
Le stime di Europe Elects mostrano la possibile composizione del prossimo Parlamento Ue dopo le elezioni di giugno 2024: un'alleanza di centrodestra su modello italiano sembra ancora molto difficile.
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I legali della famiglia di Andrea Purgatori, scomparso il 19 luglio scorso, hanno dichiarato che il giornalista «sarebbe stato colpito da ischemie cerebrali». Lo rivelano i risultati degli esami autoptici, ma si aspetterà il 6 settembre per nuove perizie. I pm della procura di Roma stanno indagando sulla morte di Purgatori dopo che la famiglia ha presentato un esposto. È stato aperto un fascicolo in cui sono stati inseriti due indagati per omicidio colposo, entrambi medici della clinica romana Pio XI.
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Dopo l’esposto della famiglia sono state eseguite una Tac e l’autopsia, per cercare di capire se escludere o meno la presenza di un’infezione che possa aver aggravato le condizioni di salute del giornalista. Tra le varie ipotesi sulla morte di Purgatori si parla, infatti, di una pericardite settica. Il cronista lottava da tempo con un tumore ai polmoni, ma gli erano state diagnostiche anche metastasi al cervello. I magistrati hanno anche ascoltato varie persone, tra cui sanitari della struttura in cui era ricoverato e alcuni conoscenti dello stesso Purgatori. Nei prossimi giorni saranno ascoltati altri possibili testimoni con cui ripercorrere gli ultimi mesi di vita del reporter.
E intanto si aspettano i risultati della Tac e dell’autopsia effettuata dal professore Luigi Marsella dell’Università di Tor Vergata. A questi si aggiungeranno quelli dei prelievi effettuati per gli esami anatomopatologici, ma i risultati non arriveranno prima della fine del mese di agosto. Intanto è arrivata anche la precisazione della clinica Pio XI, che ha sottolineato che il giornalista nella struttura «ha svolto solo accertamenti di diagnostica per immagini e una biopsia».
Dopo quasi un anno e mezzo di guerra non si intravedono spiragli di tregua o di pace. Simboliche lo scorso fine settimana le dichiarazioni arrivate da Kyiv e da Mosca: da una parte il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito che l’obiettivo è riportare sotto il proprio controllo i territori occupati, dal Donbass alla Crimea; dall’altra l’ex capo di Stato e vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa Dmitri Medvedev ha detto che se la controffensiva ucraina dovesse avere successo, con le truppe di Kyiv a ridosso della penisola sul Mar Nero, allora Mosca non avrebbe scelta e potrebbe fare ricorso anche all’uso di armi nucleari. Sia l’Ucraina sia la Russia si sentono in grado di vincere sul campo, e con ogni mezzo, questo conflitto che al momento segna una fase di transizione: verso dove non è ancora ben chiaro.
Dall’inizio di giugno è cominciata la controffensiva ucraina che nelle prime sei settimane non ha portato a mutamenti sensibili sulla lunga linea del fronte, che passa per oltre 1.000 km attraverso una mezza dozzina di oblast dell’est e del sud del Paese; negli ultimi 10 giorni da Kyiv si sono rivendicati avanzamenti nel Donbass, intorno a Bakhmut, e nel meridione, sulla direttrice che nella regione di Zaporizhzhia va verso il Mar Nero. Secondo fonti ucraine in alcuni punti la prima linea di difesa russa sarebbe anche stata penetrata. Da Mosca si sostiene invece che gli attacchi sono stati respinti: il presidente Vladimir Putin ha ripetuto più volte che la controffensiva è fallita. D’altro canto – come dimostrano le parole di Medvedev, il Cremlino prenderebbe in considerazione l’utilizzo di armi nucleari tattiche se la situazione dovesse davvero peggiorare. Il worst case scenario non è da escludersi. Al momento però non ci sono segnali di grandi sconvolgimenti, né nel Donbass, né tra Kherson e Zaporizhzhia: il contesto rimane quello di una guerra di logoramento in cui le posizioni difficilmente si ribaltano improvvisamente. La Russia, oltre alla difesa nel sud, sembra stia riprendendo l’iniziativa nel Donbass, per riconquistare i territori presi all’inizio del conflitto e perduti lo scorso autunno. L’Ucraina, che con molta probabilità non ha ancora schierato il massimo delle proprie forze, ha ancora qualche riserva, ma rimane un dato di fatto che nei primi due mesi di contrattacco i progressi si sono visti col lumicino. Difficilmente nel corso dell’estate si vedranno cambiamenti, poiché il supporto occidentale non cambierà radicalmente rispetto al volume attuale e la questione delle armi a lungo raggio e degli F16 è stata sostanzialmente procrastinata, per questioni tecniche e politiche.
L’Ucraina poi non entrerà nella Nato, se non eventualmente dopo la guerra e a condizioni e confini tutti da verificare, e la formula attuale del sostegno occidentale “sino a quando sarà necessario” vuol dire poco o nulla fino a che gli sponsor principali di Kyiv non decideranno quando sarà venuta l’ora di negoziare. Per adesso l’unico che potrebbe sedersi al tavolo in teoria è Putin, che a questo punto del conflitto può vantare comunque un vantaggio territoriale, vendibile anche al proprio elettorato, mentre per Zelensky un congelamento del conflitto sulle posizioni attuali sarebbe un disastro, in tutti i sensi. Il 2024 è un anno di elezioni presidenziali, a Mosca, Kyiv e soprattutto a Washington: gli Stati Uniti indicheranno la direzione in cui dovrà muoversi l’Ucraina nei prossimi mesi e nei prossimi anni, all’interno di una cornice internazionale in cui per la Casa Bianca il dossier dell’ex repubblica sovietica è sì importante, ma non determinante, nell’ottica dl duello con la Cina.
I canali di comunicazione tra Russia e Stati Uniti sono rimasti in questi mesi in ogni caso aperti, anche se molto poco utilizzati, e nella prospettiva che il conflitto sul continente europeo si protragga senza chiari vincitori né vinti, incidendo però sulla capacità di manovra della Nato su altri teatri e soprattutto condizionando troppo la strategia americana nei confronti di Pechino, è possibile che si assista a un avvicinamento graduale che potrebbe tradursi nel tentativo di una ricerca di un compromesso, ovviamente sulla testa dell’Ucraina.
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L’Unesco raccomanda di inserire Venezia nella lista dei patrimoni dell’umanità in pericolo. «Il continuo sviluppo, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa rischiano di provocare cambiamenti irreversibili all’eccezionale valore universale» di Venezia, rileva il World Heritage Centre, ramo dell’Unesco, che «raccomanda la sua iscrizione nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità in pericolo». Questa raccomandazione, per essere attuata, dovrà essere votata a settembre dagli Stati membri dell’organismo Onu.
Non è la prima volta che l’Unesco lancia l’appello. Già due anni fa era stata richiesta l’iscrizione all’elenco dei patrimoni in pericolo. Il governo ha poi varato alcune misure, come quella che vieta alle grandi navi di entrare nel canale San Marco. E questo «è stato rispettato», spiega l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Ma dal 2021 in poi gli esperti hanno chiesto più volte aggiornamenti sulle «misure correttive con un calendario per la loro attuazione». Le risposte, secondo quanto rivela Repubblica, sono state giudicate insufficienti.
L’Unesco poi parla dei progetti su cui vigilare, come quelli per elevare l’isola di San Marco, la nuova linea ferroviaria verso l’aeroporto di Venezia, le piattaforme di arrivo in varie parti della città e i terminal per le imbarcazioni veloci. E inoltre chiede di «fermare tutti i nuovi progetti su larga scala» e approvare «misure relative alla pianificazione, alla gestione e alla governance» con un approccio sul lungo periodo. Serve una «visione strategica comune per la conservazione». L’organizzazione spiega infine che «molti di questi problemi, non nuovi ma diventati ormai urgenti, rimangono irrisolti o affrontati solo temporaneamente». A esaminare la situazione sarà il Comitato mondiale del Patrimonio, composto da 21 Stati. Si voterà a settembre ma sembra che stavolta Venezia non riuscirà a evitare l’inserimento nell’elenco.
L’attrice del Paradiso delle signore Giulia Arena, si sposerà a breve e lo ha annunciato su Instagram mostrando l’anello ai suoi follower.
L’attrice ed ex Miss Italia 2013 ha voluto condividere con i suoi fan la notizia mostrando il prezioso all’anulare. Il fidanzato è Antongiuseppe Morgia, suo compagno da nove anni. Una lunga storia d’amore che si coronerà con il matrimonio, desiderio che l’attrice aveva da tempo che l’ha spinta a stravolgere la tradizione e fare la fatidica proposta, come ha raccontato su Instagram. Una notizia accolta con gioia dai suoi follower, dai colleghi e dai suoi amici che hanno postato tantissimi messaggi di congratulazioni.
Nella foto pubblicata sui social si vede la mano dell’Arena unita a quella del suo fidanzato Morgia e sull’anulare dell’ex Miss Italia un bellissimo anello. A corredo dello scatto, il post che svela la vera sorpresa: «Dobbiamo dirvi una cosa…scrive l’attrice: (LUI) HA DETTO SI ( perché sono stata io a fare la proposta, ma questa è una storia che un giorno vi racconteremo)».
Anche il futuro sposo ha voluto confermare l’annuncio fatto dall’Arena e sul suo profilo Instagram ha pubblicato un dolcissimo scatto che simpaticamente ha commentato: «Per l’uomo che non deve chiedere mai…». Entrambi appaiono molto felici del passo che si apprestano a compiere.
L’attrice già lo scorso anno aveva dichiarato di volersi sposare, raccontando che c’era solo un piccolo ostacolo da superare: «Il mio fidanzato vorrebbe che facessi io la proposta, io che la facesse lui». E a quanto pare a cedere è stata proprio lei. Giulia è nata a Pisa il 2 aprile 1994 ma si è trasferita appena nata a Messina. Dopo aver vinto il concorso di Miss Italia ha abbracciato il mondo dello spettacolo dedicandosi alla recitazione e affermandosi come una delle protagoniste della serie Il Paradiso delle signore, dove ha interpretato il ruolo di Ludovica. Antongiuseppe è un avvocato di 31 anni, originario della Sicilia. I due si sono conosciuti all’università quando l’Arena frequentava la facoltà di Giurisprudenza.
Botta e risposta tra Matteo Renzi e Claudio Lotito. Il leader di Italia Viva ed ex premier ha attaccato il governo sull’aumento della benzina, scrivendo nella sua Enews che sarebbe stato fatto per «dare soldi alle squadre di serie A». Una critica a cui ha subito risposto il senatore di Forza Italia, nonché presidente della Lazio, accusando Renzi: «Mente sapendo di mentire».
Matteo Renzi sulla sua Enews mette al primo posto il tema del prezzo del carburante in risalita: «Aumenta il costo della benzina. Polemiche sui media. Non c’è una sola persona, nemmeno una, che ricordi la contraddizione di Giorgia Meloni. La Premier ha vinto le elezioni con video in cui diceva che lo Stato lucrava su ogni pieno. Quando è diventata premier non solo non ha ridotto le accise, ma le ha addirittura AUMENTATE. Io sono tra i pochi che su questi temi insiste. Qui trovate un vecchio video che avevo fatto a gennaio 2023, qui il video che ho rilanciato oggi. Perché? Non perché sia facile ridurre le accise: non lo è».
E prosegue: «Ma è assurdo fare campagna elettorale promettendo mari e monti e poi, con la prima legge di bilancio, aumentare i soldi per le squadre di serie A su richiesta di Lotito e aumentare le accise sulla benzina. Si parla tanto di salario minimo: ma al ceto medio chi ci pensa? Ricordiamoci sempre: questo Governo ha aumentato la benzina per dare soldi alle squadre di serie A. E per me questa è la dimostrazione più netta di come governino i populisti».
Nell'Enews di oggi torno a parlare dell'aumento dei prezzi della benzina. E di come sia assurdo che nessuno ricordi le contraddizioni di Giorgia Meloni. E poi della Commissione di inchiesta sul Covid, di ambiente e sicurezza del territorio. Altro che lacrime di coccodrillo del… pic.twitter.com/zgKlbbu1fB
— Matteo Renzi (@matteorenzi) July 31, 2023
Ma il presidente della Lazio non ci sta. Lotito risponde a muso duro con una nota: «Come al solito il senatore Renzi non perde occasione di utilizzare il mio nome per farsi pubblicità. E mente sapendo di mentire. Allo sport in genere, e non solo al calcio, non sono stati dati soldi come viceversa è avvenuto per il cinema (con un miliardo a fondo perduto) ma è prevista soltanto, come peraltro è previsto per legge per tutti i contribuenti, la possibilità di pagare a rate le tasse. Non è la prima volta che Renzi utilizza questi argomenti, ed è un peccato vederlo ridotto a rincorrere la peggiore demagogia come accade sempre a chi si trova a rappresentare l’ultimo canto del cigno».
Dal 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha «accolto» circa 4,8 milioni residenti in Ucraina, perlopiù nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nel Donbass. Tra essi anche 700 mila bambini. Lo ha detto il Commissario presidenziale per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova, specificando che «la stragrande maggioranza dei minori è arrivata con i genitori o altri parenti». Quelle che per Mosca sono attività umanitarie, secondo altri sono trasferimenti forzati: il 17 marzo 2023 la Corte penale internazionale ha infatti emesso un mandato di arresto nei confronti di Lvova-Belova e di Vladimir Putin per la deportazione di bambini dall’Ucraina in Russia.
Secondo il dossier illustrato da Lvova-Belova, 1.500 orfani sono stati evacuati dalle regioni separatiste ucraine orientali: di essi 380 sono stati adottati da genitori russi. Nello specifico hanno trovato una famiglia affidataria 288 orfani provenienti da istituti della Repubblica di Donetsk e 92 da quella di Lugansk. Il rapporto, che non fa menzione di orfani provenienti da altri territori ucraini, evidenzia però che, tra la fine dell’estate e l’autunno 2022, «a causa della situazione al fronte» numerosi genitori delle regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Kharkiv e di altri territori «hanno mandato volontariamente i propri figli in vacanza, per proteggerli dalle ostilità». I ragazzi, «per delega dei loro genitori, sono stati accettati da sanatori e organizzazioni ricreative e ricreative in Crimea e nel territorio di Krasnodar», afferma il rapporto.
Un’indagine sostenuta dalle Nazioni Unite ha stabilito che il trasferimento forzato e la deportazione di bambini ucraini da parte della Russia costituisce un crimine di guerra. Secondo Kyiv sono 19.500 i bambini ucraini deportati in Russia dall’inizio della guerra, molti dei quali si ritiene siano stati collocati in istituti e famiglie affidatarie. Secondo l’organizzazione Children of War, sono finora 386 quelli rintracciati e restituiti alle loro famiglie.