Prosegue il braccio di ferro tra il generale e Serraj. Una situazione destinata a proseguire con il rischio di una deriva ancora più sanguinosa. A meno che non insorga la popolazione contro la chiusura di pozzi e porti petroliferi. O non si affacci l'emergenza pandemia.
La richiesta di Ghassan Salame di essere sollevato dall’incarico di Inviato speciale Onu per la Libia, motivata da ragioni di salute che non gli permetterebbero più di reggere lo stress derivante dalla dinamica libica, ben rappresenta il garbuglio dei fattori di tensione in atto nel Paese.
Fattori interni ed esterni tanto strettamente interrelati da risultare reciprocamente paralizzanti nello scontro tra i due fronti principali – l’uno facente capo al generale Khalifa Haftar all’interno e a Egitto, Emirati, Francia, Russia all’esterno; l’altro al governo riconosciuto internazionalmente di Fayez al-Serraj (Tripoli) e a Turchia, Qatar all’esterno – sui quali interferiscono anche pesantemente milizie locali, per non parlare di quelle jihadiste in attività crescente. Un garbuglio che non serve né alla pace né alla guerra e che obbliga chi crede al superiore valore della prima a una sorta di riedizione della punizione di Sisifo.
LA NOMINA DEL DIPLOMATICO ALGERINO LAMAMRA
Ed è in nome di questa convinzione che, come era giusto e opportuno che fosse, Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, ha ritenuto necessario procedere prontamente – in attesa del perfezionamento della procedura ufficiale di incarico al nuovo Inviato speciale dell’Onu, individuato nel diplomatico algerino Ramtane Lamamra – alla nomina di un facente funzioni, una specie di “Incaricato d’Affari” nella persona di Stephanie Williams, diplomatica statunitense di lungo corso che già rivestiva il ruolo di vice di Ghassan Salame. Dunque, un algerino, stimato diplomatico e politico di rilievo che, se confermato, si aggiungerà alla schiera degli Inviati speciali per la Libia, tra i quali il tedesco Martin Kobler e il discusso spagnolo Bernardino Leon.
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C’è da augurarsi e augurargli maggiore fortuna anche perché ha dalla sua un Paese che ha lavorato e sta lavorando intensamente a favore di una stabilizzazione e pacificazione della Libia; un Paese che condivide con la Libia un confine di oltre mille chilometri, interessi energetici di prima grandezza, una spinosa minaccia terroristica, l’appartenenza all’Unione africana che da tempo rivendica un maggior protagonismo nel contesto degli sforzi multilaterali e bilaterali che hanno occupato finora la scena libica.
HAFTAR NON ABBANDONA L’OPZIONE MILITARE
Del resto, proprio nei giorni scorsi si è svolto a Oyo (Congo) un incontro del gruppo di contatto dell’Unione africana per la Libia – cui ha partecipato la Williams – per ribadire l’impegno dell’Unione africana e delle Nazioni Unite a ritrovare, sulla scia del vertice di Berlino dello scorso gennaio, le fila di un dialogo fra tutte le parti capace di superare la profonda crisi in cui versa la Libia. Ma la strada resta in salita. È pur vero che la Cancelliera Angela Merkel ha sollecitato sia Haftar che Serraj a sottoscrivere il cessate il fuoco laboriosamente concordato a Ginevra tra i rappresentanti delle due principali parti in conflitto; ma è vero anche che fino a ora non solo non ci sono state concrete e inequivocabili prese di posizione da parte di Haftar in quel senso, ma si sono evidenziate indicazioni di segno contrario ad apparente dimostrazione che egli non rinuncia all’idea di risolvere la questione in chiave militare e teme di non riuscire a capitalizzare la sua posizione di maggior forza sul terreno al tavolo negoziale.
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Lo sostengono in questa visione tetragona, almeno fino a questo momento, i suoi principali sponsor esterni evidentemente convinti di potercela fare; anche attraverso un crescendo di mezzi e attrezzature militari che cercano di tenere in ombra anche attraverso le ripetute accuse (peraltro fondate) rivolte alla Turchia e al Qatar di intensificazione del loro appoggio militare alle forze schierate dietro a Serraj.
SI PREPARA LA CONTROFFENSIVA DI SERRAJ
Ed è singolare e tutt’affatto confortante il messaggio di cui si sta rendendo portatore Fathi Bashagha, uomo di Misurata e ministro degli Interni del governo Serraj, proiettato a rassicurare che ci sono le condizioni per allentare la presa sulla Capitale di alcune milizie e che è tuttora sul tavolo la prospettiva di un’intensificazione bellica finalizzata a porre fine all’attacco delle forze armate di Haftar se le Nazioni Unite (leggasi Consiglio di sicurezza) continueranno a non trovare la forza di imporsi alle parti in conflitto. Da Fathi Bashagha è venuta anche un’esplicita accusa alla Francia – oltre che a Berlino, Haftar è andato in visita a Parigi incontrando Emmanuel Macron in un’aura di sostanziale ambiguità – rea di appoggiare Haftar che altro non vuole che governare la Libia in maniera dittatoriale come accadeva sotto Gheddafi. Il governo Serraj, ha continuato, «è ora sottoposto a una tremenda pressione perché allontani Haftar dalla Capitale; ciò può avvenire solo con la forza che adesso (grazie alla Turchia e altri sponsor, mia annotazione) possiamo respingere». E parrebbe che in effetti le milizie pro-Serraj stiano preparando un attacco contro le milizie capitanate da Haftar a partire da Sirte.
L’ASSE TRA RUSSIA, SIRIA ED EGITTO
Nello stesso tempo e al contrario, si sta configurando un vero e proprio asse tra Russia, Siria ed Egitto (con gli alleati Hezbollah e Lna di Haftar) per contrastare la penetrazione turca in Libia e nel Mediterraneo orientale. Sì anche la Siria che proprio in questi giorni ha deciso di porre in essere formali rapporti diplomatici col “governo” che fa capo a Haftar. Staremo a vedere. Molto dipenderà dalla prossima mossa che farà Haftar in merito alla firma del documento sottoscritto ad referendum dalle delegazioni dei due contendenti. Se, come alcuni sostengono, e Macron ha accreditato, Haftar lo firmerà, si potrebbe aprire una fase potenzialmente costruttiva. Se invece pretenderà, da forza attaccante, che le milizie che sostengono Serraj – il cui governo non solo è riconosciuto internazionalmente ma è, di fatto, la parte attaccata – facciano altrettanto, l’attuale stallo ingarbugliato è destinato a proseguire con crescente rischio di una deriva decisamente e sanguinosamente conflittuale. In questo caso ci sarebbe quasi da sperare nell’arbitraggio del coronavirus che sembra si sia affacciato anche sul territorio libico se a mitigare le velleità di Haftar non interverrà la reazione della popolazione a fronte della chiusura forzata dei giacimenti e dei porti petroliferi che è costata quasi 1 milione di barili al giorno. Intanto l’Europa fa mostra di voler controllare il fiume in piena delle violazioni dell’embargo sulle armi.
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