La politica va ripensata radicalmente. Serve avviare il reset di sistema, cominciando a immaginare una nuova formazione sintonizzata con le sensibilità e le forme organizzative che Internet e le tecnologie stanno disegnando. Cinque proposte per aprire il gioco.
«Il prezzo pagato dalla brava gente che non si interessa di politica è di essere governata da persone peggiori di loro». Siamo così contemporanei da essere costretti a riscoprire Platone.
Il dopo elezioni regionali ci consegna infatti istantanee partitiche pietose: il Movimento 5 stelle convoca Stati Generali che non hanno mai portato bene, dalla Rivoluzione francese in poi, a chi li ha convocati. Forza Italia che esulta in Calabria mentre quasi scompare in Emilia-Romagna, a conferma di due Italie sempre più divaricate. Il Pd che prima annuncia il cambio di nome ma poi ci ripensa: «Contrordine compagni».
In linea peraltro con le tante giravolte e proposte estemporanee delle forze e leader minori che sgomitano per sopravvivere.
IDEE PER AVVIARE IL RESET DI SISTEMA
Senza parole e senza futuro. Personalmente mi sento così e credo tanti come me. Convinti però sia urgente ripensare radicalmente la politica. Avviare il reset di sistema, cominciando a immaginare cornice e tratti di un partito nuovo e tale perché sintonizzato con le sensibilità e le forme organizzative che Internet e le tecnologie stanno disegnando. Ossia essere un partito, di sinistra o destra allo stesso modo se condivide questa doppia evocazione, ancorato alla triade costitutiva dell’attuale società che è digitale, mobile, social.
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E così dicendo aggiungerò che queste considerazioni sono sociologiche, un po’ immaginarie e futuriste. What if. Cosa accadrebbe se…A partire dalle Regionali che pure hanno offerto qualche novità, sia pure sotto traccia o allo stato embrionale. Che potrebbero avere sviluppi o al contrario rivelarsi effimere. Insomma il gioco delle possibilità è aperto. Le seguenti considerazioni, organizzate in 5 punti, vogliono solo aprire il gioco.
1. PARTITO.COM: L’ESEMPIO DELLE SARDINE
Il Partito.com o il partito nuovo che c’era. Il senso (paradossale) è presto detto. Allude a un partito che accoglie tutte le istanze peculiari di un ecosistema digitale. Ovvero comunicazione veloce e personalizzata. Organizzazione territoriale che sfrutta o costruisce reti civiche. Così come il data base del proprio pubblico/elettorato. Il partito.com presidia la Rete e i social. Ma allineando lo storytelling politico con le attività concrete, di informazione e mobilitazione sul territorio, che sono state prerogative del partito di massa. La logica è la stessa che viene raccomandata ai brand e alle attività commerciali di mixare l’online e l’offline. Un esempio convincente sono state le Sardine, convocatesi con un flashmob lanciato su Facebook, riuscendo però a riempire piazze reali. Con un invito e un like, ma trovandosi in piazza tutti assieme a cantare Bella Ciao.
2. IL PARTITO HUB: SULLA SCIA DI STEFANO BONACCINI
Il partito hub. L’immagine o modello di riferimento è un hub aeroportuale. Punto di partenza e arrivo dei diversi modi di militare e identificarsi in un movimento politico o in un programma. In nuce il partito hub ha fatto le prove tecniche nello schieramento che si è riconosciuto in Stefano Bonaccini. Non un cartello elettorale come già si è visto in tante tornate, ma un insieme di liste autonome e portatrici di un programma specifico. Ognuna d’esse in grado di mobilitare un proprio elettorato. Ora, onestamente, non credo che questo fosse un disegno. Tuttavia per quanto non pianificato è da questo tipo di partito aggregatore, proprio come gli aggregatori di news o siti Internet, che scaturisce la visione di una struttura partitica che fa propri i modi di condivisione costitutivi del web.
3. IL PARTITO PUZZLE: LA COMPLEMENTARIETÀ
Il partito puzzle. Riprendendo l’ultimo concetto va specificato che condividere non significa allearsi, concetto e pratica ben conosciuti alla politica tradizionale. Condividere significa non solo fare rete. Bensì fare nodo di rete, ovvero specificare le diverse funzioni all’interno del nodo, renderle complementari e integrarle. O meglio: ottimizzarle. In altre parole anziché il partito omnibus che si occupa di tutto, più partiti segmentati & associati che condividono una visione di società e un programma comune e si mobilitano su temi e argomenti specifici. Il partito puzzle è un partito virtuale al quale aderiscono movimenti, associazioni, gruppi civici, ognuno con le proprie identità e specifici interessi. Un partito che si compone e scompone alla bisogna. È mobile. Ed è tutt’altra cosa rispetto alla forma partito tradizionale organizzata in gruppi di lavoro o aree tematiche (ambiente, economia e lavoro, cultura…).
4. RAP O TRAP-PARTITO: ALLA CONQUISTA DELLA GENERAZIONE Z
Rap o Trap-partito. Cosa insegnano alla politica i cantanti rap e trap ce lo spiega una bella riflessione di Andrea Girolami che, per quanto riferita al mondo dell’informazione, dà alla politica degli ottimi consigli. I vari Ghali, Mahmood e Machete Crew pur essendo rivali, sono coinvolti in una trama comune, collaborativa, si invitano nei rispettivi concerti, si scambiano idee e consigli. Fanno squadra, per disegnare strategie, soprattutto di comunicazione, che puntino alla conquista del pubblico. Che sulla Rete è formato soprattutto da millenial e Generazione Z: ovvero persone fluide, crossmediali, che per agganciarle bisogna raccontarle bene e giuste. «Stasera live a Milano Ferruccio de Bortoli e, dall’altro lato della città, Gemitaiz. Tu da che parte stai?». Basta sostituire il nome dell’ex direttore del Corriere della Sera ai leader dei vari partiti, per rendersi conto che quasi tutti stanno ancora nel vecchio mondo. Quello pre-Rete, incarnato nella sua massima espressione da Silvio Berlusconi: il progenitore dei due Mattei (i gemelli diversi Salvini e Renzi), versione giovanilista, ma decrepita, dell’attuale tipologia di leader che a ogni latitudine è presuntuosa, vanagloriosa e irrispettosa dell’avversario. L’immagine di Nancy Pelosi che, appena Donald Trump termina il discorso sullo Stato dell’Unione trasformato in un becero comizio elettorale, ne straccia i fogli è solo l’ultima istantanea di una politica al capolinea. Almeno si spera.
5. PARTITO REPUTAZIONALE: SULLA SCIA DI ELLY SCHLEIN
Il Partito reputazionale. È ideologico e non post ideologico. Pone fine all’ultratrentennale processo di “inversione ideologica”, cioè al rovesciamento del significato di concetti fondamentali, come scrive Jonathan Friedman in Politicamente Corretto facendo l’esempio del termine nazionalismo, che era un valore progressista negli Anni 50 e 60, e ora invece è considerato reazionario. Il partito reputazionale obbliga alla chiarezza (anche di linguaggio). Tanto che, per dirne una, la parola progressista diventa improponibile. La credibilità del partito, la sua reputazione, può essere continuamente monitorata e misurata. Un ascolto attento è la premessa per proposte e scelte efficaci. Un partito di nuova generazione, non può (non potrà) prescindere da persone e volti nuovi. Giovani e soprattutto donne, che non siano come oggi controfigure maschili, bensì persone capaci di interpretare l’attuale momento, di trasformazione distruttiva, e proporre soluzioni a problemi (questione sociale e ambientale) diventati drammatici e non più eludibili con promesse facili o richiami alla conservazione. Ossia con salvinate o melonate. La determinazione, competenza e chiarezza espositiva di Elly Schlein sono un’indicazione bipartisan di percorso e di metodo. Che già esprime leadership femminili in varie parti d’Europa e ha un autorevole punto di riferimento in Sanna Marin, la 34enne premier finlandese.
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