A ottobre del 2023 il presidente uscente dell’Argentina, Alberto Fernández, visitava Pechino salutando la Cina come una «vera amica». Durante il suo mandato si era speso in prima persona per rafforzare i rapporti con il Dragone su più fronti, dall’economia alla tecnologia, e nel febbraio 2022 aveva fatto aderire il suo Paese alla Nuova via della seta. In tempi più recenti si era persino travestito da traghettatore per portare Buenos Aires nel gruppo dei Brics. L’irruzione di Javier Milei alla Casa Rosada minaccia ora di stravolgere l’assetto economico e geopolitico del sistema argentino. Quello stesso sistema plasmato dai suoi predecessori, e orientato in maniera evidente verso la Cina nel tentativo di risolvere i cronici debiti nazionali.
Il neo leader, un anarco capitalista, ultra liberista e feroce oppositore del comunismo, ha passato la sua campagna elettorale dicendo che, in caso di vittoria, non avrebbe mai negoziato con i comunisti. Al contrario, ha espresso la volontà di legare il destino argentino a quello degli Stati Uniti, con tanto di proposta di dollarizzazione dell’apparato economico nazionale.
Milei sarà solo un populista di facciata o diventerà alfiere di Washington?
La Cina ha studiato con attenzione Milei, ma deve ancora capire se, da qui ai prossimi anni, si ritroverà a che fare con il classico politico generato dalla tradizione populista sudamericana – e cioè uno di quei personaggi appariscenti e ruspanti agli occhi del popolo, ma razionale e realista dietro le quinte – oppure con un ferreo alfiere di Washington. Nell’ultimo caso, sarebbe un bel problema per Pechino. Che, temendo il decoupling argentino, ha pensato bene di inviare un messaggio al neo presidente del Paese.
Minacce dalla futura ministra degli Esteri Diana Mondino
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, ha dichiarato che lo sviluppo delle relazioni bilaterali con l’Argentina ha mostrato un buono slancio e che sarebbe un «grave errore» per Buenos Aires tagliare i legami con Paesi come Cina e Brasile. Le prospettive però non sono affatto rosee. Perché mentre Mao ripeteva che «le due parti hanno una forte complementarità economica e un enorme potenziale di cooperazione», Diana Mondino, economista destinata a diventare ministra degli Esteri del governo Milei, dichiarava invece che l’Argentina avrebbe smesso di interagire proprio con il gigante asiatico. Una minaccia aggravata da altre dichiarazioni di Milei, che nelle ultime settimane ha paragonato il governo cinese a un assassino e affermato che «il popolo cinese non è libero».
I numeri dell’economia argentina sono disastrosi
Fin qui la politica parlata. Poi ci sono i numeri dell’economia argentina che raccontano una situazione disastrosa. E che potrebbero spingere Milei a non tagliare i rapporti con Pechino. Le casse del governo e della banca centrale di Buenos Aires sono vuote, l’inflazione viaggia attorno al 143 per cento, il debito pubblico sfiora i 420 miliardi di dollari e il tasso di povertà è galoppante (a settembre ha raggiunto il 38,9 percento, circa 18 milioni di persone, il dato più alto in 17 anni). Non è finita qui, perché l’Argentina deve gran parte dei suoi debiti, 44 miliardi di dollari, al Fondo monetario internazionale, che nel recente passato ha più volte offerto prestiti al Paese latinoamericano.
Default nazionale evitato pagando l’Fmi con lo yuan, la valuta di Pechino
Per alleggerire questa situazione, i predecessori di Milei hanno chiamato in causa la Cina, ben felice di consolidare la sua presenza in una nazione situata nel cortile di casa degli Stati Uniti. La banca centrale argentina, il Banco Central de la Repùblica Argentina, grazie anche a un accordo con l’omologa cinese, la People’s Bank of China, era fin qui riuscita ad evitare il default nazionale pagando l’Fmi con lo yuan, la valuta di Pechino. Soltanto a ottobre, Pechino aveva poi messo a disposizione dell’Argentina 6,5 miliardi di dollari da una linea di swap valutario condivisa con la Cina, che complessivamente ammonta a 18 miliardi di dollari.
Verso la Cina esportazioni pari a quasi 8 miliardi di dollari
La Cina è il secondo partner commerciale dell’Argentina dopo il Brasile. Nel 2022 ha importato da Pechino beni per un valore di circa 17,5 miliardi di dollari e dirottato oltre la Muraglia esportazioni pari a quasi 8 miliardi di dollari. Il settore agroalimentare argentino svolge un ruolo di primo piano in questo rapporto, con il 92 per cento delle esportazioni di soia e il 57 per cento delle spedizioni di carne di Buenos Aires inviate verso la Repubblica popolare cinese nello stesso anno.
Investimenti del Dragone: nucleare, litio, nuove tecnologie
Sul fronte opposto, il Dragone ha effettuato notevoli investimenti in Argentina. Per esempio nello sviluppo della centrale nucleare di Atucha III, in parchi solari ed eolici (citiamo il Cauchari e il Portero del Clavillo-El Naranjal), nel settore dell’energia (fresca l’intesa per consentire al colosso cinese State Grid di operare sulla rete elettrica della Grande Buenos Aires), nel comparto minerario (in primis la crescente industria locale del litio) e nelle nuove tecnologie (Huawei è in prima linea per il 5G). I dossier che uniscono l’Argentina alla Cina sono dunque tanto numerosi quanto scottanti. Certo, a Pechino non fa alcuna differenza chi sia l’inquilino della Casa Rosada, a patto però che i progetti congiunti possano continuare. Ma con Milei in carica l’agenda del Dragone in Argentina – e da qui in tutta l’America Latina – potrebbe subire una inaspettata battuta d’arresto.