I cinque stelle hanno corteggiato il pm per propaganda elettorale. Poi pur continuando sulla linea «manettara» lo hanno dimenticato. Lui due anni dopo accusa Bonafede. Dando uno spettacolo costituzionalmente «indecoroso». L'opinione del direttore de L'incontro.
Dopo che il 25 luglio 2017 la sindaca di Roma Virginia Raggi conferì a Nino Di Matteo la cittadinanza onoraria di Roma, Beniamino Bonardi per il movimento la Marianna pubblicò un dossier che riepilogava tutte le cittadinanze onorarie che allo stesso Di Matteo erano state date, arrivando alla cifra di 37.
Il gesto di Raggi era il culmine di una campagna avviata nell’aprile dello stesso anno dal Blog di Beppe Grillo con un post intitolato «Solidarietà al pm Di Matteo» firmato dei neo-eletti. Mentre il 12 luglio la Stampa pubblicava l’indiscrezione che i 5 stelle avrebbero nominato Di Matteo ministro dell’Interno.
Meno di tre anni dopo, lo stesso Di Matteo chiede conto pubblicamente al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede perché non gli è stata più data nessuna carica e insinua addirittura che possano esserci stati di mezzo interessi mafiosi.
In realtà, spiega Bonardi a Lettera43.it, direttore della rivista L’Incontro, «la campagna era stata iniziata dal Movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino. E, successivamente, era stata fatta propria dal M5s. Di fatto però le forze politiche di ogni schieramento si sono accodate». Una campagna, aggiunge, che ha mostrato «una politica inginocchiata. Nessuno aveva la forza di sollevare una obiezione». Anche ora «un ministro e un membro del Consiglio Superiore della Magistratura che litigano per telefono in un talk show…Diciamo che è uno spettacolo costituzionalmente indecoroso».
DOMANDA. Perché a distanza di anni Di Matteo ha risollevato la questione?
RISPOSTA. Dovrebbe spiegarlo Di Matteo. Perché ha scelto questa modalità, una telefonata in una trasmissione televisiva, due anni dopo i fatti che ha raccontato. Armando Spataro è stato un magistrato che ha avuto il coraggio di fare un commento, in mezzo a tanti che sono rimati zitti. E ha detto né più né meno che Di Matteo così disonora le istituzioni. Alla fine è stata confermata l’antica regola secondo cui ogni ghigliottinatore finisce ghigliottinato.
Forse proprio pensando alla ghigliottina Pietro Nenni amava ripetere: “Il y a toujours un pur, plus pur, qui t’èpure”. C’è sempre un puro più puro che ti epura…
Certo, C’è sempre qualcuno più puro di te. C’è sempre qualcuno più giustizialista di te. Quando ti incammini sulla via del giustizialismo alla fine troverai sempre qualcuno che usa la via della ghigliottina contro di te. Cosa preoccupante e vergognosa, nel silenzio di tutta la politica.
E la politica?
È un clima generale. La politica tace perché ha paura della magistratura: almeno dal 1992. È una politica che è messa nelle mani della magistratura.
Che i cinque stelle dopo aver pompato i magistrati nella loro propaganda non ne abbiamo premiato nessuno, non dimostra uno scenario un po’ diverso?
Facciamo un passo indietro. Alla fine del 2014 il blog di Beppe Grillo aveva nominato “l’onesto” persona dell’anno, pubblicando una falsa copertina del Time con la foto di Di Matteo. Poi una delegazione composta dacon Di Maio, Di Battista e Fico, che erano andati da Di Matteo chiedendo una dichiarazione di Mattarella in solidarietà allo stesso Di Matteo. È seguita la campagna delle cittadinanze onorarie, e prima delle elezioni del 2018 è stata fatta uscire la voce di Di Matteo ministro. Così i cinque stelle hanno ottenuto il 33%, ma al ministero della Giustizia è andato Bonafede, e di Di Matteo si sono perse le tracce per due anni. Fino a quando non è arrivata la telefonata a Giletti.
Ma perché i cinque stelle una volta al potere hanno dimenticato Di Matteo?
Dal punto di vista politico i cinque stelle hanno continuato a essere giustizialisti, manettari e forcaioli. Non hanno cambiato di una virgola. Cosa sia successo nei rapporti con Di Matteo lo sanno loro, ed è anche una questione di scarso interesse, a un certo punto. Quello che erano prima hanno continuato a esserlo, senza cambiare di una virgola.
Di Matteo protesta a nome di chi si sente espropriato di un merito?
L’unica cosa certa è che Di Matteo è un membro del Csm. Indubbiamente guardando le ultime nomine viene il dubbio su cosa ci sia ancora in comune tra i cinque stelle di governo e i cinque stelle che avevano preso il 33% nel 2018. L’unica linea di continuità, in pratica, è il giustizialismo.
Sant’Agostino parlava di “felix culpa”. Non è che la non troppo edificante voglia di poltrone abbia comunque avuto l’effetto positivo di far affermare ai 5 stelle il principio dell’autonomia della politica?
Fatto è che da domenica sera abbiamo assistito a una scena dal punto di vista istituzional incomprensibile. Un membro del Csm contro un ministro. Il ministro che dice: «Le tue sono percezioni». Il membro del Csm che risponde: «No, sono fatti». Delusione, risentimento, «non mi hai nominato per nominare quest’altro», «nomino chi pare a me». Sono problemi tra di loro che hanno però portato a un grande danno istituzionale per tutti.
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