A furia di descriverlo come il «punto fortissimo di riferimento di tutti i progressisti», infelice frase pronunciata da Nicola Zingaretti quando era il capo del Pd, e che lo inseguirà per i prossimi 20 anni, Beppe Conte ha iniziato a crederci. Tant’è che adesso il capo del M5s parla come il (vero) capo dell’opposizione al governo Meloni. Distribuisce patenti di legittimità politica, critica – anche in maniera sprezzante – le sortite dell’esecutivo, si fa capopopolo nelle piazze e ha militarizzato il suo partito, sfilandolo all’eredità morale di Beppe Grillo e a quella politica di Gianroberto Casaleggio per interposto figlio Davide. Tant’è sono tutti contiani o non sono, tra i 5 stelle. E il Pd non può farne a meno: il contismo è la sostanza stupefacente che richiama i vertici dei Democratici, sempre convinti che il popolo dei populisti sia da riconquistare, perché se hanno votato per i 5 stelle un motivo c’è.
Conte ormai veste i panni del papa straniero che il centrosinistra sta cercando da anni
Sempre insomma lì siamo, con la sinistra convinta di avere qualcosa da farsi perdonare; la stagione di Renzi viene costantemente evocata in senso deteriore, a partire dal Jobs Act al quale tutti, da Elly Schlein allo stesso Conte, fanno riferimento per dire da dove i progressisti non devono ripartire. Il M5s è stato il surrogato del Partito Democratico nel rapporto con i ceti popolari, Conte ha ormai questo vantaggio politico-sociale-antropologico e ne fa ampio uso quando c’è da rivolgersi all’elettorato/lettorato. Basta leggere le sue interviste, che ormai sono un sottogenere letterario. Nell’ultima al Corriere della Sera riveste pienamente i panni del “papa straniero” che il centrosinistra, o sinistra-centro, va cercando da anni. Dalla sua ha il gradimento personale, più che i sondaggi sul M5s. C’è ancora gente convinta che Conte, il babbo del super buco del super bonus, sia il miglior presidente del Consiglio del mondo.
È lui insomma il Romano Prodi degli Anni duemilaventi? «Fa il suo», rispondono dal Pd, dove gli avversari di Schlein attendono le Europee per eventualmente visionare con i propri occhi e toccare con le proprie mani quello che le mere sensazioni per ora registrano: il M5s è più in forma del Pd. E perché? Perché c’è Beppe Conte, armato di sciabola. Al Corriere dice che la legge di bilancio è «durissima», perché «è durissima con gli italiani. Persino l’ex ministra Elsa Fornero ammette che questo governo è stato più duro di lei. Stanno frapponendo ostacoli a chi vuole andare prima in pensione e tagliano con l’accetta gli assegni pensionistici anche al ceto medio. Poi tagliano le pensioni di 700 mila dipendenti pubblici, tra cui medici e infermieri. Per Halloween si sono travestiti da governo delle tasse: ci sono nuove imposte per oltre 2 miliardi e arrivano a tassarci fin dai primi vagiti, tassando pannolini e latte in polvere, oltre che la casa. Sulla sanità hanno poi un disegno preciso: anziché investire 15 miliardi per mantenere il trend di investimento del 7 per cento in rapporto al Pil, distribuiscono 2 miliardi ai loro amici delle cliniche private». Un distillato di pura leadership d’opposizione, per Conte, che non sembra avere avversari e quindi mostra molta generosità.
Mentre nel Pd si moltiplicano le posizioni politiche, Conte si consulta solo con se stesso
A differenza del Pd, dove per ogni manifestazione e per ogni incontro e per ogni patrocinio ci sono 700 posizioni politiche diverse, Conte può decidere in autonomia dopo essersi consultato con se stesso (i Riccardo Ricciardi, quelli che fanno i registi teatrali e, in effetti, recitano anche in parlamento, sono ottimi come l’insalata e vanno a concionare nei salotti televisivi). E l’11 novembre, ha detto alla Stampa, sarà in piazza per la manifestazione contro il governo: «Lo scorso giugno Elly Schlein ha portato il saluto suo e del Pd al nostro corteo contro la precarietà, nonostante tra i dem ci siano ancora alcuni nostalgici del Jobs Act di Renzi. Mi farà piacere ricambiare questo sostegno, andando nella loro piazza l’11 novembre, per contestare insieme le politiche di questo governo». Retorica eccellente, diremmo: l’ex presidente del Consiglio ricambia il sostegno e spiega al Pd come si fa la sinistra, cioè prendendosela con il solito Matteo Renzi e il solito Jobs Act.