Sussulti di capitalismo privato animano importanti partite industriali e finanziarie. L’armatore Gianluigi Aponte dopo una non lunghissima trattativa ha finalizzato il suo ingresso in Italo, la fortunata (in primis per chi ci ha investito dall’inizio) compagnia ferroviaria che dal 2012 fa concorrenza sull’alta velocità alle Ferrovie dello Stato. L’armatore, napoletano di origine ma svizzero di portafoglio, da tempo ambiva a fare un polo integrato dei trasporti che comprendesse navi, treni e aerei. Per questo si era offerto di rilevare Ita Airways insieme a Lufthansa, ma come si sa è andata a finire diversamente. Capito che dentro al governo agiva un partito che non aveva alcuna intenzione di mollare la greppia dell’ex Alitalia, ha giratoi tacchi e se n’è andato. Ora torna sulla scena, ma invece degli aerei ha comprato i treni.
Nel governo Meloni c’è qualcuno che ha interesse a traccheggiare
Si era sussurrato di un suo possibile rientro nella trattativa per la compagnia di bandiera sempre accanto ai tedeschi, ma alla fine si è ben guardato di dar seguito. Aponte ha capito che, nonostante le rimostranze di Giorgia Meloni sull’Europa matrigna che frena la vendita, anche dentro questo governo c’è qualcuno che ha interesse a traccheggiare. Magari adesso con la scusa che tra Italia e Germania i rapporti sono ai minimi termini. Sta di fatto che Ita è ancora lì, sotto l’ala protettiva dello Stato e le scorribande della politica determinata a scongiurarne la privatizzazione. Che, se non arriva, richiederà presto un altro pompaggio di denaro pubblico, che va ad aggiungersi agli oltre 15 miliardi che i contribuenti hanno pagato nel corso degli anni per volare italiano.
Mediobanca, con chi si schiererà la cassaforte dei Benetton?
Voltando pagina, l’altra partita che arriva a compimento è la presentazione della lista di minoranza che si confronterà con quella del consiglio di amministrazione per il rinnovo dei vertici di Mediobanca. È una lista di cinque nomi che sta molto sulle Generali, nel senso di assicurazioni. Combattenti e reduci eredi (ma forse sarebbe meglio dire Erede) della battaglia per sovvertire gli assetti del più importante gruppo finanziario del Paese. C’è Massimo Lapucci, ex segretario della Fondazione Crt schieratasi all’epoca con Caltagirone e Del Vecchio.. E poi Sandro Panizza, ex top manager di Generali, e Sabrina Pucci, già consigliera del Leone ed ex consorte dell’attuale amministratore delegato di Edizione Enrico Laghi. Il riferimento parentale viene buono non per metere il dito tra moglie e marito ma solo per la curiosità di sapere con chi si schiererà la cassaforte dei Benetton, che ha in pancia un 2 per cento di Mediobanca, non noccioline, specie se i contendenti dovessero giocarsela sul filo.
Il ddl capitali dove Fazzolari spinge e Giorgetti frena
Alessandro, il leader della famiglia, all’indomani della guerra su Trieste, dove dopo qualche titubanza si era schierato con la coppia Del Vecchio-Caltagirone, aveva dato all’ad di Piazzetta Cuccia Alberto Nagel garanzie sulla tenuta dell’attuale governance. Laghi, invece, aveva rimandato la resa dei conti alla imminente assemblea di fine ottobre, considerando Mediobanca e non Generali (di cui peraltro è azionista di riferimento) la madre di tutte le battaglie. Non la pensa così Caltagirone, che pone tutte le sue speranze di rivincita sul colosso triestino sul prossimo rinnovo dei vertici, nel 2025. Giusto in tempo, quindi, per approvare un ddl capitali molto penalizzante nei confronti delle liste del cda e molto favorevole nei confronti delle minoranze. Forse troppo, esagerando. Se n’è accorto il Mef, e infatti il ministro Giancarlo Giorgetti vuole modificarlo. Non solo per questo, in verità. Il ddl capitali nella sua attuale versione gode del convinto avvallo di Palazzo Chigi via l’autorevole imprimatur di Giovambattista Fazzolari, sottosegretario e braccio destro (e anche un po’ sinistro) della premier. Ma con l’aria che tira nei rapporti tra Fratelli d’Italia e la Lega non è affatto detto che la cosa passi liscia.