Portalettere e addetti agli sportelli devono garantire il servizio. Per 1.300-1.500 euro al mese. E con il contratto nazionale scaduto nel 2018. Sono 80 mila i dipendenti al lavoro col pubblico. I sindacati chiedono di far slittare i pagamenti delle utenze. Mentre le raccomandate sono già senza firma per ridurre i contatti.
Un pericolo corso, oggi, per uno stipendio medio che oscilla tra i 1.300 e i 1.500 euro al mese. Portalettere e addetti agli sportelli delle Poste sono tra i lavoratori in prima linea contro l’emergenza coronavirus. Ma vivono una situazione difficile: un salario tutt’altro che stellare e un contratto nazionale scaduto dal 2018, che attende un rinnovo. Però, quando tutto si sbloccherà, potrebbero non esserci significativi aumenti in busta paga, a causa della crisi economica in arrivo.
DUE LAVORATORI DELLE POSTE MORTI NEL BERGAMASCO
La tragedia nel Bergamasco, con due morti, ha confermato la gravità della situazione, tanto che è stata sollevata la questione su una possibile chiusura degli uffici nell’attesa di un rallentamento della diffusione del Covid-19. Posizione poi ritrattata. Su questo versante i sindacati sono orientati a chiedere di stoppare i pagamenti delle utenze con lo scopo di limitare gli accessi agli sportelli. La richiesta è stata avanzata all’Agcom, ma una decisione definitiva deve essere assunta dal ministero dell’Economia guidato da Roberto Gualtieri.
SONO 80 MILA DIPENDENTI A CONTATTO COL PUBBLICO
Le Poste hanno un totale di oltre 129 mila dipendenti. La maggior parte, circa 80 mila lavoratori, sono suddivisi tra portalettere e sportellisti, mentre ci sono 11 mila persone impegnate in attività di consulenza per la parte finanziaria. I consulenti sono stati i primi a essere fermati di fronte all’emergenza, gli altri devono garantire il servizio.
CONTRATTO COL GOVERNO DA RISPETTARE
La società guidata dall’amministratore delegato Matteo Del Fante ha un contratto di programma con il governo, per un valore di 260 milioni di euro, per cui deve garantire il servizio universale postale. I quasi 13 mila uffici dislocati sul territorio nazionale non possono essere tutti chiusi e anche l’attività di corrispondenza deve proseguire. Seppure rallentata, visto il minore volume.
SMART WORKING E CHIUSURA DEL 65% DEGLI UFFICI
Nicola Di Ceglie, segretario della Slc Cgil, spiega a Lettera43.it: «Poste italiane è stata una delle prima aziende ad attivare un’unità di crisi sul coronavirus. In maniera graduale si sta adeguando, in base all’evoluzione degli eventi. Oggi la maggioranza dei lavoratori sta operando in smart working, ma i portalettere e gli addetti agli sportelli non possono lavorare a distanza. Così, in un piano di razionalizzazione, è stato chiuso il 65% degli uffici sul territorio. Per il resto bisogna rispettare il contratto di programma con il governo».
FIRMA DEI DOCUMENTI SOLO PER GLI ATTI GIUDIZIARI
L’eventuale serrata totale, dunque, non può essere decisa dalle Poste, perché altrimenti verrebbe meno agli accordi sottoscritti. Su questo punto aggiunge Di Ceglie: «Lo stop totale porterebbe la cassiera del supermercato, l’edicolante o il tabaccaio a chiedere perché gli uffici postali chiudono, mentre loro devono lavorare. Occorre responsabilità e non bloccare il Paese, garantendo la massima sicurezza a tutti. Già il fatto di non dover firmare le raccomandate rappresenta un passo in avanti importante, perché evita contatti personali». La firma dei documenti postali, infatti, riguarda ora solo gli atti giudiziari.
CHIESTO LO STOP DEL PAGAMENTO DELLE UTENZE
Il problema della salute dei dipendenti è sul tavolo. La richiesta è quella di limitare sempre di più le possibilità di contatto con il pubblico. Scrivono, in una nota congiunta, le segreterie nazionali delle sigle sindacali di settore: «Ieri alle Poste si sono effettuate 565 mila operazioni di sportello e di queste 300 mila solo di operazioni di pagamento. Ci rivolgiamo al governo e alle aziende di utility di tutto il Paese per chiedere loro se sia possibile e necessario, mentre la gente muore, posticipare di almeno un mese la scadenza dei pagamenti delle utenze, al pari delle altre scadenze già differite dal governo». Secondo i sindacati «questo consentirebbe il minor afflusso di persone negli uffici e, di conseguenza, di minor utilizzo di personale in servizio».
E DOPO L’EMERGENZA? INCERTEZZE SUL FRONTE CONTRATTUALE
Ma anche sul futuro gravano incertezze. Certo, adesso c’è da pensare alla tutela della salute, ma dopo bisogna vedere quali sviluppi ci saranno sul fronte contrattuale. Il Ccnl è scaduto dal 2018, per il 2019 è stata prevista la formula dell’una tantum per integrare gli stipendi. L’emergenza coronavirus ha portato al rinvio della trattativa che era in corso. Ma ci sono tante incognite sul quando e soprattutto sul come riprenderà. Di Ceglie su questo ammette: «Ci sarà un’inevitabile crisi economica che avrà un impatto. Il discorso comunque si affronterà a tempo debito, per ora è necessario concentrarsi sulle misure per garantire la sicurezza dei lavoratori».
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