Gli ultimi sviluppi in Siria mettono a rischio l'alleanza ad hoc tra Mosca e Ankara. Gli interessi in gioco sono molti. Né Putin né Erdogan vogliono che la situazione precipiti. Ma non è detto che riescano a evitarlo.
Russia e Turchia non vogliono uno scontro militare diretto in Siria, ma né a Mosca né ad Ankara ci sono segnali della volontà di fare i passi indietro necessari per disinnescare le tensioni attuali e prevenirne di future. Il rischio di incidenti irreparabili sul fronte di Idlib resta alto, e nei prossimi mesi potrebbe aumentare ancora. Dal vertice di giovedì 5 marzo fra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan con ogni probabilità uscirà un accordo solo temporaneo.
UN VERTICE «NON RISOLUTIVO»
«I due presidenti troveranno un’intesa per salvare la faccia, ma non sarà risolutiva: reggerà tutt’al più qualche settimana», dice a Lettera43 l’esperto moscovita di relazioni russo-turche Kerim Has. «Si deciderà di ricostituire le zone demilitarizzate già individuate nella conferenza di Sochi del 2018, ma non ci sarà un reale ritiro turco, né l’offensiva dell’alleato di Mosca si arresterà: Erdogan ha precisi motivi per fomentare la crisi, Assad è troppo vicino alla vittoria per fermarsi». E sull’intenzione del Cremlino di continuare ad appoggiare la spallata del dittatore di Damasco contro i ribelli anti-regime sostenuti dalla Turchia ci sono pochi dubbi. «La nostra posizione non è cambiata», ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov.
Una guerra russo-turca sarebbe troppo distruttiva per entrambi i contendenti
Fyodor Lukyanov, Vedemosti
Dopo che le forze turche presenti nella Siria nord-occidentale hanno abbattuto almeno due caccia-bombardieri siriani e colpito un aeroporto militare, il ministero della difesa russo ha avvertito che i velivoli di Ankara in azione sulla regione potrebbero diventare un bersaglio: suona come una minaccia, e parecchio realistica – dato che proviene da chi ha il completo controllo dello spazio aereo. Intanto, due fregate munite di missili da crociera Kalibr hanno attraversato il Bosforo seguite da una nave trasporto truppe, e si stanno avvicinando alle coste siriane, dove è già presente un’altra fregata: «Un segnale potente per far capire alla Turchia che è andata troppo oltre», ha commentato su Twitter Dmitri Trenin, uno dei più ascoltati analisti della politica estera di Mosca.
«Una guerra russo-turca è fuori questione: sarebbe troppo distruttiva per entrambi i contendenti», ha scritto sul quotidiano Vedemosti Fyodor Lukyanov, direttore della rivista Russia in Global Affairs e membro del Consiglio russo per gli affari internazionali, emanazione del Cremlino. La convinzione dell’impossibilità di uno scontro diretto, però, ha fatto sottostimare a Mosca la determinazione di Ankara a perseguire i propri scopi ad ogni costo, a Idlib. Erdogan non vuole e non può lasciare la maggior parte della enclave a Bashar al-Assad, perché significherebbe riconoscere il fallimento di tutta la sua politica estera recente. Inoltre, nota Kerim Has, «il presidente turco ha bisogno di questa avventura militare per sopravvivere politicamente: il sostegno per il suo partito è in declino a causa dell’inasprirsi della crisi economica».
ERDOGAN E QUELL’ERRORE DI VALUTAZIONE
Il sultano deve distrarre i sudditi dai problemi interni e anche per questo combatte contro Assad e vuol continuare a farlo. A sua volta, e per motivi analoghi, Erdogan ha sottostimato la volontà russa di sostenere Assad anche nel caso di guerra aperta – come ormai di fatto è – fra Turchia ed esercito di Damasco. Mosca non vuole e non può permettere che le truppe siriane cedano territori conquistati in mesi di battaglie, perché ciò ridimensionerebbe la sua autorevolezza militare e farebbe pensare che è disposta a rinunciare al principale obiettivo del suo intervento in Siria: la vittoria completa del regime e il monopolio della ricostruzione del Paese.
UNA STRANA ALLEANZA AD ALTO RISCHIO
Nell’inedita alleanza ad hoc stretta per finalità specifiche tra Russia e Turchia quattro anni fa, finora si è sempre trovato il modo di comporre i dissidi laddove gli obbiettivi divergevano, in nome della massimizzazione dei dividendi quando invece erano convergenti. Più volte all’interno di questa strana coppia dell’arena politica internazionale si è giocato col fuoco – come adesso – e ci si è fatti male a vicenda. Ma ci si è anche fermati prima che potesse accader di peggio, e gli incidenti sono stati constatati e risolti in via almeno apparentemente amichevole. Il meccanismo sembra essersi rotto improvvisamente il 27 febbraio scorso, quando non meno di 33 soldati di Ankara impegnati nella campagna per la riconquista di Idlib sono stati uccisi dagli alleati siriani di Mosca. E lo scenario peggiore è improvvisamente diventato un po’ meno «fuori questione».

Il rischio di un conflitto diretto è «inferiore al 50% ma comunque alto», secondo l’analista Has. «Si è raggiunto un livello di tensione che crea moltissimi pericoli sul terreno, non sempre controllabili dalle parti». In particolare, l’abbattimento di un aereo russo, anche per sbaglio, «sarebbe un casus belli che Putin non potrebbe ignorare». Nel novembre del 2015, un F-16 turco colpì un cacciabombardiere Su-24 di Mosca, ed Erdogan fu sostanzialmente “perdonato” dal capo del Cremlino interessato ad “arruolarlo” nella sua battaglia per far tornare la Russia una grande potenza a scapito dell’ “eccezionalismo Usa”.
LA RUSSIA HA TANTO DA PERDERE…
Nell’alleanza con Erdogan, il Cremlino ha investito più che nelle Olimpiadi invernali di Sochi, paradigma della dispendiosità nell’immaginario dei russi: dalla costruzione del TurkStream (11,4 miliardi di dollari) fino alla fornitura a credito (2,5 miliardi) del sofisticatissimo sistema di difesa anti aerea S-400, passando per la costruzione – ancora in corso – della centrale nucleare di Akkuyu. Il ritorno economico e soprattutto geopolitico di tutti questi investimenti è adesso messo in dubbio dal deteriorarsi della situazione, e potrebbe risultare nullo se si arrivasse al conflitto con la Turchia. Un motivo in più per cercare di evitarlo. Tra gli altri motivi, alcuni sono macroscopici: una guerra comporterebbe la chiusura di Bosforo e Dardanelli alle navi russe, e il probabile coinvolgimento della Nato. Di ragioni per evitare il conflitto e ripristinare buone relazioni, Ankara poi ne ha ancora di più.
… E LA TURCHIA ANCORA DI PIÙ
Prima di tutto, perché combatterebbe una guerra che non può vincere: la supremazia militare di Mosca è indubbia. Ed è altrettanto indubbio il potenziale di ricatto economico del Cremlino: la Turchia dipende dalla Russia per il 37,8% del suo fabbisogno energetico. In termini di bilancia commerciale, importa un dollaro per ogni 15 centesimi di export verso la Russia. Ogni estate, poi, cinque milioni di russi vanno vacanza in Turchia: qualche anno fa, un breve periodo di boicottaggio mise in ginocchio uno dei settori portanti dell’economia turca. Il coltello dalla parte del manico, insomma, ce l’ha Putin, che in precedenti faccia a faccia con Erdogan è riuscito a mediare soluzioni per situazioni delicate, anche se non pericolose come quella attuale. Il problema è che si è sempre trattato di soluzioni ad hoc, limitate nello scopo e nella durata. E in questo caso ogni soluzione temporanea e limitata è messa a rischio da tutte le situazioni incontrollabili e tutti gli incidenti tipici di un teatro bellico così attivo.
Il Cremlino aveva un sogno: allontanare Erdogan dall’Occidente. Per questo l’ex agente del Kgb Putin ha “reclutato” il leader turco
Pavel Felgenhauer, Novaya Gazeta
«Il Cremlino aveva un sogno», ha scritto sul quotidiano liberale moscovita Novaya Gazeta l’analista militare Pavel Felgenhauer: «Allontanare Erdogan dall’Occidente, indebolire la Nato, trasformare la situazione geopolitica in una zona vitale, salvaguardare il Mar Nero. Per questo l’ex agente del Kgb Vladimir Putin ha “reclutato” il leader turco. Quel sogno è andato in fumo in un solo giorno il 27 febbraio scorso, insieme a tutti i miliardi spesi per realizzarlo». L’ immagine è iperbolica ma rende l’idea. In realtà, per adesso si può solo dire che uno degli schemi portanti della politica mediorientale di Putin, quello costruito con cura sul rapporto con Ankara, corre come minimo il rischio di sbriciolarsi.
I LIMITI DELL'”OPPORTUNISMO COSTRUTTIVO” DI MOSCA
Finora la Russia è riuscita a giocare con successo sulle differenze e le intersezioni fra i diversi interessi delle parti in causa nel conflitto siriano. Solo Putin è riuscito a trovare un linguaggio comune con quasi tutti gli attori coinvolti. Ma sta emergendo un limite forte dell’ “opportunismo costruttivo” – come viene definito dagli stessi diplomatici di Mosca – della politica estera russa: fondandosi solamente su soluzioni “situazionali”, non può realisticamente ambire alla stabilità. Quindi non consente strategie di lungo termine, e comporta rischi molto alti. A rimetterci, sono soprattutto le popolazioni dei teatri di guerra. Che, senza visioni di lungo termine da parte di chi bombarda, sono destinate ad esser composte solo di vittime, o di rifugiati.
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