Intesa sulle regolarizzazioni di colf e braccianti per sei mesi. Alle 14 il consiglio dei ministri che deve dare il via libera a 10 miliardi per la cig, sei alle pmi, quattro per il taglio Irap. Tutte le novità.
Con l’accordo sulle regolarizzazioni, arriva il decreto Rilancio da 55 miliardi, per il quale è previsto in consiglio dei ministri alle 14. Dieci miliardi per la cig, 6 alle pmi, 4 per il taglio dell’irap, 6 per le pmi, 5 a sanità e sicurezza, 2,5 per turismo e cultura, 2 alla messa a norma delle attività. La ministra dell’Agricoltura Bellanova: un permesso di lavoro di 6 mesi per milioni di persone, ha vinto la dignità, ora tutele. La ministra dell’Interno Lamorgese: dignità a colf e braccianti, garantire legalità ed esigenze del mercato del lavoro.
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Basta chiacchiere su migranti, Mes e mascherine. Se Conte non è capace di fare un salto di qualità, deve saltare e lasciare il posto.
L’Italia, sempre ma soprattutto nel tempo del Covid, ha bisogno di un governo. Quali caratteristiche deve avere questo governo? Deve essere innanzitutto autorevole. L’autorevolezza non significa il consenso bulgaro, ma che il governo sappia comandare la macchina dello stato, sappia prendere decisioni tempestive, indichi ai cittadini i comportamenti che in fase di emergenza si possono temere o no, sappia guidare il sistema regionale, dia agli imprenditori prospettive serie in tempi stabiliti, sappia alleviare le sofferenze dei più poveri.
BASTA CON LE CHIACCHIERE
Queste cose le può fare un governo di sinistra o di destra. A scelta vostra, io ovviamente ho la mia scelta. Non è necessario che questo governo abbia applausi o like sui social, l’importante è che faccia. Una volta Cuore fece l’elenco delle correnti del Pci, che ufficialmente non esistevano, e ne indicò una a guida Gerardo Chiaromonte, storico leader riformista, che aveva come nome “Basta con le chiacchiere”. Ecco: basta con le chiacchiere. Con quelle sui migranti, sul Mes, sulle mascherine ecc. ecc.
UNA SITUAZIONE DI PERICOLO, A PARTIRE DA SILVIA ROMANO
Senza un governo con queste caratteristiche diventa difficile anche la cosa più semplice e si discute di stupidaggini ogni giorno che dio manda in terra. I giornali di destra stanno massacrando la povera Silvia creando attorno a lei una situazione di pericolo che merita di essere vigilata. Un governo serio, in via informale, suggerisce alla prefettura di Milano di non perdere tempo nel darle la tutela. Magari il conto lo mandiamo a Feltri.
SULLE MASCHERINE SI MUOVA IL MINISTRO DEGLI INTERNI
Mancano la mascherine? Oppure ci sono nei depositi delle regioni? Il ministro degli Interni scateni l’inferno e trovi le mascherine e se 0,50 non è remunerativo per i farmacisti (e non lo è) si stabilisca un prezzo equo.
Il Mes, basta con le chiacchiere appunto, chissenefrega delle opinioni dei 5 stelle. Più parlano, più l’Italia appare un debitore inaffidabile.
ORGANIZZAZIONI CRIMINALI IN PIENA FASE 3
E poi occhio a quel che succede nel grande mondo della piccola e media distribuzione: usurai, finanziamenti fasulli ad esercizi per riciclare denaro sporco. Anche le organizzazioni criminali sono uscite dal letargo della Fase 1 e sono in piena Fase 3.
Queste
cose ed altre le può fare un governo vero.
Soprattutto una deve fare. Abbiamo sempre saputo qual era la collocazione internazionale dell’Italia. Ora invece c’è chi tira per Putin e chi per la Cina. L’innamoramento cinese è trasversale. Dovremmo essere, invece, europeisti e atlantisti. Invece siamo tornati una Italietta che si è messa sul mercato. Uno squallore prima che un errore.
O CONTE FA IL SALTO DI QUALITÁ O DEVE SALTARE
Questo governo che servirebbe con tutta evidenza non è il governo Conte. Penso che il premier abbia fatto cose che altri suoi sodali giallo verdi non avrebbero mai fatto. Ha avuto alle spalle un partito generoso, il Pd. Ora non basta più. Ora serve un salto di qualità, o lui fa il salto o deve saltare e lasciare il posto a un altro.
P.S. Leggo che fra qualche giorno questo giornale chiuderà. Mi dispiace molto e sono grato alla redazione e a Paolo Madron pe lo spazio di libertà che mi hanno dato. Io scendo qui. I funerali non mi piacciono.
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L'episodio avvenuto a Moria, sull'isola greca di Lesbo. Il piccolo aveva sei anni. Le fiamme forse dalla cucina.
Un bambino di sei anni è morto a causa di un incendio scoppiato nel campo per migranti e rifugiati di Moria, sull’isola greca di Lesbo. Lo ha riferito Cnn Greece. Secondo le prime indicazioni, l’incendio potrebbe essere scoppiato in una cucina di fortuna nel campo. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, ma per il piccolo non c’era più nulla da fare. È stata aperta un’inchiesta.
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Dalle coste del Nord Africa le partenze sono diminuite. Ma solo per via delle condizioni del mare. Riprenderanno con la primavera. Il rischio del contagio al di là del Mediterraneo non preoccupa chi vuole partire. «Non c’è razionalità che possa fermare chi fugge da guerre e torture e ha investito tutto per questo viaggio», spiega una attivista.
Contagion area.Zone de contagion. Mintaqat aleadwaa. La notizia dell’emergenza coronavirus in Italia è arrivata dall’altro lato del Mediterraneo.
Nei centri di detenzione della Libia e nelle case che nascondono i migranti sulle coste della Tunisia e del Marocco, le voci corrono veloci di bocca in bocca, di dialetto in dialetto.
Ora tutti sanno che il Paese meta del loro viaggio verso la salvezza ha un grosso problema da affrontare. Le Ong che monitorano i barconi in mare hanno registrato una diminuzione delle partenze, ma nell’ultima settimana il mare è stato molto agitato. «Potrebbe essere solo una casualità», spiegano le organizzazioni umanitarie, «ben presto si tornerà a partire, soprattutto man mano che il clima diventerà più mite e il mare più calmo». Secondo i dati forniti dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), dal 28 febbraio non ci sono stati arrivi sulle coste italiane mentre gli sbarchi non si sono mai interrotti sulle isole greche e sulle coste spagnole. Una cosa appare certa: secondo le organizzazione nordafricane, il coronavirus in Italia non scoraggerà i migranti.
Migranti in un centro di Tripoli (Getty Images).
«PER CHI SCAPPA DALLA GUERRA IL VIRUS È L’ULTIMO DEI PROBLEMI»
«La percezione della situazione non può essere oggettiva fuori dall’Italia», racconta a Lettera43.itMustapha Abdelkabir, presidente dell’Osservatorio tunisino sui diritti umani, «e per chi scappa dall’orrore, contrarre un virus è il più piccolo dei problemi. Non spaventa certo più di torture, guerre, rapimenti». Lo confermano i volontari delle associazioni marocchine che si occupano di coloro che vogliono partire alla volta del nostro Paese. Si tratta per lo più di uomini e donne che arrivano dall’Africa subsahariana.
«Non hanno paura», dice la giovane attivista Nadja Assan, «anche se ho spiegato loro che è pericoloso arrivare in Italia in questo periodo, perché ci si può ammalare. Mi rispondono alzando le spalle, perché dopo aver attraversato a piedi il deserto, scampato a guerre e violenze, ormai l’obiettivo verso la salvezza è quasi a portata di mano. Non c’è razionalità che possa fermare chi ha investito tutto per questo viaggio», aggiunge l’attivista che tra l’altro ha parenti in Italia ed è molto preoccupata.
Il salvataggio di alcuni naufraghi nelle acque libiche (Getty Images).
MANCANO I SOCCORSI IN MARE
Secondo Alarm Phone, la linea telefonica diretta di supporto per persone che attraversano il Mar Mediterraneo verso l’Ue, non è escluso che possano partire altre imbarcazioni dalle coste del Nord Africa, ma il problema è che in questo momento in mare non c’è quasi nessuno che possa correre in loro soccorso. La situazione è ancora molto confusa e le Ong non sanno se e quando potranno ripartire. L’11 marzo è partita verso la zona Sar libica la nave spagnola Aita Mari, ma restano i problemi legati agli sbarchi. Dopo un salvataggio, se e quando viene concesso il porto, resta infatti l’obbligo di quarantena a bordo, come accaduto per la nave Sea Watch a fine febbraio.
L’APPELLO DELLE NAZIONI UNITE PER GARANTIRE CURE A TUTTI
Intanto l’emergenza coronavirus ha spinto le Nazioni Unite a lanciare un appello di emergenza per raccogliere decine di milioni di dollari per proteggere i rifugiati vulnerabili. «Sarebbe necessario un importo iniziale di 33 milioni di dollari per rafforzare il sistema di prevenzione e risposta», ha affermato Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr). A oggi, non sono stati segnalati casi di contagi da Covid-19 nelle comunità di rifugiati e richiedenti asilo ma per l’Agenzia è necessario garantire a tutti cure e accesso alle strutture sanitarie.
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Lanci di lacrimogeni e pietre alla frontiera. Mentre Ankara parla di 142 mila profughi in cammino verso l'Europa.
Nuovi scontri al confine tra Turchia e Grecia, dove continuano a essere accampati migliaia di migranti che cercano di entrare nell’Ue. La polizia di frontiera di Atene ha sparato gas lacrimogeni e getti di cannoni ad acqua contro gruppi di persone che cercavano di oltrepassare la frontiera, mentre gli agenti turchi hanno risposto con lacrimogeni lanciati verso il lato greco. Lo riferiscono media locali.
PER ATENE LA TURCHIA HA FORNITO AI PROFUGHI UTENSILI PER TAGLIARE LE RECINZIONI
I migranti hanno risposto ai respingimenti con lanci di pietre. Fonti governative greche accusano la Turchia di aver compiuto «attacchi coordinati» per «aiutare i migranti ad attraversare la recinzione sulla linea di confine». Atene denuncia inoltre che Ankara avrebbe fornito ai profughi utensili per tagliare o danneggiare le recinzioni. La mattina del 6 marzo sono stati sgomberati alcuni accampamenti di migranti. Migranti che sono stati trasferiti su alcuni autobus. Non è ancora chiaro tuttavia se si tratta di uno spostamento lungo il confine o se le autorità di Ankara abbiano iniziato ad allontanarli progressivamente dalla frontiera.
OLTRE 140 MILA MIGRANTI VERSO IL CONFINE GRECO
Complessivamente, è salito a 142.175 il numero dei migranti che – secondo il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu – si sono diretti dalle zone interne del Paese verso la frontiera con la Grecia per cercare di entrare nell’Ue, dopo che il governo di Ankara ha annunciato una settimana fa che non li avrebbe più fermati. Il 5 marzo Soylu aveva parlato di 138 mila persone. Atene ha confermato finora circa 35 mila tentativi illegali di attraversamento impediti.
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Così ha risposto il portavoce della Commissione europea ai giornalisti che hanno chiesto conto del comportamento delle guardie di frontiera della Grecia al confine con la Turchia.
Dopo quello che sta succedendo alla frontiera tra Grecia e Turchia, con le forze dell’ordine turche che invitano i migranti a superare il confine con l’Ue e quelle greche che li respingono, anche utilizzando gas lacrimogeni e proiettili di gomma, a Bruxelles i giornalisti hanno chiesto se il comportamento della polizia ellenica, che è anche sostenuta da Frontex, è legale. Ma la Commissione europea, che è il “guardiano dei trattati” e quindi teoricamente del diritto europeo, ha evitato di prendere posizione. Il primo portavoce dell’esecutivo Eric Mamer ha detto: «La Commissione non può commentare e giudicare una situazione eccezionale». «Tutto», ha spiegato, «dipende dalle circostanze». I giornalisti hanno provato a riporre la domanda per tre volte. Alla fine sono stati spenti i microfoni.
Tercera vez que le preguntan a la Comisión Europea si es legal o no disparar pelotas de goma a solicitantes de asilo.
La guardiana de los Tratados no tiene un "sí o no" porque "todo depende de las circunstancias" pic.twitter.com/LKTpDiSsxC
Il governo invia 1000 agenti al confine greco. Quasi 139 mila persone si starebbero muovendo per raggiungere l'Europa. L'Ue cerca di mediare: «Vogliamo avere un dibattito sereno con Ankara».
Continuano le accuse reciproche tra Turchia e Grecia sulle spalle dei migranti.
Il 5 marzo, il ministro dell’interno di AnkaraSuleyman Soylu ha annunciato l’invio al confine di 1.000 agenti delle forze speciali per evitare i respingimenti da parte delle guardia di frontiera elleniche. Gli agenti, che saranno «pienamente equipaggiati», agiranno lungo «tutto il confine» nella zona del fiume Evros (Meric in turco), frontiera naturale tra i due Paesi, ha spiegato Soylu.
Il 4 marzo Ankara aveva nuovamente accusato la Grecia di respingimenti violenti anche con l’utilizzo di proiettili veri che avrebbero causato un morto e cinque feriti. Accuse che Atene aveva rispedito al mittente, negando ogni responsabilità.
QUASI 139 MILA MIGRANTI DIRETTI VERSO LA FRONTIERA
Giovedì la guardia costiera turca ha riferito di aver soccorso nel mar Egeo 130 migranti e rifugiati, in maggioranza siriani e afghani, tra cui donne e bambini, che sarebbero stati respinti dai greci mentre cercavano di raggiungere le isole dove nell’ultima settimana sono sbarcate oltre 1.700 persone. Sempre secondo il governo turco sono 138.647 i migranti diretti dalle zone interne del Paese verso la frontiera greca dopo l’annuncio che Ankara non li avrebbe più fermati. Atene ha confermato finora 24 mila tentativi illegali di attraversamento impediti.
LA CROAZIA PRONTA A SUPPORTARE LA GRECIA
Con la Grecia si è schierata la Croazia che si è detta pronta a inviare nell’Egeo un altro pattugliatore. Una prima nave, infatti, già da tempo assiste la polizia greca nei controlli davanti alle coste turche. Inoltre, Zagabria sta considerando anche di inviare un contingente di agenti di frontiera terrestri per dare manforte ai greci.
L’EUROPA CERCA DI MEDIARE CON ANKARA
L’Europa che per bocca della presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva ringraziato la Grecia per essere il «nostro scudo», cerca di ricucire con la Turchia. Secondo l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell gli aiuti ad Ankara non sono sufficienti «dato che oggi la situazione è diversa da quella nel 2016» quando fu raggiunto l’accordo sugli aiuti finanziari in cambio del contenimento dei migranti. «L’Ue continuerà ad aiutare la Turchia, ma dobbiamo essere chiari e dire che spingere le persone verso i confini non può essere una soluzione per nessuno, e in più espone a rischi questi migranti», ha aggiunto.
«Non vogliamo che i migranti siano attirati da false promesse, vogliamo avere un dibattito sereno con la Turchia sulla cause della crisi dei rifugiati e per farlo dobbiamo ristabilire la serenità sul campo alle frontiere e questo è il messaggio della Ue», ha sottolineato il portavoce della commissione europea Eric Mamer. «Siamo al centro di un processo diplomatico, è importante che i contatti continuino e che non si rompano i fili del dialogo, tutti gli attori politici della commissione hanno detto che stanno lavorando a soluzioni sul campo, e ciò non si risolve con una sola visita ad Ankara».
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Pallottole mortali al varco terrestre con la Turchia. Arresti. Migliaia di fermi nei centri sulle isole. Richieste di asilo congelate. Mentre Bruxelles ringrazia per la protezione delle frontiere. Ecco perché se Erdogan è un cinico, Atene è incivile.
Non sono le acque libiche, ma quelle della Grecia. Si stenta a crederci, guardando le riprese chiarissime dei profughi in arrivo dalla Turchia mentre vengono respinti a bastonate dalle motovedette della guardia costiera ellenica, al largo dell’isola di Chios.
Traballanti gommoni di disperati, pieni di donne e minori, allontanati a colpi di fucile sparati in acqua e lambiti a tutta velocità dalle imbarcazioni delle autorità greche.
«Un orrore e una vergogna totale, contro ogni legge umanitaria ed etica», ha denunciato la Caritas greca, «perché la guardia costiera dovrebbe fare quanto è chiamata a fare, cioè rispettare le persone e salvare vite». Come impone il diritto internazionale, secondo la legge del mare. Invece accade che il suo operato venga plaudito dalla Commissione Ue. Che ringrazia per Atene per essere «il nostro scudo».
Profughi accampati sulle rive turche dell’Evros, al confine con la Grecia. GETTY.
FRONTEX, LICENZA (ANCHE) DI SPARARE
Eppure le pallottole usate nell’Egeo, come ha rivelato nell’agosto 2016 Intercept, possono essere anche di piombo. Le ultime viste sparare a Chios erano di gomma, ma letali perché in grado di ribaltare o affondare un gommone. Ma negli ultimi due anni la guardia costiera greca, ha ricostruito l’inchiesta della rivista online, tra la Grecia e la Turchia si sono sparati anche proiettili “veri”. Sotto l’ombrello di Frontex, l’agenzia Ue per la difesa delle frontiere esterne, che nel Codice di condotta (articolo 20, comma 2) permette «l’uso delle armi come misura eccezionale, assoggettato ai principi di necessità e proporzionalità». Le regole d’ingaggio di Atene non violano i protocolli europei se, come è stato spiegato in risposta a un’interrogazione di un gruppo di europarlamentari, si sparano colpi di avvertimento in aria, mai contro gommoni, ma contro imbarcazioni, anche barchini di legno. La priorità, specie con altre centinaia di migliaia di siriani in fuga da Idlib, è «contenere la crisi e difendere le frontiere», ha ringraziato la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
CHECK POINT DI SQUADRISTI NEOFASCISTI
Atene per Bruxelles, e per la maggioranza dei politici europei, fa il suo dovere. Le politiche sull’immigrazione del governo Mitsotakis sono durissime: il 95% delle richieste di asilo delle ultime settimane è stato respinto, centinaia di poliziotti sono stati mandati di rinforzo sulle isole degli sbarchi, dove si progettano nuovi centri per stranieri da rinchiudere ed espellere. Al montare della pressione alle frontiere, una settantina di migranti sono stati arrestati, tra le migliaia di bloccati, e sono state sospese per un mese le procedure per la richiesta d’asilo. Passi di dubbia legittimità, ma dall’Ue nessuna reprimenda. Nemmeno circa l’aiuto dato alle forze dell’ordine greche da squadracce dell’estrema destra per impedire la circolazione dei migranti. Gruppi di neofascisti hanno liberamente piantato una rete di check-point e conducono rastrellamenti sull’isola di Lesbo, la Lampedusa greca, anche contro gli operatori dei centri per migranti.
Il muro dell’Ue ai varchi terrestri tra Turchia e Grecia.
MIGLIAIA DI RIFUGIATI BLOCCATI NELL’EGEO
Un centro dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) è stato incendiato, case di attivisti assaltate. Dal 29 febbraio, secondo il ministero dell’Interno turco, più di 100 mila richiedenti asilo starebbero tentando di lasciare il Paese, una volta aperti i confini con la Grecia. Migliaia di profughi sono approdati tra Lesbo, Samos e Chios, isole già in uno stato critico da mesi: solo al centro profughi di Moria, a Lesbo, si trovavano 22 mila migranti, a fronte di 3 mila posti disponibili. Il governo ha interrotto i loro trasferimenti verso la terraferma. La condizione è sempre più esplosiva, anche per la popolazione locale afflitta dai gravi tagli negli anni della crisi, e di per sé in condizioni di privazione. Un bambino di 4 anni è morto, nel mar Egeo, sbalzato da un gommone di profughi ribaltato. Ma anziché governare l’emergenza umanitaria, Atene dispone esercitazioni militari della Marina davanti alle coste di Lesbo.
Via mare è più difficile fermare i flussi dalla Turchia alla Grecia, che via terra. Al varco di Kastanies, lungo il fiume Evron, sono stati bloccati più di 15 mila ingressi dal muro di agenti greci ammassato alle frontiere. Lì un siriano 22enne di Aleppo è morto per una pallottola di gomma alla gola. Altri profughi sono feriti dagli spari, anche di granate di lacrimogeni. Per la Cnn turca, la polizia greca usa «anche proiettili veri»: un’eventualità seccamente smentita da Atene, ma da quello che anche Frontex ha ammesso avvenire nell’Egeo è lecito dubitare. Testimoni hanno sentito diversi spari e visto arrivare ambulanze, i video documentano l’aggressività delle forze dell’ordine. Per Bruxelles i «confini della Grecia sono i confini dell’Ue». A conferma dell’irrigidimento, Frontex ha comunicato di essere «in stretto contatto» con le autorità greche, e di aver loro distribuito «attrezzature e supporto logistico per il monitoraggio».
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Secondo la prefettura della regione di Edirne un profugo è stato ammazzato dagli spari delle forze dell'ordine elleniche e altri cinque feriti. Ma il governo di Atene nega di utilizzare proiettili nelle attività di controllo del confine.
La crisi alla frontiera tra Grecia e Turchia, dopo la decisione del presidente turco Recep Tayyp Erdogan di aprire i confini per far passare i profughi nell’Unione europea, continua.
Il prefetto della provincia frontaliera turca di Edirne ha dichiarato che il 4 marzo almeno un migrante è stato ucciso e altri 5 sono stati feriti negli scontri con la polizia greca al confine turco, dove sono ammassate migliaia di persone che cercano di entrare nell’Ue. Il prefetto ha accusato le forze dell’ordine elleniche di aver «sparato utilizzando anche proiettili veri». Ma le autorità del governo greco hanno negato «categoricamente» di aver sparato ai migranti sul confine. E quella tra Ankara e Atene sembra essere anche una guerra di propaganda.
Video emerges of migrants being shot, injured & in one case killed on Turkish/Greek border. The video is graphic. The Turkish governor says the shots were fired by Greek border guards. 6 injured - 3 in legs/feet, 1 in groin, 1 in leg, 1 in chest - he later died. pic.twitter.com/GN2OP5OPoI
Intanto Erdogan ha chiesto nuovamente il sostegno europeo in Siria, dicendo esplicitamente che questa è la posta se Bruxelles vuole risolvere la questione migranti. Secondo organizzazioni non governative siriane, un milione e mezzo di civili sono stati sfollati negli ultimi mesi nella regione di Idlib.
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La leader dei Grünen Baerbock chiede al governo di accogliere 5 mila persone dalle isole greche. Mentre il candidato alla leadership della Cdu Merz va in direzione esattamente contraria a quella che fu della cancelliera. E si avvicina all'estrema destra dell'AfD.
A cinque anni dal «possiamo farcela» con cui Angela Merkel aprì le frontiere a 1 milione di profughi siriani – integrazione riuscita, dicono tutte le ricerche fatte finora – il processo alla sua linea politica sul fronte migratorio continua a essere considerato dagli esponenti della Cdu, sospesa tra la competizione e all’appeasement con l’estrema destra di Afd (Alternative für Deutschland), uno dei discrimini fondamentali nella corsa alla nuova leadership.
E il paradosso è che l’eredità di Merkel sui migranti, uno dei pochi atti di coraggio per cui la cancelliera si è distinta nei suoi anni alla guida riluttante dell’Europa, è stata raccolta non dal suo partito, ma da quello che, stando ai sondaggi che lo danno costantemente in ascesa, rischia di togliere alla Cdu il timone del Paese: i Verdi.
MERZ (CDU) IN DIREZIONE CONTRARIA: «NON VI POSSIAMO ACCOGLIERE»
È stata infatti la co-leader del partito dei verdi Annalena Baerbock a chiedere al governo tedesco di accogliere 5.000 persone vulnerabili provenienti dai campi di accoglienza delle isole greche. I verdi, ha fatto sapere Baerbock, hanno già depositato una richiesta al Bundestag che potrebbe essere accolta velocemente. Opposta è stata invece la reazione di Friederich Merz, candidato alla presidenza della Cdu, cioè dei popolari della cancelliera Merkel. Merz ha messo in guardia dal pericolo del ripetersi di una nuova ondata migratoria come accadde nel 2015, imboccando esplicitamente la strada opposta rispetto alla donna che ha guidato il partito e il Paese per un ventennio. Bisognerebbe dire ai migranti «che non ha alcun senso venire in Germania», perché «non vi possiamo accogliere», ha sottolineato il candidato della corrente conservatrice del partito all’emittente Mdr. E in questo Merz sembra più allineato proprio con l’estrema destra: l’ex leader di Afd Alexander Gauland ha bollato la richiesta di Annalena Baerbock come «irresponsabile». Chissà, tra le posizioni del suo partito e quelle dei Verdi, cosa sceglierebbe la cancelliera.
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Il presidente turco soddisfatto dell'effetto dell'apertura delle frontiere: «Presto milioni di arrivi in Europa. Pensavano che stessimo bleffando». Secondo il ministro dell'Interno già i117mila hanno passato il confine.
Il tono è quasi beffardo. Recep Tayyp Erdogan, il presidente “neo sultano” della Turchia a cui l’Europa dal 2016 ha delegato la gestione dei migranti alle sue frontiere sotto pagamento di due miliardi di euro erogati alle organizzazioni non governative che gestiscono l’accoglienza nel Paese ha aperto le frontiere per lasciare i profughi affluire nell’Unione e sembra soddisfatto del risultato. «Da quando abbiamo aperto i nostri confini, il numero di diretti in Europa è di centinaia di migliaia. Presto sarà nell’ordine di milioni. Pensavano che stessimo bleffando, ma quando abbiamo aperto le porte sono cominciate ad arrivare le telefonate…», ha dichiarato Erdogan, spiegando la sua decisione di lasciar passare i migranti dopo che in Siria sono stati uccisi 34 suoi soldati. Ankara, infatti, ha lamentato il mancato appoggio europeo nel teatro di guerra. Intanto le conseguenze di questa scelta, si fanno già sentire in Grecia, dove un bambino muore mentre tenta di sbarcare nell’isola di Lesbo.
PER IL MINISTRO DELL’INTERNO SOYLU LE PARTENZE SONO GIÁ 117 MILA
Il ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, ha iniziato a fare i conti delle partenze dalla Turchia e ha scritto su twitter: «Alle 13:50 (le 11:50 in Italia) il numero dei migranti che lasciano il nostro Paese attraverso Edirne (la provincia di frontiera turca con Grecia e Bulgaria, ndr) sono 117.677». La cifra è di circa dieci volte superiore a quella riferita dalle autorità di Atene e dalle ong internazionali. La presidente della Commissine Von der Leyen ha commentato: «Riconosciamo che la Turchia si trova in una situazione difficile riguardo ai profughi, ma quanto vediamo non può essere una soluzione». «Stabiliremo una discussione più intensa», con Ankara, «per capire dove occorre maggiore sostegno, ricordando che abbiamo un accordo in corso, che riteniamo sia la giusta base per iniziare il dialogo. Presto il commissario Lenarcic sarà alla frontiera turca, a Gaziantep, per valutare la situazione»
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Erdogan sotto assedio a Idlib apre le porte ai profughi diretti in Europa per spingere gli alleati della Nato a sostenerlo nel suo scontro mediorientale con Putin. Grecia e Bulgaria mandano rinforzi ai confini. Il rischio di un ritorno alla crisi migratoria del 2015.
Da quando ha firmato l’accordo con la Turchia affinché nel 2016 interrompesse il flusso di migranti dalla Siria, Bruxelles ha messo nelle mani di Erdogan un’arma con cui poter tenere perennemente sotto scacco l’Unione europea. Ora che Ankara vede i suoi interessi in Siria a rischio, ha deciso di utilizzare quell’arma per cercare di difenderli. A partire dalla mattina del 28 febbraio, centinaia di profughi si stanno riversando sui confini di Grecia e Bulgaria per cercare di intraprendere la rotta balcanica che li porterebbe nei Paesi più benestanti del Vecchio continente. La Turchia ufficialmente sostiene di non aver cambiato le proprie politiche in termini di frontiere e di star rispettando l’accordo con Bruxelles (che prevede un pagamento di 6 miliardi di euro).
IL VIA LIBERA UFFICIOSO DI ERDOGAN AI MIGRANTI
Nei fatti, come denunciano diversi media e ong locali, Erdogan ha dato il via libera al passaggio dei profughi dalle sue frontiere. Contemporaneamente, ha chiesto una riunione straordinaria della Nato per discutere della recente offensiva del regime siriano su Idlib, città nel Nord-Ovest della Siria in mano ai ribelli e sotto la protezione di Ankara. Una sorta di exclave turca nel territorio di Bashar al Assad con la quale Erdogan è riuscito a rimanere protagonista nello scacchiere siriano ed essere in grado di trattare con gli altri attori regionali da un punto di forza.
SI INTENSIFICA L’OFFENSIVA SU IDLIB
Da qualche mese, però, il regime siriano sostenuto da Russia e Iran ha dato via, nonostante un precedente accordo che dava alla Turchia il controllo di fatto di quella zona, a un’offensiva su Idlib con il fine di riprendere il controllo di tutto il territorio siriano. Negli ultimi giorni gli scontri si sono intensificati e ci sono state diverse vittime sia tra le truppe regolari turche che tra quelle governative siriane. Assad e Putin non sembrano intenzionati a fermare il loro attacco, e Erdogan alla fine ha deciso di utilizzare la sua arma più forte per provare a trattare. L’obiettivo è quello di coinvolgere il più possibile gli alleati della Nato affinché facciano pressioni su Mosca, vero artefice dell’offensiva governativa su Idlib. Aprendo le porta ai migranti (e minacciando una nuova crisi come quella del 2015), Erdogan fa sentire tutto il suo peso nell’Alleanza di cui è ancora membro (scomodo).
LE MINACCE NEANCHE TROPPO VELATE DELLA TURCHIA
«Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese, preoccupati dagli sviluppi a Idlib, hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali con l’Ue. Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy. Una dichiarazione che suona come una minaccia, anche perché nei fatti i migranti non possono muoversi senza il benestare di Ankara. Se ora sono tornati a premere ai confini dell’Europa è solo per volontà del governo turco.
L’APPOGGIO DELLA NATO ALLA TURCHIA
«Ieri sera ho parlato con il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu e lui ha richiesto questa consultazione, gli alleati hanno presentato le loro condoglianze e espresso la piena solidarietà alla Turchia», ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al termine del Consiglio Nord Atlantico. «Condannano gli attacchi da parte del regime siriano nella provincia di Idlib», ha aggiunto, «e chiedo di fermare l’offensiva, serve una de-escalation a questa situazione pericolosa e si torni al cessate il fuoco». Durante la riunione Nato, la Turchia parlava con l’arma dei migranti dietro la schiena. Gli altri Alleati lo sapevano, e ora sanno anche che può usarla a suo piacimento.
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L'ex ministro negò lo sbarco alla nave della ong spagnola. Contestati sequestro di persona e omissione di atti d'ufficio.
Il tribunale dei ministri di Palermo ha chiesto una nuova autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso Open Arms. «Mi è arrivata un’altra richiesta di processo perché ad agosto ho bloccato lo sbarco di clandestini dalla nave di una Ong spagnola», ha detto il leader della Lega. «Ormai le provano tutte per fermare me e impaurire voi: vi prometto che non mollo e non mollerò, mai».
SEQUESTRO DI PERSONA E OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO
I reati contestati a Salvini sono il sequestro di persona e l’omissione di atti d’ufficio. I giudici ricevettero dalla procura del capoluogo la richiesta di procedere a indagini preliminari nei confronti dell’ex ministro dell’Interno nel novembre del 2019. Il caso riguarda il divieto di sbarco imposto da Salvini all’imbarcazione con a bordo i migranti soccorsi in mare ad agosto 2019. Nel provvedimento, con il quale il tribunale ha sostanzialmente accolto le indicazioni dei pm palermitani, si ripercorre in 110 pagine la vicenda e si afferma l’obbligo di prestare soccorso in mare. I giudici definiscono non politico ma «amministrativo» l’atto di vietare l’approdo ai migranti deciso da Salvini.
UN ATTO CHE NON FU CONDIVISO
Secondo gli stessi giudici, la decisione di non far sbarcare i migranti fu presa da Salvini individualmente, quindi non un atto «condiviso» con gli altri esponenti del Governo. La nave della ong Catalana rimase 20 giorni ferma davanti a Lampedusa, poi furono i magistrati, in seguito a un’ispezione a bordo, a ordinare lo sbarco d’urgenza dei migranti. Nel provvedimento del tribunale dei ministri di Palermo, i giudici sostengono, tra l’altro, che nel caso della ong non c’era alcun indizio che l’eventuale approdo rappresentasse un pericolo per l’ordine e la sicurezza, condizioni a cui il decreto sicurezza bis subordina la possibilità di vietare lo sbarco.
IL VIMINALE NON INDICÒ UN PORTO SICURO
Il collegio inoltre, ripercorrendo la vicenda dell’agosto scorso, sostiene che il Viminale, soprattutto alla luce dell’ordinanza del Tar che aveva sospeso il divieto di ingresso della nave catalana nelle acque territoriali italiane, aveva l’obbligo di indicare all’imbarcazione il Pos, il porto sicuro. Le osservazioni del tribunale ricalcano le considerazioni fatte dalla Procura di Palermo che, a novembre scorso, in una memoria firmata dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Marzia Sabella e dal pm Gery Ferrara, aveva chiesto ai giudici di indagare.
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Il leader della Lega polemizza sullo sbarco a Taranto di 400 migranti, che dovrebbe avvenire nelle prossime ore: «Il governo ci ha messo quattro giorni per concedere un porto sicuro. Allora li denuncio».
Strano ma vero, dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria il leader della Lega, Matteo Salvini, si scopre difensore dei migranti e accusa di sequestro di persona il premier Giuseppe Conte e la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Nel corso di una diretta Facebook, Salvini ha “spiegato”: «A Taranto sbarcheranno 400 migranti a bordo di una nave delle Ong. Con tutti i problemi di lavoro, inquinamento e agricoltura che ha la Puglia, l’unico modo che questo governo ha per ricordare la regione è far sbarcare i migranti. E ci hanno messo quattro giorni per concedere un porto sicuro. Allora denuncio per sequestro di persona il presidente del Consiglio Conte e la ministra Lamorgese. È sequestro di persona solo quando sono coinvolto io? Ci vediamo in tribunale».
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La procura di Gorizia ha aperto un'inchiesta per omicidio volontario. Secondo alcune testimonianze raccolte dal deputato Riccardo Magi, Vakhtang Enukidze sarebbe stato picchiato dalle guardie.
La procura di Gorizia ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario sulla morte di Vakhtang Enukidze, il migrante di nazionalità georgiana trattenuto nel Cpr di Gradisca e deceduto sabato 18 gennaio. Sul suo corpo verrà eseguita un’autopsia, per stabilire la causa esatta della morte. Enukidze, infatti, pochi giorni prima di morire sarebbe stato coinvolto in una rissa con il suo compagno di stanza. E secondo l’associazione “No Cpr – No frontiere Fvg” sarebbe stato picchiato dalle guardie, intervenute per sedare la lite.
ENUKIDZE IN CARCERE PER DUE GIORNI
Enukidze è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e processato per direttissima, rimanendo in carcere per due giorni. Una volta riportato al Cpr si è sentito male ed è morto in ospedale, dove era stato trasferito in ambulanza. Gli attivisti dell’associazione “No Cpr – No frontiere Fvg” hanno diffuso una testimonianza audio raccolta telefonicamente da parte di un altro migrante trattenuto nel Cpr, che afferma di aver assistito al pestaggio: «Vakhtang è stato ammazzato di botte dalle forze dell’ordine all’interno del Cpr di Gradisca», scrive l’associazione sul suo blog, «ce l’hanno raccontato i reclusi, quella stessa notte del 18 gennaio, quando siamo andati sotto le mura del Cpr a parlare con loro, avendo saputo della morte di una persona».
IL CAPO DELLA POLIZIA: «OFFENSIVO IL PARAGONE CON IL CASO CUCCHI»
Anche il deputato di +Europa Riccardo Magi ha raccolto testimonianze simili nel corso di un’ispezione al Cpr, riportandole alla procura di Gorizia. Comprese quelle dei compagni di stanza di Enukidze, che hanno trascorso con lui le ultime due notti prima che morisse. Lo stesso Magi ha paragonato la vicenda al caso Cucchi, suscitando la reazione del capo della polizia Franco Gabrielli: «Fare parallelismi a dir poco arditi lo trovo assolutamente offensivo».
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L'imbarcazione della Ong Sea Eye è entrata nel porto sicuro identificato dal Viminale. A bordo c'è anche una donna incinta.
L’Alan Kurdi è approdata nel porto di Pozzallo la mattina di domenica 29 dicembre. A bordo della nave della Ong Sea Eye c’erano i 32 migranti soccorsi nel Mediterraneo a Natale. Sulla banchina era pronta la macchina dell’accoglienza, anche se perché potessero cominciare le operazioni di sbarco si sono dovuti attendere i controlli medici. La decisione di assegnare Pozzallo come porto sicuro è stata assunta il 28 dicembre dal Viminale, tenendo conto della presenza a bordo di persone in condizioni di vulnerabilità.
SBARCO COMPLETATO
Le operazioni di sbarco sono state completate verso mezzogiorno. Dopo le visite mediche a cura del medico di porto Vincenzo Morello due persone sono state ricoverate nell’ospedale di Modica: una donna al settimo mese di gravidanza e un bambino di sei mesi che soffriva di otite. Il resto del gruppo quasi tutti nuclei familiari di nazionalità libica, è stato trasferito nell’hot spot di Pozzallo, che era stato svuotato perché i rifugiati arrivati nei mesi precedenti sono stati ricollocati in altri Paesi europei.
A BORDO 10 MINORI E UNA DONNA INCINTA
Dei 32 migranti soccorsi 10 sono minori, alcuni in tenera età, e cinque sono donne, compresa quella incinta di sette mesi. La Commissione europea ha già avviato, su richiesta dell’Italia, la procedura per il ricollocamento dei migranti sulla scorta del pre-accordo di Malta.
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I dati del ministero dell'Interno rispetto al 2018. In calo anche furti (-11,8%) e rapine (-17,6%). Ma crescono i maltrattamenti in famiglia (+6,8%) e le multe per eccesso di velocità (+35%).
Nel 2019 gli sbarchi dei migranti in Italia si sono ridotti del 50%. I dati arrivano dal ministero dell’Interno, secondo cui nell’anno che sta per finire sono arrivate sulle nostre coste 11.439 persone, rispetto alle 23.210 del 2018. La differenza con il 2017, quando gli sbarchi furono 118.914, è ancora più netta: -90,3%.
AL PRIMO POSTO CITTADINI TUNISINI
Nel 2019 la maggior parte degli approdi via mare ha riguardato cittadini tunisini (2.654), seguono i pachistani (1.180) e gli ivoriani (1.135). I minori stranieri non accompagnati sono stati invece 1.618, circa mille in meno rispetto al 2018 e 14 mila in meno sul 2017.
L’APPELLO DEL PAPA
Proprio il 25 dicembre papa Francesco, davanti a 50 mila fedeli radunati a piazza San Pietro, ha voluto lanciare un appello definendo i migranti «gli schiavi di oggi». Gesù, ha detto il papa, «sia difesa e sostegno per quanti, a causa delle ingiustizie, devono emigrare nella speranza di una vita sicura. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e mari, trasformati in cimiteri. È l’ingiustizia che li costringe a subire abusi indicibili, schiavitù di ogni tipo e torture in campi di detenzione disumani. È l’ingiustizia che li respinge da luoghi dove potrebbero avere la speranza di una vita degna e fa loro trovare muri di indifferenza».
IN CALO ANCHE OMICIDI E RAPINE
I dati del Viminale dicono che sono calati anche gli omicidi, le rapine, le violenze sessuali e i furti. Ma non i maltrattamenti in famiglia, che risultano in crescita del 6,8%. In questo caso occorre tuttavia verificare se davvero sono aumentati gli episodi o se le donne che spesso ne sono vittime hanno finalmente trovato il coraggio di denunciare. Entrando nei dettagli, le rapine sono scese del 17,6% e i furti dell’11,8%. Gli omicidi volontari sono calati del 9,6%, le violenze sessuali dell’8,9%. Mentre sulle strade c’è stato un incremento del 35% delle multe per eccesso di velocità.
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L'allarme dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite: «Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera e riportati indietro dove sono vittime di violenze e abusi». Intanto il premier ricorda la sua richiesta: «Da Roma nessuna risposta ufficiale»
Nel giorno in cui le Nazioni Unite ricordano che la Libia non è un porto sicuro, il primo ministro Fayez Sarraj sottolinea di averci chiesto armi per la guerra di Tripoli.
QUEGLI 8.600 RIPORTATI IN LIBIA
Il 23 dicembre in una nota l ‘Alto Commissariato dell’Onu per i diritti Umani (Ohchr) ha lanciato l’allarme: «Tra gennaio e novembre, oltre 8.600 migranti sono stati intercettati in mare dalla Guardia costiera libica e riportati in Libia, che ovviamente non può essere considerato in nessun modo come un porto sicuro per lo sbarco». «Migranti e rifugiati in Libia «continuano a essere regolarmente sottoposti a violazioni e abusi tra cui uccisioni extragiudiziali e arbitrarie, detenzione arbitraria, sparizioni forzate, torture, violenza sessuale e di genere, rapimento per riscatto, estorsione e lavoro forzato da parte di funzionari statali, trafficanti e trafficanti », denuncia l’Onu.
SARRAJ CHIAMA L’ITALIA NON RISPONDE
Intanto il premier libicoFayez Sarraj intervistato dal Corriere della Sera ha dichiarato: «Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l‘Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi. Da Roma, in verità, non sono mai giunte risposte ufficiali». «Con Di Maio – spiega Sarraj – abbiamo avuto un ricco scambio d’opinioni. Quanto invece alla sua tappa a Bengasi dal nostro aggressore (il generale Haftar, ndr) e Tobruk non ho visto alcuna sostanza, oltre a generiche dichiarazioni di amicizia che lasciano il tempo che trovano. Così, la comunità internazionale risulta divisa. Da una parte i Paesi disposti ad armare i nostri avversari-aggressori. A loro – prosegue – si contrappongono altri Paesi, tra cui l’Italia, che credono tutt’ora alla formula per cui l’unica soluzione resta il dialogo politico». «Ma si tenga a mente – sottolinea – che qui siamo sotto attacco militare, con sofferenze indicibili per la popolazione vittima di bombardamenti, morti, feriti, con centinaia di migliaia di sfollati».
L’UE CI RICORDA L’EMBARGO
Il portavoce dell’attuale Alto rappresentante dell’Ue, Joseph Borrell a proposito ha ricordato che sulla Libia c’è un embargo: «Alla luce dell’attuale escalation in Libia, soprattutto attorno a Tripoli, l’Unione europea reitera il suo appello a tutte le parti libiche perché cessino tutte le azioni militari e ricomincino il dialogo politico». «Tutti i membri della comunità internazionale dovrebbero osservare e rispettare l’embargo sulle armi dell’Onu»
TRA PUTIN, ERDOGAN, GLI USA E LA GERMANIA
Alla domanda se alla fine saranno Putin ed Erdogan a dettare le regole del gioco, risponde: «È uno scenario difficile, reso ancora più complesso dagli interventi stranieri. Non credo però che l’intera questione possa venire risolta solo dai colloqui tra Putin ed Erdogan. È un processo caratterizzato da continui contatti bilaterali e multilaterali, in cui non mancano le voci degli Stati Uniti, della Germania impegnata con l’Onu a preparare la conferenza di Berlino e degli altri partner europei. Il nostro aggressore ha già fallito. Al momento del suo improvviso attacco il 4 aprile diceva che avrebbe preso Tripoli entro 48 ore. Nove mesi dopo la guerra continua»
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Il tribunale dei ministri ha archiviato la posizione del leader della Lega per il caso Alan Kurdi basandosi anche sul codice di condotta voluto dall'ex ministro degli Interni Pd.
Il tribunale dei ministri che ha deciso di archiviare la posizione dell’ex titolare degli Interni Matteo Salvini ha dato una motivazione destinata a diventare un precedente importante. «La responsabilità di assegnare un “porto sicuro” alle navi con i profughi soccorsi in mare spetta allo “Stato di primo contatto”», riporta il Corriere della Sera, «che però non è sempre facile individuare, «tuttavia, volendo seguire “alla lettera” le indicazioni che si possono ricavare da convenzioni e accordi, “lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio”; dunque se un’imbarcazione che ha raccolto i naufraghi batte bandiera tedesca, è alla Germania che deve rivolgersi per ottenere l’approdo».
IL CODICE MINNITI APPROVATO DALL’UE
Tra le «convenzioni e accordi» che cita il Corsera, risalta il codice di condotta per le ong dell’estate 2017 voluto dall’allora ministro Marco Minniti. Proprio in quel codice, approvato dall’Unioneeuropea, vengono stabilite le regole sulla bandiera di riferimento della ong che ora hanno “salvato” Salvini.
IL CASO DELLA ALAN KURDI
La decisione del tribunale dei ministri, che ha accolto la richiesta della Procura di Roma, riguarda la vicenda della nave Alan Kurdi della Ong tedesca Sea Eye alla quale fu vietato l’approdo in un porto italiano lo scorso 3 aprile. Il leader della Lega era indagato per abuso d’ufficio e rifiuto di atti di ufficio, assieme al suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi e anche nei confronti del prefetto è stata decisa l’archiviazione.
IL NO DI SALVINI ALLO SBARCO
La nave della Ong soccorse al largo della Libia 64 migranti a bordo di un gommone in difficoltà. Dopo il no di Salvini allo sbarco, la nave rimase in mare dieci giorni: il 13 aprile fu Malta a concedere il porto sicuro e i migranti furono ridistribuiti tra Germania, Francia, Lussemburgo e Portogallo.
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Sono cinque, tutte donne. Ci sarebbero ancora 20 dispersi. Di Maio: «Dobbiamo lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, tunisine e del Nordafrica».
Sono cinque, e non sette come era stato comunicato in un primo momento, i cadaveri recuperati fino ad ora dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza dopo il naufragio avvenuto il 23 novembre a un miglio dall’isola dei Conigli di Lampedusa . Le vittime sono tutte donne: i corpi privi di vita di tre di loro sono stati recuperati in mare dalla motovedetta della Guardia Costiera CP 324, mentre quelli di altre due migranti sono stati ritrovati a terra da personale della Guardia di Finanza.
APERTA UN’INCHIESTA
La Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo d’inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio colposo plurimo. Già dalla sera di sabato il procuratore aggiunto Salvatore Vella sta seguendo sistematicamente l’evolversi del caso e ha gestito prima la complessa macchina dei soccorsi dei naufraghi e oggi quella del recupero delle salme che fino ad ora sono cinque. I dispersi sarebbero venti, mente 149 persone si sono salvate.
DI MAIO: «FERMIAMO LE PARTENZE DAL NORDALFRICA»
Il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha commentato così la tragedia: «Ieri sera ho sentito il ministro Lamorgese, in queste ore stiamo seguendo con molta apprensione quello che sta succedendo. Una cosa è certa, noi dobbiamo lavorare per fare in modo che le imbarcazioni non partano più dalle coste libiche, tunisine e del Nordafrica. Ci stiamo lavorando con tutte le nostre forze».
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Il tribunale dei ministri ha accolto la richiesta della procura di Roma. L'ex capo del Viminale era indagato per abuso d'ufficio e rifiuto di atti d'ufficio.
Matteo Salvini in questo caso l’ha scampata. Il tribunale dei ministri, accogliendo la richiesta della procura di Roma, ha archiviato l’indagine che vedeva indagato l’ex ministro dell’Interno per abuso d’ufficio e rifiuto di atti di ufficio per la vicenda Alan Kurdi della Ong Sea Eye del 3 aprile 2019. Archiviata anche la posizione del prefetto Matteo Piantedosi, capo di gabinetto del Viminale.
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L'organizzazione non governativa ha recuperato un'imbarcazione alla deriva con 73 persone a bordo, di cui 24 ragazzini.
La barca dei ragazzini. L’organizzazione non governativa Open Arms ha fatto sapere di aver soccorso all’alba una imbarcazione alla deriva al largo della Libia, a 50 miglia a nord di Az Zawiya, con 24 minori che viaggiavano da soli. La barca trasportava 73 migranti, di cui 69 uomini, 4 donne, 2 bimbi di 4 e 3 anni e più di una ventina di ragazzi. Due volontari di Emergency, Gabriella e Ahmed, rispettivamente infermiera e mediatore culturale a bordo dell’imbarcazione dell’ong spagnola hanno confermato che i «tanti» minori «stanno viaggiando completamente soli».
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Tramite finti ricongiungimenti familiari un gruppo di persone originarie di Pakistan, Bangladesh e India faceva entrare in Italia alcuni connazionali, anche minorenni.
I carabinieri di Torino hanno scoperto un traffico di migranti che sarebbe stato organizzato da otto persone originarie del Pakistan, del Bangladesh e dell’India. Vittime alcuni connazionali, anche minorenni.
Il traffico sarebbe stato organizzato con l’aiuto di un avvocato, che dietro pagamento avrebbe agevolato le pratiche per ottenere i permessi di soggiorno. L’uomo è stato sottoposto all’obbligo di dimora e i carabinieri hanno perquisito il suo studio e la sua abitazione.
Le indagini dell’Arma hanno accertato l’esistenza di falsi documenti su stati di famiglia e dichiarazioni di ospitalità con cui consentire l’ingresso in Italia di migranti tramite finti ricongiungimenti familiari.
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Le nuove disposizioni sul permesso di soggiorno per motivi umanitari non si applicano a chi ha fatto domanda prima del 5 ottobre 2018. Ma per ottenerlo non basta dimostrare di essersi integrati.
Il decreto sicurezza fortemente voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini ed entrato in vigore il 5 ottobre 2018 non può essere applicato in maniera retroattiva. Il provvedimento ha introdotto norme più rigide in materia di immigrazione e in particolare per quanto riguarda la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.
Le Sezioni Unite della Cassazione, tuttavia, hanno chiarito che il decreto non si applica ai richiedenti che hanno fatto domanda prima del 5 ottobre 2018, i quali potranno quindi ottenere il riconoscimento della vecchia protezione umanitaria e il relativo permesso. Il verdetto è arrivato dopo che il Viminale aveva fatto ricorso contro tre casi di concessione.
Per un altro verso, tuttavia, i giudici hanno dato ragione al ministero dell’Interno, affermando che il semplice fatto di essersi socialmente ed economicamenteinseriti nella società italiana non è sufficiente per dare ai migranti il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Non basta quindi dimostrare di essersi integrati, occore anche comprovare la «specifica compromissione» dei diritti umani nel Paese d’origine.
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Nei primi 10 mesi dell'anno sono sbarcati 11.900 profughi. Sulla rotta orientale ne sono partiti 63 mila, +31% rispetto al 2018.
Il totale dei migranti arrivati nell’Ue attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, nei primi dieci mesi del 2019, sono stati 11.900, il 45% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. Il numero dei migranti arrivati su questa rotta in ottobre, si è attestato a quasi 2.050, ovvero il 27% in meno rispetto al mese precedente. Sono i dati di Frontex. Tunisia, Sudan, Costa d’Avorio e Pakistan sono le nazionalità più rappresentate su questa rotta nei primi 10 mesi del 2019.
AUMENTANO GLI ARRIVI NEL MEDITERRANEO ORIENTALE
Nonostante il rallentamento di ottobre, dovuto alle peggiori condizioni meteo, il totale di migranti arrivati nell’Ue attraverso la rotta del Mediterraneo orientale nei primi 10 mesi del 2019 è aumentato del 31% rispetto al 2018, a quasi 63 mila. E anche se a ottobre il numero totale degli arrivi è sceso del 18%, rispetto a settembre, attestandosi a circa 10.800, il dato pesa per i due terzi di tutti i rilevamenti nell’Ue.
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Secondo i media della Valletta, l'intesa prevede che le forze armate dell'isola segnalino alle motovedette di Tripoli le imbarcazioni dei trafficanti prima che entrino nelle acque territoriali. Alarm Phone: «Così si impedisce di fuggire da una zona di guerra».
Un accordo segreto tra Malta e Libia, per un coordinamento tra le forze armate dell’isola (Marina compresa) e la controversa Guardia costiera di Tripoli. L’intesa, secondo il quotidiano Times of Malta, prevede che i barconi dei migranti vengano segnalati dalla Marina maltese alle motovedette libiche prima che facciano ingresso nelle acque della Valletta, affinché vengano intercettati e riportati indietro. Per Alarm Phone si tratta di un fatto gravissimo, perché l’accordo «impedisce alle persone di fuggire da una zona di guerra e viola le convenzioni internazionali sui diritti umani»
Il sito web del Times of Malta pubblica la foto di un incontro tra il colonnello maltese Clinton O’Neil, capo delle forze armate e dell’intelligence militare, in compagnia del vicepremier libico Ahmed Maiteeq, organizzato dall’ambasciatore maltese a Tripoli. In primo piano appare un membro del Gabinetto del primo ministro maltese, Neville Gafà, più volte accusato di corruzione per il rilascio di visti per ragioni mediche concessi in modo irregolare.
Secondo il quotidiano, Gafà si è accreditato come “inviato speciale del premier Joseph Muscat” in incontri con il governo libico e lo scorso anno fu costretto ad ammettere di aver avuto un incontro con Hajthem Tajouri, leader di una milizia che gestisce un campo privato di detenzione ed il racket delle estorsioni. Secondo quanto indicato da fonti di alto livello del governo, citate dal quotidiano, i primi contatti tra La Valletta e Tripoli risalirebbero allo scorso anno.
“Ora abbiamo raggiunto un accordo che possiamo chiamare di comprensione con i libici – ha detto la fonte – Quando c’è un battello che si dirige verso le nostre acque, la Afm si coordina con i libici che li prende e li riporta in Libia prima che entrino nelle nostre acque e diventino di nostra responsabilità”. La fonte governativa, secondo il Times of Malta, avrebbe anche sottolineato che senza l’accordo l’isola sarebbe stata “sommersa dai migranti”.
Dal gabinetto del primo ministro, un portavoce ha affermato che incontri bilaterali vengono continuamente condotti da Malta su base regolare, aggiungendo che il paese “rispetta sempre” le convenzioni e le leggi internazionali. “L’Ue – ha detto – si spende attivamente a favore del rispetto delle istruzioni delle competenti autorità europee che sono contro l’ostruzione delle operazioni condotte dalla guardia costiera libica, che è finanziata ed addestrata dall’Unione europea stessa per sostenere la gestione dei migranti e combattere il traffico di esseri umani”. La Ong
Alarm Phone su Twitter ha commentato: “Sebbene non sia una sorpresa, ora è confermato che le autorità maltesi coordinano le intercettazioni in collaborazione con la Libia. Questo impedisce alle persone di fuggire da una zona di guerra e viola le convenzioni internazionali dei diritti dell’uomo”.
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Le stime sono state diffuse dal governatore Ignazio Visco. Eppure la cifra record non riuscirebbe a compensare l'invecchiamento della popolazione europea. Mentre la crisi ambientale rischia di ridurre il nostro reddito pro capite del 25%.
Un mondo spezzato dalla crisi ambientale e in cui i flussi migratori diverranno correnti di esseri umani in movimento da un continente all’altro. Le prospettive per il futuro secondo il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco delineano uno scenario molto complesso da gestire. «Tra il 2020 e il 2030 il flusso di nuovi migranti potrebbe raggiungere la cifra record di circa 230 milioni di persone, quasi quanto la loro attuale consistenza. In Europa, tuttavia, gli arrivi previsti non basterebbero più a impedire una sensibile diminuzione del numero di persone in età attiva». È il quadro tracciato dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «La crisi ambientale – ha aggiunto – potrebbe ridurre il reddito pro capite mondiale di quasi un quarto entro il 2100 rispetto al livello che si potrebbe altrimenti raggiungere, con riduzioni forti soprattutto nel Sud del mondo e più lievi (in qualche caso aumenti) nel resto del pianeta».
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Previsti 33mila visti di lavoro l'anno con gli stranieri"professionali" reclutati «in base alle necessità». Il 6 novembre l'annuncio della riforma che include anche restrizioni per ottenere le cure mediche di basei.
Le riforme che il governo di Parigi è pronto ad annunciare il 6 novembre faranno discutere e potrebbero far piovere su monsieur le président Emmanuel Macron nuove critiche. Un sistema di quote per facilitare l’immigrazione economica e regole più severe per l’accesso degli stranieri all‘assistenza sanitaria gratuita: questi i nuovi imminenti provvedimenti della Francia, mentre parte la corsa per le elezioni comunali di primavera con il solito testa a testa tra il partito En Marche dell’attuale presidente e il Rassemblement National di Marine Le Pen.
MIGRANTI RECLUTATI «IN BASE ALLE NECESSITÀ»
In attesa di conoscere i dettagli delle nuove disposizioni, che verranno annunciate il 6 novembre dal premier Edouard Philippe, la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, ha confermato l’introduzione di un sistema annuale di “quote“, anticipato il 5 novembre dai media. Un dispositivo che dovrebbe entrare in vigore già dall’estate, per assumere a seconda dei bisogni di manodopera. «Sarà la Francia a reclutare rispetto alle sue necessità. È un nuovo approccio, un po’ come in Canada e in Australia», ha dichiarato la fedelissima di Macron, aggiungendo che «l’idea è avere numeri precisi, oppure delle quote».
PREVISTI CIRCA 33 MILA VISTI DI LAVORO L’ANNO
Pénicaud ha aggiunto che questa sorta di immigrazione à la carte sarà «abbastanza modesta nei numeri», circa 33 mila persone all’anno. L’immigrato «professionale» disporrà di un «visto di lavoro per una durata determinata e un lavoro determinato», ha precisato.
CRITICHE DA SINISTRA
La sinistra però attacca, accusando il presidente di sfruttare elettoralmente il dramma migratorio, mentre la destra si trova spiazzata da quello che sarebbe potuto diventare un suo cavallo di battaglia. Nella cosiddetta ‘patrie des droits de l’Homme‘ le quote sui migranti suscitano critiche, anche impietose, da parte della società civile. Per la prima pagina di Le Monde il vignettista Plantu ha disegnato una nave battente bandiera francese che accosta un’imbarcazione di fortuna carica di migranti. Un funzionario si sporge dal parapetto rivolgendosi allo sfortunato equipaggio di esiliati: «Abbiamo bisogno di due idraulici e di tre addetti alle macchine fresatrici. Per gli altri ripassate domani…».
RESTRIZIONI PER L’ACCESSO ALLA SANITÀ PUBBLICA
Insieme con le regole per «adattarsi in tempo reale ai bisogni delle nostre imprese» facilitando l’immigrazione economica, saranno messe a punto e migliorate le norme per la concessione dei visti, con l’istituzione di una commissione incaricata di migliorare le relazioni fra consolati e prefetture. Nella ventina di provvedimenti che verranno annunciati il 6 novembre dopo il consiglio dei ministri c’è anche l’inasprimento di alcune regole e controlli per l’accesso di richiedenti asilo e immigrati irregolari alle cure della sanità pubblica. Philippe ha insistito sulla «necessità di lottare contro frodi ed abusi», come auspicato da Macron.
TRE MESI DI ATTESA PER LA PROTEZIONE MEDICA DI BASE
Il capo dello Stato si è detto determinato a «risolvere rapidamente» la questione di «coloro che vengono con un visto turistico, restano tre mesi e poi hanno diritto all’Ame» (l’aiuto medico di Stato, accordato agli stranieri in situazione irregolare, ndr). Nonostante le proteste delle correnti più a sinistra del partito di maggioranza – La République en Marche – e di molte associazioni, il governo instaurerà un trimestre di attesa per l’accesso alla Protezione universale malattia, l’assistenza di base destinata «a tutti coloro che lavorano o risiedono in Francia in modo stabile e regolare». Finora, il diritto scattava appena depositata la richiesta.
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Una commissione congiunta potrà intervenire sull'accordo firmato nel 2017 per contrastare il traffico di esseri umani e fermare le partenze. Ma l'intesa viene rinnovata.
Migliorare il memorandum con la Libia sul piano dei diritti umani dei migranti, ma comunque mantenerlo. Fonti del governo italiano hanno fatto sapere di aver chiesto al governo di Tripoli di riunire la commissione congiunta dei due Paesi per modificare l’intesa sul contrasto all’immigrazione clandestina e al traffico di esseri umani. La commissione dovrebbe essere presieduta da parte italiana dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.
Il memorandum Italia-Libia è stato firmato nel 2017 dall’allora premier Paolo Gentiloni e dal primo ministro libico Fayez al-Serraj. L’accordo è figlio della situazione vissuta dall’Italia tra il 2015 e il 2017, quando l’arrivo di migranti dalla Libia e l’attività degli scafisti erano al loro apice. Nel 2016 gli arrivi erano stati oltre 160 mila, con una punta di 12 mila in sole 48 ore, tra il 25 e il 27 giugno 2017.
Il memorandum si rinnova oggi con la procedura del silenzio-assenso.Alla Libia vengono forniti aiuti economici per i cosiddetti centri d’accoglienza, corsi di addestramento e motovedette per la Guardia costiera. Ma proprio la Guardia costiera libica risulta formata almeno in parte da milizie locali colluse con i trafficanti.
I contenuti esatti del memorandum non sono mai stati esaminati dal parlamento. Secondo l’Onu, inoltre, i centri libici sono a tutti gli effetti dei centri di detenzione, in cui i migranti vengono costretti in condizioni disumane. E la Libia è un Paese in guerra, dunque non può essere considerato un porto sicuro secondo la comunità internazionale.
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La nave della ong tedesca Sea Eye è in mare da sette giorni. A bordo 88 migranti salvati al largo delle coste della Libia.
L’Alan Kurdi è entrata in acque italiane. Ad annunciarlo è stata la Sea Eye. «Proprio ora siamo entrati in acque territoriali italiane per cercare riparo dal vento e dalle onde», ha fatto sapere con un tweet la ong tedesca a bordo della nave. «Nonostante la soluzione diplomatica per le restanti 88 persone salvate a bordo della Alan Kurdi, non ci è stato ancora assegnato un porto sicuro. Un altro capitolo buio per la fortezza Europa». La Alan Kurdi è in mare da sette giorni, a poche miglia dalle coste della Sicilia orientale, con a bordo un carico di 88 migranti soccorsi al largo della Libia. Secondo quanto riferito dalla ong, nelle prime ore del mattino dell’1 novembre una 20enne è stata evacuata per ragioni sanitarie dalla Guardia costiera italiana. Domenica 27 ottobre era stata evacuata anche una donna incinta. «Quando termina questo blocco?», ha chiesto Sea Eye.
Just now, we have entered Italian territorial waters to seek shelter from wind and waves.
Despite the diplomatic solution for the remaining 88 rescued people on board the #AlanKurdi, we have not yet been assigned a safe port.
A unirsi alle richieste di approdo della ong c’è anche Leoluca Orlando: «Il governo italiano dia al più presto alla nave Alan Kurdi l’indicazione di un porto sicuro dove far sbarcare gli 88 naufraghi salvati in mare e già provati dalla navigazione e dalle violenze subite», è l’appello lanciato dal sindaco di Palermo l’1 novembre. «A maggior ragione dopo le parole della ministra Lamorgese che ha smontato la polemicasull’aumento degli sbarchi, l’Italia non si sottragga ai propri doveri internazionali e confermi ancora una volta il primato dell’umanità e dei diritti sulla cultura della violenza e dell’indifferenza». Intanto Alarm Phone ha annunciato la presenza di un’altra barca in pericolo con a bordo 40 persone al largo di Malta.
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