The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito

Quale modo migliore di festeggiare il 50esimo anniversario di quello che è universalmente ritenuto uno dei più begli album di tutti i tempi, The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, che andare a destrutturarlo, proponendone una versione dolente e intima, esattamente il contrario di quanto una celebrazione prevederebbe? È quello che ha fatto Roger Waters, a lungo iconica mente (e basso) del gruppo, che di godersi la terza età e l’indubbio status di mito del rock non vuole proprio saperne. Non solo è appena arrivata sugli ormai rari scaffali di dischi veri la sua nuova fatica The Lockdown Session, ma ha deciso di “demolire” un mito come la sua opera, rivendicandone di fatto la paternità assoluta.

Perché Roger Waters è una delle rare rockstar di questi tempi vili

Ma andiamo quindi con ordine. È vero, The Dark Side of The Moon è un album dei Pink Floyd che risente moltissimo dell’influenza e del talento di Roger Waters. Il fatto che si tratti di un’opera rock, ricordiamolo, nella top 100 Fimi ancora oggi, e che a distanza di 50 anni tenga ancora duro con oltre 50 milioni di copie vendute è un miracolo che nella musica cosiddetta leggera capita una volta ogni morte di papa. E il fatto che questo miracolo porti in tutte le tracce la firma di Roger Waters –  suoi tutti i testi, sue alcune musiche, tre in solitaria le altre tutte frutto di collaborazione con i singoli membri della band – pone il suo nome al centro della scena. Il suo però andare contro gli altri, Gilmour in particolare, è figlio di un discorso antico. Quale band ci sarebbe mai stata senza uno scontro tra due giganti, si pensi ai Beatles, ai Rolling Stones e giù a seguire. E inoltre è parte fondante di una mitologia personale costruita a suon di dichiarazioni polemiche, posizioni anche ostili – si pensi al suo rapporto con Israele – e un non voler fare e non volersi fare sconti. Tutto questo, complici canzoni e album immortali, ha creato una delle rare vere rockstar dei nostri tempi vili.

I brani vengono spogliati per dare centralità alla parola

L’idea di sviscerare lati oscuri del nostro essere e del nostro sentire – semplifico – prendono nella nuova edizione e versione di questo grande classico una forma insolita, minimale (per come possa suonare minimale un massimalista), malinconica. Ma queste a dire il vero erano già caratteristiche dell’opera originale che forse è addirittura impietosa, come è impietoso mettere in evidenza le cicatrici e le rughe che ci si ostina a non voler vedere accecati dall’amore, nello specifico l’amore per la musica ma anche per se stessi. The Dark Side of the Moon Redux è quantomai fedele all’idea di riduzione. Waters, cui tutti i collaboratori avevano sconsigliato di fare i conti in questo modo col suo passato, come se volesse sottolineare la centralità della parola, parola che occupa uno spazio fondamentale da tempo nei suoi live (i suoi discorsi sono parte integrante degli show al pari delle canzoni), ha deciso di denudare i brani, togliendo proprio le sonorità che Gilmour e Mason ci avevano messo. Non per disistima, che siano dei grandi musicisti lo ha sempre dichiarato, ma proprio per spostare l’accento sui testi che lascia immutati, arricchendoli però di piccoli inserti. La sua voce, ricordiamo che Waters ha da poco compiuto 80 anni, fatica a volte a reggere le melodie, seppur ridotte all’osso, ma lascia che la carica emotiva che trapela da ogni sussurro faccia il suo sporco lavoro. Un lavoro quindi rischioso, che Waters ha affrontato in solitaria visto che solo i suoi collaboratori erano a conoscenza del progetto, ma che alla fine ci regala la sua versione del capolavoro con tutte le note a margine, le sottolineature, come si trattasse del vecchio diario su cui quelle canzoni presero vita.

The Dark Side of the Moon Redux, Roger Waters e la decostruzione di un mito
David Gilmour, Roger Waters, Nick Mason e Rick Wright nel 2005 (Getty Images).

L’attualità sinistra di The Dark Side of the Moon dovrebbe farci pensare

The Dark Side of the Moon Redux  si iscrive perfettamente in questa fase della sua carriera, in sintonia coi suoi ultimi tour, ma anche con i suoi ultimi lavori in studio. Un lavoro che si distacca da quanto presentato nel 2006 sul palco, quando ripropose l’intero album dal vivo, rimanendo però più fedele all’originale. E dal vivo i suoi sodali ripropongono suoni vicini a quelli di Gilmour e Mason che questa volta sono assenti giustificati: l’arte, quando è arte davvero, pretende i suoi sacrifici. Vedere come oggi, a 50 anni dall’uscita, i temi di The Dark Side of The Moon, pensati e scritti da Waters quando non aveva ancora 30 anni, suonino sinistramente attuali ci dice qualcosa su di noi che nessun libro di storia ancora ci ha riconsegnato. Vedere come a 80 anni Waters sia ancora lì a filosofeggiare potrebbe risultare un’ottima ancora di salvezza per un futuro più sinistro di quanto una mente fertile come la sua, forse, si sarebbe mai potuto immaginare. Sostituire il suono orchestrale e psichedelico col vuoto, la sottrazione, lasciando a una voce quasi cavernosa il compito di reggere il tutto ci dice invece di come il genio non invecchi, semmai cambi e tenda più che mai all’eternità.