mensili erogati a favore di coniugi/compagni/partner per chissà quanto tempo e, soprattutto, in assenza di autentica giustificazione tecnico-professionale, o, ancora, il carico finanziario determinato dalle assunzioni di parenti, cognati, amici, cugini e protegé vari della politica, diventa chiaro quanto lo sperpero di danaro pubblico rasenti l’inverosimile. Ovvio che ora da contabile il guaio sia diventato di natura penale e che, grazie sempre al fatto che al vertice della procura non c’è più chi doveva pensare alla propria carriera politica o a quella di propri congiunti, o era a caccia di incarichi extra magari in qualche università della Campania, le cose sembrerebbero tornare nell’alveo della normalità. Certo, siamo ancora in una fase iniziale e come spesso accade in queste situazioni può accadere di tutto. Alfieri, ad esempio, ha fatto assumere una cognata in una farmacia (P.V.) dopo che costei ha vinto il solito concorso in modo formalmente ineccepibile ma sostanzialmente truccato, contando sulla specialità di un esperto interno al Cfi, riconosciuto maestro di magheggi oltre che ardimentoso sfidante dei divieti della magistratura che lo avevano colpito due anni fa al punto da bazzicare stanze comunali ed enti vari, su tutti la solita Capaccio, con la disinvoltura di sempre: un motivo ci sarà stato. Non solo cognati e cognate, figli di direttori di banca (la propria), affini e congiunti anche di un consigliere comunale cilentano sommerso dai guai per la cocaina. Concorsi fasulli così come lo sono stati tanti tra quelli indetti nel corso del tempo tra il Comune di Cava dei Tirreni, Eboli, Capaccio, Ascea, Baronissi, Sant’Egidio, graduatorie taroccate da far scorrere muovendo pedine tra ente locale e Cfi, personale ora arricchito ora annichilito a seconda della vicinanza/simpatia con il gruppo dirigente del Cfi che, tra tante altre cose, in una serie di intercettazioni ambientali si è venuto caratterizzando per isterismi e perdita di controllo delle proprie emozioni. A tacer d’altro.

 

Guardia di Finanza al lavoro

 

La Guardia di finanza di Salerno sta lavorando, tra l’altro, su questa traccia: la manomissione degli ultimi bilanci aziendali e una sorta di miracolo che, in soli due o tre giorni, ha visto lo stesso Cfi approvarne uno palesemente taroccato. La materia è ostica e va tradotta nel modo più volgare possibile in favore dei nostri cinque indefessi lettori: in parole povere, truccavano i conti, lo sapevano al vertice del Cfi, lo sapeva Alfieri e lo sapeva l’assemblea dei sindaci, lo sapeva il Cda e pure il Collegio dei revisori, almeno quello che ha incredibilmente dato il via libera ultimamente.

Ma cosa sarebbe successo? Ecco una sintesi. Ad inizio di questo anno i revisori del Conto del Cfi, Ciro Di Lascio, Francesca Samà e Ciro Bartolomeo si insediano e scoprono che il bilancio del 2022 non è stato ancora approvato. Il Cfi, lo sappiamo, sosterrà sempre che è colpa dei comuni che non versano, di quello che non paga e quell’altro che ritarda e via piagnucolando: vecchia storia, però sembra che stavolta gli inquirenti non intendano bersela. Ma andiamo avanti. I tre non sanno come aggiustare la situazione, oggettivamente già in fase putrescente e non da oggi. Arriviamo a marzo, quando un ineffabile Cda del Consorzio manda una lettera ai sindaci di Eboli (Mario Conte), di Capaccio (Franco Alfieri) e di Salerno (Enzo Napoli), tutti e tre ovviamente a conoscenza dello sconquasso in corso e di cosa accadeva al Cfi. Ai primi cittadini si chiede di indicare i nominativi per la formazione del nuovo Collegio dei revisori cui trasmettere lo schema di bilancio 2022 per la relativa approvazione, visto che il citato collegio non aveva – a detta del Cfi – accettato l’incarico. Falso: l’avevano accettato eccome i tre membri, bastava fare una visura alla Camera di Commercio per verificarlo. E allora perché mandarono quella nota ai comuni? Le ipotesi degli inquirenti sono diverse: tra queste, il tentativo (maldestro) di sistemare le carte in qualche modo bypassando il collegio recalcitrante dei revisori. Ma a quanto pare è andata male.

A quel punto che succede? Che dal Cfi giunge una nota al Comune di Salerno e forse anche agli altri soci, nella quale si lamenta una perdita d’esercizio di circa 12 milioni (precisamente 11.323.137,12 euro): il Cda aveva in pratica stralciato poste dell’attivo dei bilanci precedenti che a loro volta avevano fatto emergere le cosiddette “sopravvenienze passive” per un importo di 400mila euro in più di quanto già indicato, legando il tutto alla voce “Oneri straordinari- Costi”. Questa differenza di 400mila euro circa a cosa è dovuta? Gli inquirenti sospettano che si tratti proprio della cifra che al vertice del Cfi ci si è auto-attribuiti: evidentemente 18mila euro annui previsti per legge a chi manda avanti questo tipo di baracca (essendo anche, contestualmente, dirigenti in altri enti locali) non erano sufficienti per vivere. Come era vitale e necessario, forse, dare circa 100mila euro ad un ex consigliere comunale di Baronissi il cui merito è essere intimo di uno dei capataz del Cfi.

Ma il miracolo avverrà di lì a poco: dimessosi il Collegio dei revisori, quello nuovo in due tre/giorni approva l’ennesimo bilancio falso. Tanto che vuoi che succeda? Così pensava lo stesso Alfieri. Poi è andata come è andata.

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