Sgarbi è la foglia di fico sull’ipocrisia di politica e tivù

Vittorio Sgarbi ha universale nomea di valente critico d’arte, nonché fine esegeta di quadri di cui svela l’attribuzione spesso incerta. Ora però è impegnato con un altro quadro, il suo, che dopo le rivelazioni del Fatto Quotidiano e l’imbarazzo del governo risulta piuttosto precario. Il casus belli è quello di partecipazioni e consulenze a pagamento che andrebbero a confliggere col suo ruolo istituzionale di viceministro alla Cultura. In più, visto che le disgrazie non vengono mai da sole, si è aggiunta l’accusa di aver evaso oltre 700 mila euro di tasse. Se persino il di solto placidissimo Gennaro Sangiuliano ha sbottato, vuol dire che la vicenda è seria, e anche che il titolare dei Beni culturali ha agito con l’avallo di Giorgia Meloni, senza il quale solitamente non muove foglia. I maligni, e ce ne sono molti in giro, sostengono che la mano che ha passato al Fatto l’elenco delle prestazioni di Sgarbi appartenga alla sua cerchia. Così come quella che avrebbe spifferato a La Verità l’elenco di film italiani finanziati dallo Stato pur essendo stati visti solamente dai parenti, cosa che ha indotto il ministro a scrivere quella lettera al caro Giancarlo (Giorgetti, ndr) in cui accondiscendeva alla sua richiesta di stringere la cinghia tagliando il fondo per il cinema. E facendo così un dispetto a Lucia Bergonzoni, sottosegretaria al ministero con più governi, compreso questo, per cui soldi, leggi, prebende e ricchi premi che girano intorno alla settima arte sarebbero di sua assoluta prerogativa.

Sgarbi è la foglia di fico sull'ipocrisia di politica e tivù
Vittorio Sgarbi (Imagoeconomica).

«Chiamiamo Sgarbi e buttiamola in caciara» è sempre l’ultima spiaggia

Ma torniamo a Sgarbi, e alla tempesta che con la consueta nonchalance sta attraversando convinto ancora una volta (non crediamo, ma magari ha ragione) di sfangarla. Sin da quando ha fatto le sue prime apparizioni al Maurizio Costanzo show, dove ha costruito la sua metamorfosi da esperto d’arte a onnisciente personaggio televisivo, il critico è considerato dallo stagno politico in cui sguazza, ossia il centrodestra nelle sue variegate forme, un male necessario. Ha modi irritanti, è incontrollabile, umorale, gli piace infilarsi in tutte le situazioni aggrovigliate perché, parafrasando Tony Curtis in Operazione sottoveste, nelle acque torbide si pesca meglio. Eppure sembra che senza di lui non si possa stare, perché è un catalizzatore di interesse e consensi. Per la televisione è panacea, l’ultima spiaggia per rianimare talk show dallo share esangue, perché si sa che quando sbrocca (e capita quasi sempre) l’audience si impenna. «Chiamiamo Sgarbi e buttiamola in caciara» è l’ultima spiaggia di autori che non sanno più a che santo votarsi. Una volta funzionava sempre, adesso di meno. In qualche caso per nulla, come dimostra Avanti Popolo, l’imbarazzante programma di Nunzia De Girolamo, a cui pur sciorinando il suo strepitante repertorio non è riuscito a portare giovamento.

Mostre e convegni lo usano per attrarre media altrimenti indifferenti

Stessa cosa quando lo invitano ogni tre per quattro a inaugurare mostre o presenziare convegni. Si chiama Sgarbi convinti che sarà un volano di risonanza, che qualche sua escandescenza indurrà media altrimenti indifferenti all’evento a parlarne. Sgarbi quindi è la foglia di fico dietro cui si ripara l’ipocrisia del politico o del conduttore. Lo si prende per un solo scopo, aumentare consenso e interesse grazie alla sua epifanica apparizione, e quando poi lo si raggiunge se ne biasimano parole e comportamenti. E chi smaschera l’ipocrisia, consapevole o meno, non può che essere un portatore sano di virtù.