Cara discografia, qualcosa non quadra: hai dimenticato come intrattenere con garbo. La scena se la prendono i testimoni di un tempo che fu mentre i giovani ne escono, retoricamente, perdenti. Tra i duetti, Nigiotti e Cristicchi convincono. Molto meno Elettra Lamborghini e Miss Keta. I voti di Massimo del Papa.
A questo punto, a metà della maratona, estenuante e schizoide, sospesa tra predicozzi da ricchezza e sculettamenti da riccanza, possiamo concederci una riflessione a margine. Si è detto, si è ripetuto che questo Festival dei 70 anni li tradisce tutti, che la scena se la prendono i testimoni di un tempo che fu: Albano e Romina, Massimo Ranieri, i Ricchi e Poveri. Ed è subito sabato italiano, tivù in bianco e nero, sigla con Raimondo Vianello che tenta di far fuori i quattro liguri (Coriandoli su di noi), insomma l’effetto nostalgia, canaglia perché sai benissimo che, mentre ne parli, sei già reduce anche tu.
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I media uniti nella retorica scoperta e nella scoperta dell’acqua calda: ah, vedi però, che grinta, che freschezza ancora, la Ritina, la Brunetta e la Biondona, l’ex scugnizzo che dà la birra al presunto erede Tiziano Ferro. Ma è chiaro, chi assapora gli ultimi, risicati orizzonti di gloria tiene a far bella figura, a dar segni di vita e di vitalità, anche perché un artista non smette mai, perché c’è sempre almeno un altro concerto nei suoi orizzonti di gloria.
CI SONO DUE FESTIVAL: QUELLO DELLA MEMORIA E QUELLO DELLA SPERANZA
Ne escono, retoricamente, perdenti i giovani ma non è proprio che i giovani non portino la loro freschezza, il loro vigore: è un paragone che non regge, sono due specie diverse, due categorie che giocano due Festival separati, quello della memoria, quello della speranza. Il punto è un altro, è che questi giovani non si riconoscono più. Prendiamo i rapper, i trapper che oggi sembrano imprescindibili e domani chissà. Scusate, ma non vi sembrano tutti uguali? Tutti sgorgati dalla periferia maledetta, capitolina o meneghina, tutti con addosso quel vittimismo ringhioso ma lamentoso? Ormai ce ne sono a un soldo la dozzina e sono tutti uguali, musicalmente, testualmente, tematicamente sono la stessa cosa. Si raccontano addosso, parlano di loro, ombelichi di un mondo ostile e, in quel celebrarsi, stentato rompono i coglioni.
Si dirà: ma anche Rita Pavone ha portato una canzone in cui allude a se stessa, Niente (Resilienza 74). Sì, ma la Pavone e quelli come lei hanno 74 anni, hanno una vita da riassumere, possono farlo e qui ci sono ragazzini che a 18 anni la menano con un “vissuto” difficile. Questa anemia anche sonora, questo ripiegamento esistenziale quando tutto dovrebbe essere ardore, rabbia sì ma positiva, ecco, questo stona. Questo, se è lecito qui un pizzico di sociologia spicciola, è assurdo e magari un po’ controproducente: questi rapper e trapper fanno ascolti pazzeschi sui social, sulle varie Spotify, sfruttando un meccanismo identificativo perverso. Un po’ come Greta quando dice «mi avete rubato il futuro», frase a suo modo sanremese ma da una adolescente di una generazione che, fra tanti problemi, ha avuto un livello di vita e di comfort mai conosciuto prima.
E allora che c’è di strano se una canzoncina ruffiana ma fresca come Ultimo amore dei settantenni Ricchi e Poveri a modo suo emoziona, coinvolge e contagia, spazzando via raffiche di geremiadi borgatare o sentimentose? E parla di un amore finito, ma lo fa con la grazia ardente dei fine anni Sessanta. E se ieri sera i duetti son stati tutti con la testa all’indietro, e spesso molto indietro, una ragione ci sarà.
Cara discografia, qualcosa qui non quaglia: hai dimenticato come intrattenere con garbo, sai solo partorire vittimismi in batteria o volgarità schiappettanti alla Elettra Miura. Non è colpa dei giovani esangui, d’accordo, ma se pure questi giovani sempre intenti a compiangersi non trovano modo di ribellarsi, di pretendere i loro orizzonti di gloria, non se ne esce. Fine della considerazione andante, andiamo ad affrontare la serata dei duetti, tradizionale riempitivo di mezzo Festival, andiamo a sopportare la Bibbia in bigino di Benigni, che in controluce si legge Lucio Presta, l’impresario suo, di Amadeus, di Rula, che a Sanremo è tornato a fare il tempo bello e cattivo. Queste sono le cose che andrebbero sempre tenute presente nell’economia di un Festival. Il resto, detto alla Gordon Gekko, è solo conversazione, spazi da riempire di parole. Le stesse che riempiono una sera che dura il tempo assurdo di 5 ore e mezza (qui sono impazziti tutti), ma comincia due ore dopo l’inizio perché deve tenere impiccati i telespettatori, deve razzolare l’audience con cui gonfiare i muscoli la mattina dopo in conferenza stampa.
I CONDUTTORI: AMADEUS FA IL FIORAIO, ALKETA INSOPPORTABILE E GEORGINA NON PERVENUTA
AMADEUS: 5. Non si capiva bene che facesse “Ama”. Il conduttore no, c’è Fiorello. La valletta no, ci sono dieci ragazze per lui. L’intrattenitore, neppure, non è per lui. La spalla di Benigni, no, fin troppo servile. Alla fine era così facile, fa il fioraio.
GEORGINA RODRIGUEZ: S. V. Questa è una che quando le hanno offerto 50mila euro, ha risposto: per questa miseria io e Cristiano non ci alziamo neanche dal letto, olè. E allora hanno triplicato, tanto son soldi nostri. La chica di Ronaldo non sa far niente, almeno sul palco, e lo fa pure male: tutto il gesso minuto per minuto. Co’ sta gnagnera spagnola che se capiss nagott e ha rotto le balle.
ALKETA VEJSIU: 3. Tanto gatto di marmo Georgina, tanto accelerata Alketa. Insopportabile: come apre bocca ti gira la testa, ti piglia una distonia neurovegetativa, altro che i rapper. Come loro, parla preferibilmente di sé, anche quando parla del suo paese si capisce che lo considera fortunato ad averla. Dice che in Albania presenta tutto lei, e canta, pontifica, disfa e sforca. Ma povero glorioso popolo schipetaro.
I DUETTI: I MIGLIORI SONO NIGIOTTI E CRISTICCHI, MALE (ANZI, MALISSIMO) ELETTRA LAMBORGHINI CON MISS KETA
MICHELE ZARRILLO con FAUSTO LEALI (Debora): 6. Zarrillo pare uscito da Mare profumo di mare, a proposito di Amarcord. Fausto, detto “il negro bianco” quando ancora si poteva dire, ormai è bianco e basta. Sei di incoraggiamento, sono giovani, si faranno (chissà di che).
JUNIOR CALLY con i VIITO (Vado al Massimo): 0. Ma questo qui chi è, il figlio di Demo Morselli, quello di Costanzo? Quanto al Cally, allora è una mania: in mancanza di meglio, sevizia il nostro inno generazionale. Non t’azzardare, ragazzino, la nostra adolescenza non si tocca.
MARCO MASINI con ARISA (Vacanze Romane) 5. Lugubre, tetro, Masini riesce ad incupire anche questa frizzante nostalgia, santa Madonna. Arisa, che già ha i suoi problemi, fa quello che può, ma, date le circostanze, le esce un vocalizzo gotico alla Diamanda Galas. Altro che «Paese che non ha più campanelli», qui mancano solo le campane a martello.
RIKI con ANA MENA (L’Edera): 2. Con Ana Mena, la menata è piena. Con Riki, pizza e fichi. Altro che l’edera, qui siamo al cactus. L’ortica, va’.
RAFAEL GUALAZZI con SIMONA MOLINARI (E Se Domani) 6+. Un po’ esangue, forse, ma più che dignitosa: questione di feeling. Contentiamoci, che siamo ancora offesi da Cally e da Riki.
ANASTASIO con P.F.M. (Spalle al Muro): 6+. Anastasio è bravo, ma comincia a ripetersi nella sua invettiva esistenziale: quanto potrà durare così, inesorabilmente crescendo? E quando canta, cioè segue una melodia, si capisce l’abisso: Renato Zero a vent’anni avrebbe già potuto cantarla, Anastasio può solo rappare. Non è questione di età. Quella che ha scritta in faccia un Franz di Ciccio cadente ma non domo come una vecchia casa di ringhiera.
LEVANTE con FRANCESCA MICHIELIN e MARIA ANTONIETTA (Si Può Dare Di Più): 2. Niente, ‘sta Michielin, se non ce la ficcano dappertutto non son contenti: e chi ha come impresario, il Bildelberg? Soros? L’altra, Maria Antonietta, è la classica hipster insopportabile. Come Levante, del resto. Tutte e tre fanno una lagnaccia che al Pomofiore le avrebbero seppellite. Non di fiori.
ALBERTO URSO con ORNELLA VANONI (La Voce Del Silenzio): 2. Ornella ormai di profilo è aerodinamica. Di fronte è Thing-Fish, e chi conosce Frank Zappa ha capito. Urso è uno che io vorrei sapere chi ha deciso la maledetta mania di imbarcare tutti gli anni qualcuno che fa il tenore pop.
ELODIE con AEHAM AHMAD (Adesso Tu): 4. Va bene il pianista di prestigio, ma occhio che la svolta raffinata il più delle volte prelude a un vertiginoso scassamento di cabasisi. Ci siamo, Elodie.
RANCORE con LA RAPPRESENTANTE DI LISTA (Luce): 3. Va beh ma che senso ha ridurre sempre tutto a fiotto a sbotto di parole? Ma come si fa a essere sempre così rancorosi? Ma canta, se sei capace, che sembri Zalone. Quella che rappresenta la lista forse è meglio se fa quello, nella vita.
PINGUINI TATTICI NUCLEARI (Settanta volte): 4. Io questa roba qui la vedo ogni volta che vado alle sagre dello gnocco fritto.
ENRICO NIGIOTTI con SIMONE CRISTICCHI (Ti regalerò una rosa): 7. Dice: Cristicchi canta Cristicchi. Eh, ma questo rap l’ha inventato quando i rapper erano poppanti. E quale apertura d’ali nel cielo degli ultimi, sulle correnti del dolore: non c’è sempre bisogno di sbraitare per cantare gli imbuti della vita. A Nigiotti va di lusso, ci fa un figurone pure lui.
GIORDANA ANGI con SOLIS STRING QUARTET (La Nevicata Del ’56): 5 E non basta acconciarsi come Mia Martini per diventarla. Ma insomma, lo vogliamo capire una buona volta per cantare bisogna saper cantare? E che cantare non è aprire la bocca e darle fiato?
LE VIBRAZIONI con CANOVA (Un’Emozione da Poco): 2. No, un’emozione da niente. Ma perché bisogna fare sempre queste versioni da bue?
DIODATO con NINA ZILLI (24mila Baci): 4. A me ‘sto Diodato fa un po’ strazio, la Nina lo tira un po’ su, ma sempre strazio resta. Di più non saprei dire, perché non c’è niente da dire.
TOSCA con SILVIA PEREZ CRUZ (Piazza Grande): 6+. Tosca canta bene, lo sappiamo. Non si capisce che voglia fare di preciso nella musica, forse non lo capisce neppure lei, ma è un problema suo. Non male, anzi vince la serata, ma questa versione snaccherata di Piazza Grande a Dalla, che dite, sarebbe piaciuta?
RITA PAVONE con AMEDEO MINGHI (1950): 5. Allora, la grintosa Rita dovrebbe anche imparare, non è mai troppo tardi, che non ogni canzone si deve interpretare come Viva la pappa col pomodoro. Gian Burrasca. Su Minghi, rispetto.
ACHILLE LAURO con ANNALISA (Gli Uomini Non Cambiano): 4/5. Due canzoni di Mimì nella stessa sera. Achille Lauro è uno che, valendo zero, minuscolo, deve far parlare e allora fa il clown. Ma è inutile dire «sì, come volete, sono Bowie», così perculi solo te stesso. Perché sembri Lo Scarpantibus di Bracardi. Molto brava, invece, Annalisa su un brano di una bellezza tremenda, come sempre con Mimì. Fosse stata sola, avrebbe meritato un voto alto assai, peccato.
MORGAN e BUGO (Canzone Per Te): 1. Anche Morgan ormai sembra un personaggio bracardiano. Però non è divertente. Ha la discutibile attenuante della tragicità, quell’essersi sprecato oscenamente. Non ditegli più che è un genio, per favore: non è vero e inchiodatelo alle sue responsabilità, se gli volete bene. Di Bugo non si può nemmeno dir male, sarebbe troppo poco.
IRENE GRANDI con BOBO RONDELLI (La Musica È Finita): 6 1/2. Un pezzo straordinario per due interpreti temerari: l’immenso, sfrotunato, discriminato Umberto Bindi o ti ammazza o ti nobilita. Loro, in verità, se la cavano piuttosto bene, tra le poche cose salvabili di stasera.
PIERO PELÙ (Cuore Matto): 6+. Cuore Matto cantata come Toro Loco? Ma sì: Pelù questo è, un tamarro scisso tra la retorica buona con cui riesuma Little Tony, per duettarci, e la retorica bolsa del «mi vergogno di essere un uomo». Prendere o, più spesso, lasciare. Stasera prendiamo.
PAOLO JANNACCI con FRANCESCO MANDELLI E DANIELE MORETTO (Se Me Lo Dicevi Prima): 6+. Figlio canta padre. Fin troppo uguale, una vertigine. Ma una vertigine puttana, Paolo, perché lo Zelig non ci sarà più, quella Milano lì non tornerà più, Cochi, Renato, il Dogui e tutto il resto non verranno più e neanche tu che ci crescevi dentro ci sei più. E neanche Enzo, e il Beppe, Viola. E nessuno le farà più, queste canzoni qui, e adesso basta che mi vien da piangere tu non devi farceli questi scherzi qui, a noi che sappiamo. Perché noi sappiamo.
ELETTRA LAMBORGHINI con MISS KETA (Non Succederà Più): 0. Oh. Ora. Elettra Miura. Con quell’altra con la maschera. Claudia Mori, fanno, disgraziète maledétte. Per associazione di idee mi viene in mente Dostoevskji: l’Idiota. E, sempre con Fedor, concludo: «Signore, perché?».
FRANCESCO GABBANI (L’Italiano): 4. Questo è un bluff. Ricordate cosa vi dice Max, che ha 55 anni. Questo è un bluff. Mettilo come vuoi, versione scimmia, karma, sovranista con bandierina, ma sempre che è un bluff.
OSPITI: NON SI SALVA NESSUNO
LEWIS CAPALDI: 4/5. Questo salmone scozzesone è un golden boy, ha fatto sfracelli con un solo album, il successo è il più capriccioso degli dèi: goffo, ma di quella goffaggine dei predestinati. Non che mostri chissà cosa, anzi la prima la canta a livelli decisamente assassini. Ma tanto che gliene frega a lui?
ROBERTO BENIGNI: 8 (anni per circonvenzione di 10 milioni di incapaci). Sul mio onore, scrivo prima di vederlo: musichetta pinocchietta, entrata zompettante, abbracci random, dirige l’orchestra, mani addosso ad Ama, cerca di spogliarlo, due cazzate su Sanremo, due cazzate mistiche, due cazzate sull’amore, lectura bigotta con pathos di Mattarella, standing ovation chiamata, Ama al parossimo dell’isteria servile che cerca di evirarsi. Al modico prezzo di 300mila euro (da spartire con Lucio Presta). Il Maestro Manzi con Non è mai troppo tardi erudiva il volgo catodico a costo assai più modico. Mi son subito addormentato alla musichetta pinocchietta. Ci ho preso?
MIKA: 3. Falsetto preoccupante a parte, omicidio in morte di De André a parte, io una cosa vorrei sape’: ma questo a casa sua non ci torna mai? Ma sempre qua sta?
TIZIANO FERRO: 4. Ma era proprio necessaria questa emerita frullatura di gonadi tutte e cinque le sere? Ma cos’è, in bolletta come il canone?
BOBBY SOLO: S.V. Entra gli ultimi 120 secondi, come Causio alla finale dei Mondiali.
LO SHOW: 3. Georgina impalata, professione fidanzata (di Ronaldo): «Es la primera vez que ballo un tango». Amadeus, invece di ringhiarle «si vede», non trattiene l’orgasmo, gli va in tiro anche il naso. Giustamente su Twitter qualcuno manda tutti affanculo pensando a chi studia una vita per finire a pulire cessi e camerini. E non aveva ancora visto, si presume, la vergogna di Elettra e miss Keta. Perché è una vergogna, uno vero schifo. Che resta da dire?
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