Il luccichio dell’insalatiera non riesce a nascondere tutte le ruggini. I cinque giovani moschettieri che sono stati capaci di riportare la Coppa Davis in Italia hanno fatto esplodere di gioia tutto il Paese, ma il momento d’oro delle nostre racchette non cancella i veleni e i dissapori in seno ai vertici dello sport italiano. Il presidente della Federazione tennis e padel (Fitp) Angelo Binaghi, ancora a caldo dopo l’ultima impresa di Jannick Sinner in finale contro gli australiani, si è tolto un sasso mica piccolo dalla scarpa e a Sky Sport ha detto: «Io credo che questa Davis la dobbiamo anche dedicare un po’ all’attuale presidente del Coni, Giovanni Malagò, che in tutti questi mesi nonostante i successi sportivi e organizzativi non ha trovato la forza di fare una volta i complimenti al movimento e alla federazione. Una grande caduta di stile. Io credo che questi ragazzi gli faranno trovare il coraggio per farlo nei prossimi giorni». Un missile che peraltro ha fatto da contraltare alla lestissima uscita dello stesso Malagò, il quale si era subito complimentato con la squadra e con lo stesso Binaghi attraverso un post su X.
Sulla gestione dei grandi eventi tennistici non sono mai andati d’accordo
L’acredine tra i due è profonda e viene da lontano. Innanzitutto pesa un dato quasi antropologico: il numero uno della Fitp è un sardo dal carattere aspro, diretto e poco incline agli arzigogoli, mentre il gran patron del Coni è la quintessenza della romanità suadente, molle e salottiera. Tuttavia è sul potere nello sport, sui rapporti con la politica e in particolare sulla gestione dei grandi eventi tennistici che i due non sono mai andati d’accordo, senza far nulla per nasconderlo. Basta tornare indietro di qualche anno, al 2018 e ai tempi del governo Movimento 5 stelle–Lega, per individuare il terreno di scontro forse più grave: Malagò al tempo si schierò apertamente contro l’esecutivo gialloverde e la riforma voluta dall’allora sottosegretario alla presidenza, Giancarlo Giorgetti, che tra le altre cose strappava via dalle mani del Coni la cassaforte dei fondi statali, poco meno di 300 milioni di euro, destinati alle federazioni sportive e la assegnava alla neonata Sport e Salute Spa.
Abodi e lo sdoppiamento di cariche dentro Sport e Salute
Malagò ha attaccato ripetutamente la nuova società, ha cercato ogni sponda, ha utilizzato ogni occasione e ogni campione dello sport a lui vicino per provare a minare il mutato assetto e ricostruire il suo antico dominio (governa il Comitato olimpico nazionale dal 2013). Un’azione in qualche modo culminata con il cambio di impostazione voluto nell’estate del 2023 dal ministro per lo Sport, Andrea Abodi, che ha definito indirizzi e confini più chiari per la società in house del Mef, sdoppiando la carica di presidente e amministratore delegato, con la prima assegnata all’imprenditore Marco Mezzaroma, cognato di Claudio Lotito e considerato molto vicino ad Arianna Meloni, la sorella di Giorgia.
Scontro sui paramenti per i finanziamenti alle federazioni
Binaghi, invece, aveva sempre elogiato l’avvento di Sport e Salute, dicendo per esempio già nel 2019 che «finalmente i criteri dei finanziamenti alle federazioni saranno oggettivi, meritocratici e definiti». Un dito nell’occhio al numero uno dei Coni che aveva risposto per le rime: «Non capisco quali potrebbero essere criteri più oggettivi di quelli portati avanti dal Coni, visto che i parametri sono stati sempre voluti sia dalla commissione alla quale lui ha sempre fatto parte sia dal consiglio nazionale», per cui «ho trovato assolutamente fuori luogo le parole di Binaghi».
Il nervo scoperto sul limite dei tre mandati
Dopo la vittoria della Davis il presidente Fitp ha addirittura accusato indirettamente Malagò di non essere presente a Malaga per rendere omaggio alle imprese azzurre, mentre «la dedica va al ministro dello Sport, che ha preso un aereo ed è venuto a rappresentare il governo qui». Una chiosa a caldo e al vetriolo arrivata dopo le frasi del numero uno dello sport italiano di appena un mese fa: «Negli ultimi tempi Binaghi si è contraddistinto per uno stile di aggressione verbale poco educato. Non lo dico per me, ma per quello che rappresento. Ma in questo caso ha detto una falsità che non potrebbe provare». Il riferimento era anche alle dure posizioni dell’uomo che guida il tennis italiano (addirittura dal 2001) e che si era schierato contro il limite dei tre mandati per i presidenti di federazione, poi abolito giusto l’estate del 2023 (con il conforto di una sentenza della Consulta giunta a settembre).
Le insinuazioni sul legame politico tra Binaghi e il M5s
Binaghi aveva definito Malagò «non credibile» nel dibattito per «un interesse personale». E quest’ultimo aveva replicato: «Anche nella vicenda della norma sui tre mandati non avevo interesse. Può chiedere a Franco Chimenti o Gianni Petrucci, i presidenti di golf e basket, come la pensavo. A proposito: Binaghi dice di non avere interferenze politiche. Ma la sua vicepresidente è l’ex sindaco di Torino, Chiara Appendino, e l’ex sottosegretario Simone Valente è il responsabile della federtennis per i rapporti istituzionali…». Quasi ad adombrare un legame politico tra Binaghi e il M5s, fiorito attorno all’evento delle Atp Finals di Torino.
La contestata presenza di Djokovic agli Internazionali d’Italia
E che dire dello scontro sugli Internazionali d’Italia di tennis del 2022? Binaghi gonfiò il petto dopo gli ottimi risultati economici e di pubblico dell’evento, ma attaccò a testa bassa Malagò: «Ha cercato di non far giocare a Roma prima Novak Djokovic, poi i russi». Il campione serbo, infatti, era stato accusato di aver assunto posizioni no vax in epoca Covid, mentre i secondi avrebbero dovuto subire un embargo in ragione della guerra in Ucraina. L’input secondo Malagò veniva dal Comitato olimpico internazionale (Cio), cui il Coni fa capo, ma Binaghi aveva smentito il diktat, aveva rivendicato l’autonomia dell’Atp, così come di altre federazioni internazionali, si era appellato agli impegni contrattuali e alla fine aveva tenuto il punto sull’apertura a tutti del torneo in nome della qualità e dello spettacolo (peraltro Djokovic risultò vincitore).
Malagò non mancò di replicare: «Ho sempre detto che era un invito e non c’era nessun obbligo», ma d’altronde «quello di Binaghi negli ultimi anni è un percorso sui rapporti con la politica su cui non devo aggiungere altro». Quindi «se lui una volta nella vita si rendesse conto che stavolta ha veramente detto delle cose del tutto sbagliate sia nel contesto che nella sostanza, secondo me verrebbe apprezzato moltissimo».
Dalla gestione di Coni servizi fino alla copertura del Centrale del Foro Italico
Sarebbero molti altri gli episodi di frizioni da ricordare, dalle accuse del numero uno del tennis italiano alla gestione di Coni servizi (vero oggetto delle ruggini più antiche) sulla copertura del Centrale del Foro Italico fino alle stilettate, due anni fa, a proposito delle finali Atp di Torino, quando Malagò tentò la giocata in cui è insuperabile, ossia prendersi meriti e mettersi in vetrina: «L’idea di Torino fu mia, Appendino non sapeva cosa fossero». Il capo delle racchette azzurre rispose per le rime: «Le parole di Malagò contro Appendino? Ha attaccato la padrona di casa, è stata una caduta di stile. Io non ho mai sentito di una sua idea quando il risultato è negativo. Per definizione il presidente del Coni ha sempre idee splendide». E nel momento in cui qualcuno ha iniziato a far girare la voce che Binaghi, al sesto mandato in Fitp, volesse candidarsi alla successione di Malagò al Coni, lui ha stroncato: «Non ci penso nemmeno, mi sarebbe piaciuto contribuire a riformarlo, ma mi sono quasi arreso. Da decenni non cambia nulla e alcune regole sono assurde». Chissà cosa si nasconde dietro quel “quasi”.