Venezia 80, perché si parla del film sulle atlete trans e la questione di genere nello sport

La regista Julia Fuhr Mann ha presentato alla Settimana della Critica, nell’ambito della 80esima Mostra del cinema di Venezia, il film Life is not a competition, but I’m winning, che porta sugli schermi il tema del coinvolgimento delle atlete transgender nelle competizioni internazionali. Tra le storie al centro della trama ci sono quelle di Amanda Reiter, maratoneta che si è confrontata con i pregiudizi degli organizzatori sportivi, o di Annet Negesa, atleta degli 800 metri spinta dai responsabili delle federazioni sportive internazionali a sottoporsi a chirurgia ormonale. Quando ormai manca meno di un anno all’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi 2024, il progetto offre un punto di vista interessante.

 

Ad aiutare la realizzazione del film e il coinvolgimento delle atlete è stata anche la composizione del team impegnato dietro le quinte, come ha svelato la filmmaker: «Eravamo un gruppo queer e molto al femminile, credo abbia contribuito a trasmettere le idee che avremmo parlato delle loro storie in modo diverso da quello tradizionale». Gli spettatori potranno così ascoltare delle testimonianze emozionanti, grazie alle scelte compiute dalla regista che hanno posto le atlete al centro della narrazione: «Ho chiesto a loro cosa volessero raccontare. Non desideravo, per esempio, mostrare come vive ora l’atleta dell’Uganda o farle rivivere quanto accaduto. Le ho chiesto come voleva raccontare la propria storia e abbiamo lavorato insieme per capire come portarla nel migliore dei modi sugli schermi. Loro hanno proposto molte idee».

Il mondo dello sport ancora raccontato molto dal punto di vista maschile

Spesso il mondo dello sport e di chi lo anima viene raccontato da un punto di vista maschile, essendoci ancora poco equilibrio di genere tra le persone che lavorano nel settore come commentatori o intervistatori, pur essendoci da anni qualche lieve miglioramento. Fuhr Mann ha sottolineato: «Vedo del progresso perché le donne nello sport ottengono più attenzione, come per quanto riguarda il recente Mondiale di calcio femminile, ma per quanto riguarda questioni di genere e per la suddivisione in categorie, non credo ci sia molto progresso. Ad esempio nell’atletica hanno deciso di bannare completamente alcune atlete e non c’è molta apertura nei confronti delle persone trans».

Le Olimpiadi e quel legame poco ricordato con la propaganda nazista

Scelte e divieti che alimentano un lato oscuro dello sport, raccontato anche in Life is not a competition, but I’m winning che non esita a ricordare i legami tra le Olimpiadi e i nazisti. Julia Fuhr Mann ha ricordato: «Basta pensare alla torcia olimpica che viaggia intorno al mondo, tra l’entusiasmo della gente, ed è in realtà legata alla propaganda nazista. Mi chiedo come sia possibile ignorarne la storia e continuare a pensare che sia legata all’antichità e ai greci… Ma ce la “vendono” come una tradizione positiva e senza lati oscuri. E penso poi all’uso dello stadio di Berlino che, ovviamente, ha un grande legame con l’epoca nazista e la promozione delle loro idee. Hanno organizzato comunque nello stesso spazio i giochi olimpici anni dopo, senza che nessuno pensasse a quanto accaduto in precedenza in quel luogo e al suo significato simbolico».

Una divisione in categoria come nella boxe o per le Paralimpiadi

Potrebbe quindi essere l’arte ad avere un ruolo nel cambiare le idee o a dare una spinta a un’evoluzione del settore: «C’è una reale possibilità di ottenere l’attenzione degli appassionati di sport, in modo che inizino a pensare e a mettere in discussione le proprie idee sulla suddivisione in categorie, sulle differenze di genere. Penso che molte persone, prima di ora, non abbiano mai fatto delle domande specifiche sulla questione». Attualmente, tuttavia, non è facile prevedere cosa accadrà in futuro sulle regole che definiscono le categorie. La regista, dopo l’esperienza vissuta dietro la macchina da presa e l’incontro con le atlete, ha condiviso un possibile approccio: «Penso che si potrebbe procedere come accade nella boxe, suddividendo in base al peso, o come ai giochi Paralimpici in cui la differenza è in base al tipo di disabilità, in base alle capacità fisiche».

Atlete che si sentono trattate come fenomeni da baraccone

Nell’attesa si può tuttavia cercare di offrire una visione più inclusiva e rispettosa dello sport, anche tramite la realizzazione dei documentari. Le atlete coinvolte, per esempio, hanno espresso la propria gratitudine nei confronti della filmmaker: «Hanno visto il film e la loro reazione è stata di orgoglio, si sono sentite “viste” in modo diverso rispetto al passato. Alle volte vengono ritratte o si parla di loro come se fossero degli “esseri”, ma quasi come un fenomeno da baraccone o qualcosa di strano».