
Gli ultimi aggiornamenti sulla guerra in Ucraina e le notizie di venerdì 18 agosto. Droni ucraini abbattuti su Mosca, raid russi su Zaporizhzhia e terminal petrolifero russo in fiamme nel Mar Nero.
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Carola Rackete sarà candidata alle elezioni europee del 2024 come capolista del movimento di sinistra radicale Die Linke. Lo aveva preannunciato il quotidiano tedesco Die Zeit ed è stata lei stessa a confermarlo su Twitter. La donna è famosa per essere stata al comando della nave ong Sea Watch 3 con cui ha forzato il blocco navale ai confini italiani, a Lampedusa, pur di far sbarcare i migranti recuperati qualche giorno prima. Spiegando i motivi per cui si candiderà, Rackete si è definita «una sorta di cane da guardia a Bruxelles» ed «ecologista di movimento senza iscrizione a un partito».
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Carola Rackete ha affidato il suo pensiero a un lungo thread su Twitter. «Amici, mi candido al Parlamento Europeo!», esordisce. Poi continua: «Non ve lo aspettavate? Allora indovinate con chi… con Die Linke! Perché io, ecologista di movimento senza iscrizione a un partito, sono attratta da Bruxelles e perché dobbiamo far rinascere il partito della sinistra tedesca? Lasciate che vi spieghi». Ha spiegato che «questa decisione non è stata facile per me» e che dopo essersi consultata con molti amici ha deciso di appoggiare il movimento Die Linke perché «vuole essere un progetto collettivo, anche se io sono particolarmente sotto i riflettori».
Leute, ich kandidiere für's Europaparlament! Damit habt ihr nicht gerechnet? Dann ratet erstmal mit wem… mit @dieLinke! Warum es mich als Bewegungs-Ökologin parteilos nach Brüssel zieht und weshalb wir die LINKE #GemeinsamNeu machen müssen, möchte ich hier erklären. pic.twitter.com/HUijQNioNL
— Carola Rackete (@CaroRackete) July 17, 2023
Rackete prosegue e spiega che «è la nostra occasione per rinnovare il partito» perché Die Linke «ha finalmente deciso di porre fine alle divisioni e ai racconti di cospirazione e di ricostruire». L’ex comandante continua: «Con la mia candidatura voglio aprire la strada a una nuova cooperazione tra i movimenti sociali e il partito. Voglio condividere il mandato con gruppi che altrimenti non avrebbero accesso al Parlamento: residenti nell’UE senza passaporto europeo e movimenti del Sud del mondo». E introduce uno dei temi centrali, quello ambientale: «Abbiamo appena vissuto la settimana più calda degli ultimi 120.000 anni. La catastrofe climatica sta avvenendo ora. È un prodotto della cattiva gestione capitalista e colpisce sempre chi è già in difficoltà, dall’est della Germania al sud globale. Questa catastrofe socio-ecologica può essere affrontata solo se mettiamo fine alla caccia al profitto, dove è in gioco la nostra sopravvivenza».
Seppur con alcuni emendamenti rispetto al testo della Commissione, è arrivato il via libera dell’Eurocamera alla legge per il ripristino della natura (Nature Restoration Law), progetto mirato al ripristino della biodiversità e al recupero delle aree naturali gravemente compromesse. La legge è passata con 336 voti favorevoli, 300 voti contrari e 13 astenuti. Ora potranno iniziare i negoziati legislativi con il Consiglio. Poco prima lo stesso parlamento aveva bocciato la richiesta di rigetto della legge avanzata dal Ppe e dai gruppi di destra.
«La nostra battaglia continua, senza natura non c’è futuro», ha dichiarato Greta Thunberg ai cronisti dopo il voto favorevole alla legge sulla natura. L’attivista ha poi aggiunto: «È scandaloso che si debba lottare per le briciole, questi problemi non dovrebbero neanche esistere». Così il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans: «È stato un testa a testa, ma cosi è la democrazia. Il parlamento ha un posizione negoziale, ora torniamo a negoziare e andiamo avanti a convincere anche chi non è ancora convito».
Oggi a #Strasburgo festeggiamo una grande vittoria del fronte Progressista, democratico ed ecologista al Parlamento europeo.
Gli sforzi delle destre non sono riusciti ad affossare uno dei caposaldi del #GreenDeal. #NatureRestoration #RestoreNature #EPlenary #NRL pic.twitter.com/bVmhulCoPg— Pina Picierno (@pinapic) July 12, 2023
«Oggi a Strasburgo festeggiamo una grande vittoria del fronte Progressista, democratico ed ecologista al Parlamento europeo. Gli sforzi delle destre non sono riusciti ad affossare uno dei capisaldi del Green Deal», ha scritto su Twitter la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno. Così Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra: «Quella di oggi è una grande vittoria in nome delle generazioni presenti e future».
La Nature Restoration Law, come già suggerisce il nome, è un provvedimento unico nella storia della comunità europea, che per la prima volta avrà una legge con una funzione non solo protettiva, ma proattiva. Proteggere la natura esistente è fondamentale ma non basta più: l’obiettivo è ripristinare quella perduta.
Un cittadino straniero ha aperto il fuoco all’interno dell’aeroporto internazionale di Chisinau, scalo della capitale della Moldavia. Ad annunciarlo è stato la portavoce della polizia, Diana Fetko, che ha spiegato come gli agenti fossero già all’aeroporto e che alcuni voli hanno subito dei ritardi. Gli spari hanno allarmato i passeggeri, fuggiti all’impazzata come testimoniano alcuni video sui social. L’agenzia russa Tass ha riportato una nota del ministero dell’Interno moldavo in cui si racconta la vicenda: «Uno straniero a cui è stato vietato l’ingresso nel Paese, ha aperto il fuoco contro una guardia di frontiera e poi si è barricato in una delle stanze. Le persone sono state evacuate dall’edificio».
Il primo bollettino diramato dalle autorità parla di almeno due morti. Si tratta di una guardia di frontiera e di un civile. Su Twitter il portale dell’Est Europa, Nexta tv, ha raccontato l’arrivo delle forze speciali Fulger, che avrebbero isolato la struttura e fatto evacuare tutti. Poi la cattura dell’aggressore, che è rimasto ferito in una delle sparatorie ed è stato arrestato. Lo confermano anche i media locali. Secondo Reuters, che cita fonti all’interno dei corpi speciali di polizia moldavi, l’uomo è arrivato dalla Turchia ma non ha ricevuto l’autorizzazione per entrare in Moldavia.
Local media reports indicate that special forces are preparing to storm the Chișinău airport. Currently, most of the passengers have been evacuated.
According to the latest information, one border guard and one civilian were killed during the shooting. https://t.co/r1WmzpAapc pic.twitter.com/vOpa5cuWUv
— 301 Military (@301military) June 30, 2023
Pulse media, ripreso anche dagli altri quotidiani e portali moldavi, ha rivelato un’indiscrezione secondo cui l’uomo che ha aperto il fuoco sarebbe un cittadino russo della milizia Wagner.
Se due indizi non sono ancora una prova, certo sembra davvero difficile considerali solo una coincidenza. Tre settimane dopo il primo strappo, il fronte sovranista europeo si è spaccato di nuovo. Giorgia Meloni da una parte, Polonia e Ungheria dall’altra. Il motivo è sempre lo stesso: la gestione dei migranti. Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, che di fatto dovrebbe sostituire il regolamento di Dublino, è visto come fumo negli occhi dalle parti di Varsavia e Budapest.
Teatro della nuova frattura è stato così il Consiglio europeo del 29-30 giugno durante il quale i due Paesi hanno deciso di imboccare la strada dell’ostruzionismo, rifiutandosi, al termine del primo giorno, di sottoscrivere qualsiasi documento conclusivo se non fossero state affrontate le loro perplessità sulle questioni migratorie. Che il clima fosse tutt’altro che idilliaco lo si era capitò già l’8 giugno quando, nel corso di un vertice dei ministri degli Interni europei in Lussemburgo, si era consumata la prima vera frattura tra Meloni e gli amici del gruppo di Visegrad. Il nuovo patto Ue sui migranti era stato, infatti, approvato con 25 sì e due no. Un’intesa considerata “illegale” da Polonia e Ungheria perché raggiunta con una maggioranza qualificata e non con il voto unanime.
Il no di Varsavia e Budapest è legato al meccanismo di solidarietà previsto dalla riforma: per il Paese europeo che si trova ad affrontare un afflusso straordinario di migranti, scatta il ricollocamento dei richiedenti asilo negli altri Stati membri. Chi si rifiuta di accogliere sarà costretto a pagare 20 mila euro a migrante. Strumento che, nelle intenzioni di chi vuole la riforma, serve soprattutto per andare incontro ai Paesi di primo approdo, come l’Italia. Tant’è che da più parti a Bruxelles si considerava proprio Giorgia Meloni come la vera vincitrice dell’accordo. “Sull’immigrazione ha vinto l’Italia” titolava per esempio Politico.eu in un articolo pubblicato il 21 giugno.
La premier italiana era riuscita a piegare soprattutto le resistenze della Germania: «I colloqui», racconta ancora Politico.eu, «erano sull’orlo del fallimento, come da anni. L’Italia voleva più autorità per rimuovere i richiedenti asilo respinti. La Germania temeva che ciò avrebbe creato violazioni dei diritti umani». Nonostante Berlino abbia sempre fatto valere, nelle trattative con gli alleati europei, la sua forza politica ed economica, a spuntarla in questo caso è stata proprio la premier italiana: «È stato un momento significativo. La Germania, il Paese più popolato dell’Ue e la sua maggiore economia, spesso ottiene ciò che vuole quando negozia a Bruxelles. L’Italia, con i suoi governi in continuo cambiamento, no. Questa volta, però, il clima è cambiato», continua Politico.eu.
Nonostante i successi celebrati anche dall’establishment europeo, Meloni non può gioire a pieno: i vecchi amici sovranisti che non sentono ragioni sono un problema. E per alleggerire il clima non può bastare l’elegante baciamano alla premier italiana a favore di flash del presidente ungherese Viktor Orban o le dichiarazioni pubbliche di grande intesa del premier polacco e principale alleato nei conservatori europei, Mateusz Morawiecki. La frattura c’è, basta guardare la contro-proposta, portata dal governo polacco al Consiglio europeo. Intitolata “Europa delle frontiere”, di fatto è un “no” a tutto: «No all’immigrazione clandestina, no all’imposizione di sanzioni pecuniarie o sanzioni varie».
Come spiega Europa Today difficilmente, però, l’accordo sul Patto Ue sui migranti verrà rivisto a livello di governi: l’iter legislativo andrà avanti, passando dal parlamento, per poi tornare al tavolo dei leader europei, dove non saranno necessari i voti di Polonia e Ungheria. Per l’Italia, l’importante è che l’ostruzionismo di Orban e Morawiecki non metta a repentaglio i passi avanti sulla cooperazione tra Ue e Tunisia. Dossier molto caro alla Meloni. L’obiettivo della premier è dunque ambizioso quanto difficile: mettere tutti d’accordo evitando la terza frattura in poche settimane con gli amici di Visegrad. Se non ci riuscisse, tre indizi finirebbero per essere la prova che nel sovranismo europeo qualcosa scricchiola.
A poche ore dal rogo del Corano davanti alla più importante moschea di Stoccolma, la Svezia incassa le critiche del mondo musulmano e del leader della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. Durante un evento del proprio partito, l’Akp, il presidente turco prende posizione e lo fa in maniera netta, condannando il gesto. «La Turchia reagirà nel modo più forte fino a quando non verrà condotta una lotta decisa contro le organizzazioni terroristiche e i nemici dell’Islam», ha dichiarato Erdogan. «Chi consente questo crimine con il pretesto della libertà di pensiero e chi chiude un occhio davanti a questa insolenza non raggiungerà i propri obiettivi. Alla fine insegneremo ai monumenti occidentali di arroganza che insultare i musulmani non è libertà di pensiero».
Quanto accaduto il 28 giugno a Stoccolma, dove un 37enne ha preso a calci il Corano prima di bruciarlo, rischia di compromettere ulteriormente i rapporti già tesi tra la Svezia e la Turchia. Da tempo Ankara si oppone all’ingresso del Paese svedese, storicamente neutrale, nella Nato. Il governo di Stoccolma deve avere i sì di tutti gli Stati membri e fino ad ora Erdogan e Viktor Orban, leader dell’Ungheria, hanno posto il proprio veto. Adesso appare ancora più difficile che il leader turco possa cambiare idea. Erdogan si fa portavoce del mondo musulmano e l’11 luglio, al vertice Nato di Vilnius, sembra ormai scontato l’ennesimo no.
Intanto le proteste generate dal rogo del Corano montano sia in Iraq sia in Marocco e in diversi altri Paesi musulmani. A Baghdad l’ambasciata svedese è stata presa d’assalto da alcuni sostenitori del leader sciita Moqtada al Sadr. I manifestanti hanno fatto irruzione e sono rimasto all’interno per un quarto d’ora prima di andare via all’arrivo delle autorità. Distribuiti anche volantini con la frase: «La nostra Costituzione è il Corano». Bruciate diverse bandiere arcobaleno, simbolo della comunità Lgbtq+. Il Marocco intanto ha richiamato il proprio ambasciatore in Svezia parlando di «nuovo atto offensivo e irresponsabile» che «ignora i sentimenti di oltre un miliardo di musulmani, in questo periodo sacro del grande pellegrinaggio alla Mecca e della festa benedetta di Eid al Adha». Proteste anche in Egitto, Iran, Arabia Saudita, Kuwait, Siria, Emirati arabi uniti, Palestina, dai talebani in Afghanistan e dall’Hezbollah libanese.