Le controversie su Oppenheimer e quel taglio troppo indulgente su atomica e guerra

È il film più atteso dell’anno, dopo Barbie di Greta Gerwig, s’intende: Oppenheimer di Christopher Nolan esce finalmente il 23 agosto anche nelle sale italiane ed è, come ha scritto Caryn James sul sito della Bbc, «fantasioso in modo audace e il suo lavoro più maturo». In tre ore ricche di tensione racconta la storia del fisico chiamato a guidare il gruppo di esperti che sotto il nome di Progetto Manhattan lavorò all’invenzione della bomba atomica. Il regista decide infatti di farne un thriller più che un biopic, e il tempo passa piuttosto in fretta, ma oltre agli elogi della critica ci sono anche alcune controversie, soprattutto per il taglio indulgente nei confronti del suo protagonista.

Le ambivalenze del protagonista non vengono mai condannate

La storia è nota: dopo l’invasione della Polonia nel 1939, Albert Einstein e altri fisici emigrati negli Stati Uniti scrivono al presidente Theodore Roosevelt per informarlo che grazie alla ricerca di alcuni studiosi (tra cui Enrico Fermi) a breve sarà possibile costruire armi nucleari. Il rischio però è che questi studi finiscano nelle mani dei nazisti, perciò due anni dopo l’attacco di Pearl Harbor gli Usa costruiscono un laboratorio segreto per realizzare per primi la bomba atomica. A guidare il gruppo di lavoro è J. Robert Oppenheimer (interpretato dall’irlandese Cillian Murphy, alla sua quarta prova con Nolan) ed è soprattutto attorno a lui che si muovono le critiche: il film è tutto dalla sua parte e le sue ambivalenze non vengono mai condannate, che si tratti del tema della guerra e del disarmo (attuale per i riflettori puntati soprattutto sull’Ucraina) oppure delle omissioni sulle conseguenze durature dell’atomica, o dell’aver abitato una terra sottratta da un giorno all’altro agli abitanti di Los Alamos, o del modo in cui si relazionava alle donne.

Le controversie su Oppenheimer e quel taglio troppo indulgente su atomica e guerra
L’attore Cillian Murphy, che recita nel ruolo del protagonista (Getty).

Distogliere lo sguardo: un’omissione di responsabilità

La scena delle detonazioni delle bombe, per esempio, è tra i momenti più alti dell’acclamata filmografia di Nolan, ma le cose cambiano se si mette per un attimo da parte la critica puramente cinematografica e si riflette invece sulle implicazioni politiche del film. Una sequenza è estremamente significativa, quella in cui, alcune settimane dopo le bombe, il gruppo di lavoro guarda le immagini della distruzione che la ricerca ha prodotto. Il pubblico non vede quelle immagini proiettate, perché Nolan sceglie di mostrare solamente Robert Oppenheimer nel suo distogliere lo sguardo. Dal momento che Nolan si è rifiutato di commentare questa scena, il Los Angeles Times ha interpellato alcuni esperti, tra cui la storica Naoko Wake, autrice di un saggio che raccoglie oltre 130 testimonianze di sopravvissuti statunitensi che si trovavano a Hiroshima e Nagasaki, il cui intento è andare oltre la contrapposizione sul nucleare che da decenni mostra gli statunitensi come vincitori e i giapponesi come vittime. La docente ha dichiarato che quella sequenza del film «incoraggia anche noi spettatori a distogliere lo sguardo» e che questa costituisce «un’omissione di responsabilità per me, perché se non si capisce cosa è successo non si proverà empatia. Non ci si aprirà al dialogo o alla riconciliazione: per farlo è necessario vedere quelle immagini». Evidentemente Nolan è più interessato a presentare Oppenheimer come un genio vittima del maccartismo che a metterlo in relazione con il tempo presente, un presente in cui persistono molte guerre, ma anche le ragioni dell’attivismo pro disarmo e diverse letture di quel capitolo di Storia.

Le controversie su Oppenheimer e quel taglio troppo indulgente su atomica e guerra
Il regista Christopher Nolan (Getty).

La moglie di Robert era una studiosa, ma nel film resta marginale

Nel film (ispirato al libro scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin e premiato con il Pulitzer), le donne sono in buona sostanza solo due, quelle con cui lo scienziato ha avuto delle relazioni, e hanno molto poco spazio nonostante numerose fonti le mostrino come fossero entrambe dotate di una spiccata personalità. Innanzitutto Kitty, la moglie di Robert, qui interpretata da Emily Blunt: anche lei era una studiosa, ma per Nolan diventa rilevante solo per qualche minuto, quando mostra tutta la sua capacità dialettica nel difendere il marito accusato di essere una spia sovietica.

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Emily Blunt (a sinistra) e Florence Pugh (Getty).

Una scena di sesso con Jean ha destato scalpore in India

Le cose non sono molto diverse per Jean (Florence Pugh) che il regista presenta come l’occasione di Oppenheimer per sentirsi virile. Che Nolan non sia femminista è cosa nota, ma qui in più c’è anche un’altra questione che ha fatto inorridire il governo nazionalista di Narendra Modi in India, perché un attimo prima di un rapporto sessuale Robert recita un verso della Bhagavad Gita, il più sacro dei testi indù: «Ora sono diventato la morte, il distruttore di mondi». Una frase che il pubblico è chiamato ad associare al progetto di distruzione da cui Oppenheimer era assorbito. Il nudo integrale della giovane Florence Pugh è poi stato alterato in India e in alcuni Paesi in Medio Oriente, in accordo con la casa di distribuzione Universal Pictures che ha preferito la censura al divieto di proiezione.

La scena di sesso censurata in India.

Polemiche in Giappone, dove manca ancora una data di uscita

Anche in Giappone ci sono state forti proteste, oltre a quelle nei confronti di Warner Bros, che per pubblicizzare il suo Barbie ha ironizzato sulla competizione tra i due film (Barbienheimer) creando un meme con gli attori Margot Robbie e Cillian Murphy davanti a uno sfondo in fiamme, più altri post che la divisione giapponese di Warner Bros ha definito «deplorevoli», costringendo la casa madre a delle scuse. Il tema è anche in quel caso la leggerezza con cui si tratta un evento tragico che ha conseguenze ancora oggi. A inizio agosto si è celebrato il 78esimo anniversario delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki che causarono la morte di circa 150 mila persone e per quanto Oppenheimer eviti di mostrare quegli episodi, non ha a oggi una data di uscita in Giappone.

Le controversie su Oppenheimer e quel taglio troppo indulgente su atomica e guerra
Uno dei meme su Barbienheimer.

Nessun riferimento agli indigeni espropriati delle loro terre

Un’altra controversia che ha colpito il film riguarda il modo in cui si tace sugli abitanti indigeni espropriati delle loro terre per permettere la costruzione del laboratorio in New Mexico. Nel 1942 l’esercito degli Stati Uniti diede infatti appena 48 ore di tempo alle 32 famiglie residenti a Los Alamos per lasciare le loro case e poi raderle al suolo. Inoltre nessuno si preoccupò degli animali presenti. Come riporta l’agenzia di stampa Reuters, gli agricoltori ispanici vennero risarciti in misura significativamente inferiore rispetto ai proprietari bianchi, e le persone che hanno protestato per anni hanno poi vinto due vertenze collettive sulla parità di retribuzione e trattamento. Il laboratorio che fu un vanto per Oppenheimer rappresenta con i suoi 14 mila dipendenti il più grande datore di lavoro della regione, ma questa e altre omissioni rendono il film, che lo dipinge come un genio, quantomeno controverso.

Da Braveheart ad American Sniper, 5 film basati su eventi reali pieni di inesattezze

Spesso il cinema, pur trattando eventi realmente accaduti, sceglie di discostarsene cambiando alcuni fatti. Una licenza diffusa, volta ad adattare meglio una storia al grande schermo, ma che in diverse occasioni è talmente radicale da sollevare forti polemiche. È il caso di The Blind Side, film del 2009 sull’adolescenza dell’ex giocatore di football Michael Oher, adottato da una famiglia evangelica, i Tuohy. Dopo quasi 15 anni dall’uscita, però, il protagonista ha fatto causa ai suoi genitori, dicendo che la storia si basa su una «grande bugia». Oltre a non aver mai firmato un certificato di adozione, Oher non ha ricevuto un soldo dal successo della pellicola. La polemica è sfociata sui social, tanto che diversi fan hanno chiesto persino la restituzione dell’Oscar vinto da Sandra Bullock per il ruolo della madre. Da a Captain Phillips ad American Sniper, passando per Titanic, i cinque film più discussi.

Le inesattezze storiche dei film basati su eventi realmente accaduti

U-571, per Tony Blair fu un «affronto all’esercito inglese»

Nel 2000 uscì in sala U-571, film con Matthew McConaughey e Jon Bon Jovi ambientato durante la Seconda guerra mondiale. La storia segue un sommergibile americano che avrebbe cambiato le sorti del conflitto per aver rintracciato e sottratto ai nazisti la macchina Enigma per la cifratura dei messaggi. Peccato che a farlo furono i britannici, ben un anno prima di quanto descritto nel film. Ne derivò una polemica che coinvolse anche l’allora premier inglese Tony Blair, che parlò di un «affronto all’esercito di Sua Maestà». Il presidente Usa Bill Clinton rispose con una lettera aperta al popolo britannico, ricordando che si trattava di una semplice opera di fantasia e non di un documentario.

Mentre monta la polemica su The Blind Side, nella storia del cinema tanti film sono pieni di inesattezze storiche. C'è anche American Sniper.
Una scena del film “U-571” contestato nel Regno Unito (Screenshot YouTube).

Captain Phillips, il capitano eroe che ha ignorato gli avvertimenti

Paul Greengrass diresse nel 2013 Tom Hanks in Captain Phillips – Attacco in mare aperto, che si concentra sul dirottamento di una nave americana da parte di un gruppo di pirati somali. Nel lungometraggio, tutto si conclude grazie al coraggio del capitano che, con nervi d’acciaio e sangue freddo, salva il suo equipaggio. Pur basandosi sul libro di memorie dello stesso Richard Phillips, la storia non sarebbe del tutto attendibile. Alcuni ex marinai della Maersk Alabama infatti hanno sottolineato che il comandante ignorò ben sette mail di avvertimento sulla presenza dei pirati. Inoltre non avrebbe mai affrontato il nemico a bordo.

Mentre monta la polemica su The Blind Side, nella storia del cinema tanti film sono pieni di inesattezze storiche. C'è anche American Sniper.
Una scena del film con Tom Hanks (Captain Phillips, Twitter).

Braveheart, un crogiolo di inesattezze storiche nel film con Mel Gibson

Gli errori storici e le inesattezze non hanno risparmiato nemmeno un cult come Braveheart. Il film con Mel Gibson, come sottolinea il Guardian, è così inattendibile da far sembrare U-571 «una verità evangelica». Il protagonista William Wallace non crebbe in povertà, ma fu membro dell’aristocrazia. Non incontrò inoltre la regina Isabella di Francia, che tra l’altro negli anni della storia era ancora una bambina. I kilt, che spesso indossa durante alcune scene, sarebbero stati inventati secoli dopo. Persino la battaglia di Stirling Bridge non ebbe luogo in un campo ma, come suggerisce il nome stesso, su un ponte. Un vero mix di inesattezze che però non ha impedito al film di entrare nella storia del cinema come un grande successo degli Anni 90.

Titanic, le polemiche attorno alla figura del primo ufficiale Murdoch

Parlando di cult, impossibile non citare anche Titanic, film di James Cameron fra i più redditizi della storia. Sebbene racconti pedissequamente la tragedia del transatlantico, il regista di Avatar si è preso delle licenze poco gradite ai parenti di alcuni passeggeri. Su tutti, spicca il caso del primo ufficiale William Murdoch, che nel film, preso dal panico, uccide un uomo sul ponte prima di suicidarsi con la sua pistola. Peccato che però non sia mai successo. La sua famiglia ne ha contestato aspramente il ritratto, parlando di una narrazione che ha «negato la sua reputazione di eroe» in quanto lanciò diverse scialuppe di salvataggio in acqua. Per sedare la polemica, il vicepresidente della Fox si è scusato personalmente e ha donato circa 6 mila euro a una scuola della città natale di Murdoch.

American Sniper, quante inesattezze nel film di Clint Eastwood

L’ultimo caso celebre riguarda American Sniper, film di Clint Eastwood con Bradley Cooper nei panni di Chris Kyle, marine dell’esercito americano. Basato sulle memorie dello stesso protagonista, ucciso in un poligono di tiro da un commilitone con problemi psichici, sarebbe pieno di affermazioni prive di fonti attendibili. Nel libro Kyle ha riportato un falso numero di medaglie al valore ricevute per il servizio militare e ha ricordato di aver ucciso due ladri nel 2009, evento di cui però non ci sono prove. Quanto al film, è già dubbia la prima scena in cui spara a un bambino in Iraq. Secondo alcuni marines che erano presenti con lui, non sarebbe mai accaduto. Il suo acerrimo nemico Mustafa potrebbe non essere mai esistito, tanto che i due non si sarebbero mai incontrati in battaglia.

Il naso ebreo di Bradley Cooper e le pretese anti-woke di noi bianchi

«Un giorno, da qualche parte, troveremo un nuovo modo di vivere, un nuovo modo di perdonare», cantano Maria e Tony in Somewhere, uno dei brani più celebri di West Side Story. Come dimostrano le polemiche scoppiate intorno al biopic Maestro dedicato al suo autore, Leonard Bernstein, quel giorno e quel luogo sono ancora lontani. E non è facile nemmeno riferire il motivo della polemica in termini che non sembrino negazionisti, riduzionisti o, al contrario, fanaticamente woke. Tutto gira intorno al naso del protagonista e regista del film, quell’adorabile marcantonio di Bradley Cooper, non ebreo (padre di origine irlandese, madre italiana di ceppo napoletano-abruzzese, come riferisce pignolamente la voce inglese di Wikipedia), che per accentuare la sua somiglianza con il marcantonio ebreo Bernstein ha indossato un naso finto, anche più pronunciato di quello del celebre direttore d’orchestra.

La «Jewface» e le critiche social degli attori di origine ebraica

L’artificio, definito «Jewface», epitome dell’eterno stereotipo somatico dell’israelita, è stato fortemente criticato sui social da alcuni attori di origine ebraica, scatenando una tempesta di repliche, da quelle autorevoli e pacate dei figli di Bernstein, che Cooper ha coinvolto durante tutta la lavorazione del film, alle più sarcastiche e sconclusionate («ma la Sirenetta nera vi andava bene, eh?»). Nel mezzo ci sono le argomentazioni “professionali”: «Se Cooper non è in grado di impersonare un ebreo senza mettersi un naso finto, avrebbe fatto meglio a scegliersi un altro personaggio», ha obiettato, fra gli altri, l’attrice inglese Tracey-Ann Oberman su Instagram. Non c’è bisogno di scomodare Charlton Heston, che interpretò Ben Hur, Mosè e Giovanni Battista sfoggiando un perfetto nasino wasp; lo stesso Bradley Cooper in tempi più recenti ha vestito i panni di Elephant Man a teatro senza imporsi le protesi deformanti indossate dall’impareggiabile John Hurt nel film del 1980.

Il naso ebreo di Bradley Cooper e le pretese anti-woke di noi bianchi
Il profilo accentuato di Bradley Cooper.

Cooper aveva recitato al naturale la parte di uno sfigurato dalla leptospirosi

Possibile che al divo di A Star Is Born riesca più facile recitare al naturale la parte di un gentile orribilmente sfigurato dalla leptospirosi che quella di un prestante musicista ebreo dal naso non più pronunciato di quello di tanta gente? E soprattutto, possibile che non gli sia passato per la mente che siamo nell’epoca meno adatta per sottolineare l’etnicità di un personaggio attraverso l’enfatizzazione posticcia di tratti somatici come il naso o il colore della pelle, sia pure, come nel caso di Bernstein, con il beneplacito dei familiari? Familiari, peraltro, che tempo fa avevano negato il placet a un analogo progetto-Bernstein di Jake Gyllenhaal, ebreo e desideroso da anni di portare sullo schermo la figura dell’artista e i suoi conflitti con la propria identità ebraica. «Così è la vita», si è limitato a commentare l’attore, augurando buona fortuna al film di Cooper.

Il naso ebreo di Bradley Cooper e le pretese anti-woke di noi bianchi
Il “vero” Leonard Bernstein (Getty).

Anche Golda Meir interpretata dalla bianchissima brit Helen Mirren

Le argomentazioni degli apostoli anti-woke sono prevedibili: l’arte è arte, e allora perché non dare ruoli da serial killer solo a veri serial killer, eccetera eccetera. La domanda sottintesa è: vivaddio, perché noi bianchi (binary, cristiani, abili) non possiamo interpretare chi ci pare, comprese figure provenienti da gruppi che per millenni abbiamo oppresso o escluso, e con più efficacia di attori e attrici appartenenti a quei gruppi? Un po’ di immaginazione e una mano di cerone scuro, e possiamo diventare chi abbiamo deportato dall’Africa e schiavizzato, un naso finto e diventiamo quelli che fino a pochi decenni fa discriminavamo e perseguitavamo. Il ruolo di Golda Meir, sfuggita ai pogrom della Russia zarista, è perfetto per la bianchissima brit Helen Mirren, appartenente comunque anche lei a un’altra minoranza discriminata nel mondo dello spettacolo, le donne anziane: la vedremo presto sullo schermo in Golda.

La lotta all’antisemitismo buona solo per il Giorno della memoria

E comunque, quanto possono interessare al grande pubblico, fatto di gentili, i tormenti interiori che solo un ebreo conosce, e che hanno accompagnato per tutta la vita ebrei di successo come Bernstein o Oppenheimer (protagonista di un altro super-biopic in arrivo in Italia e interpretato dall’irlandese Cillian Murphy), sempre alla ricerca di un’integrazione mai interamente compiuta a causa delle incancellabili radici ebraiche – o meglio, dell’antisemitismo, sentimento tutt’altro che sradicato, anzi? Meglio troncare, sfumare, sopire. Perché un piccolo, imbarazzante particolare finirebbe per pesare come un macigno nella ricostruzione del Grande personaggio, e di ricordarci (a noi non ebrei) quel che non rispolveriamo se non in occasioni circoscritte e dedicate, come il Giorno della memoria, e che negli altri giorni ci è venuto un po’ a noia. Tanto che possiamo anche prendere alla leggera questioni come il «naso ebraico», ed è difficile non pensare a un’altra infelice battuta, non tratta da un film americano ma uscita dalla bocca di una politica italiana, Elly Schlein, che a febbraio del 2023 sottolineava la forma «etrusca» del suo naso e la sua non-ebraicità in quanto relativa «solo» al suo lato paterno.

Il naso ebreo di Bradley Cooper e le pretese anti-woke di noi bianchi
Bradley Cooper nel film Maestro.

Bernstein era anche bisessuale: Cooper sarà ricorso a una protesi?

Questi scrupoli dettati dal timore di non essere accettati erano gli stessi di Oppenheimer quando voleva essere chiamato Robert e non Julius, suo nome di nascita (lo stesso di Groucho Marx, per inciso), perché “Julius Oppenheimer” avrebbe dichiarato troppo apertamente le sue origini; gli stessi di Leonard Bernstein quando trasferì nella West Side di New York, fra portoricani e yankee, una trama originariamente collocata nel Lower East Side, dove si fronteggiavano ebrei e irlandesi. (Per inciso: Bernstein era anche bisessuale, ebbe storie gay con il direttore d’orchestra Dimitri Mitropoulos e con il compositore Aaron Copland. Bradley Cooper avrà omesso il particolare o sarà ricorso a una protesi?)

Morta l’attrice Juliette Mayniel, madre di Alessandro Gassman

Addio all’attrice francese Juliette Mayniel, protagonista di numerose pellicole di successo, negli Anni 60 ebbe una relazione con Vittorio Gassman, da cui nacque Alessandro, figlio d’arte che ha dato l’annuncio della sua scomparsa sui social: «Non ci sei più e ci sarai sempre. Ti voglio bene. Buon viaggio mamma». Aveva 87 anni.

Nel 1960 vinse l’Orso d’argento per la migliore attrice alla Berlinale

Mayniel era nata a a Saint-Hippolyte il 22 gennaio del 1936. Figlia di contadini, si avvicinò molto presto alla recitazione, diventando uno dei volti della Nouvelle Vague. Tra i suoi film si ricordano Occhi senza volto (1960), Peccati in famiglia (1975), Il vizio di famiglia (1975), I prosseneti (1976), Il maestro di violino (1976), Di padre in figlio (1982). Per la televisione recitò in diversi sceneggiati tra cui L’Odissea (1968) – nel ruolo di Circe – e Madame Bovary (1978). Nel 1960 vinse l’Orso d’argento per la migliore attrice al festival di Berlino per la parte di Annette nel film Storia di un disertore.

Morta l'attrice Juliette Mayniel, madre di Alessandro Gassman. Il messaggio del figlio sui social: «Ti voglio bene. Buon viaggio mamma».
Juliette Mayniel nel ruolo di Circe ne L’Odissea (1968).

Lasciate le scene, da una ventina d’anni viveva in un piccolo paesino del Messico

Con Vittorio Gassmann ebbe un’importante relazione a metà degli Anni 60, quando il grande attore italiano aveva già due figlie da due precedenti compagne: dal loro amore nacque nel 1965 Alessandro, che poi ha intrapreso la professione dei genitori, che si separarono quando lui aveva solo tre anni. Lasciate le scene, Mayniel da una ventina d’anni viveva in un piccolo paesino del Messico, San Miguel de Allende, dove è scomparsa. Oltre che madre di Alessandro Gassman, era anche nonna del cantante Leo.

Barbienheimer, fenomenologia della sfida al cinema tra Barbie e Oppenheimer

Non potrebbero esserci due film più diversi a scontrarsi nelle sale americane e, nonostante Hollywood sia alle prese con un evento storico come il doppio sciopero degli attori e degli sceneggiatori, ai box office a stelle e strisce il 21 luglio va comunque in scena l’atteso Barbienheimer, ossia la lotta all’ultimo biglietto venduto per conquistare la vetta dei titoli più visti dell’estate 2023. La sfida Barbie contro Oppenheimer in Italia, purtroppo, non è prevista: il progetto ispirato all’iconica bambola della Mattel debutta giovedì 20 luglio, mentre i fan di Christopher Nolan devono attendere oltre un mese, fino a mercoledì 23 agosto. In tutto il mondo, tuttavia, l’attesa per il confronto diretto è proseguita a suon di meme, inviti ad acquistare i biglietti per il doppio spettacolo nei cinema, e un terzo incomodo, il settimo capitolo di Mission: Impossible che verrà “sfrattato” dalle sale Imax a pochi giorni dalla sua distribuzione.

Barbienheimer, fenomenologia della sfida al cinema tra Barbie e Oppenheimer
Il regista Christopher Nolan (Getty).

«Il weekend di Nolan», cioè gli ultimi giorni di luglio

Oppenheimer è stato fin da subito destinato a un’uscita in quella che, dal 2008, viene definita «il weekend di Nolan» per l’evidente preferenza del regista per far trascorrere i suoi fan nelle sale gli ultimi giorni di luglio. Non c’è quindi da stupirsi che la scelta di controprogrammare il debutto di Barbie nella stessa giornata potrebbe, come riportato da alcune fonti delle testate specializzate, aver infastidito Christopher Nolan. Secondo alcune teorie la decisione sarebbe persino stata presa dallo studio avversario come “vendetta” per le dichiarazioni rilasciate nel 2021 contro la scelta della Warner di far debuttare i suoi film in contemporanea nelle sale e sulla piattaforma di streaming HBO Max. A prescindere dalle reali motivazione, i due studios e le star hanno affrontato la sfida con campagne che li hanno portati in giro per il mondo fino agli ultimi minuti prima dello sciopero proclamato da Sag-Aftra, e tutti gli artisti coinvolti non sono riusciti a sfuggire alle inevitabili domande su Barbienheimer, svelando il diverso approccio alla surreale, e divertente, situazione.

Margot Robbie è rimasta conquistata da un meme ideato come poster: «Ho intenzione di farlo stampare su una t-shirt e provare a farmelo firmare da Cillian Murphy!». La star di Oppenheimer ha avuto altrettante parole pacifiche ribadendo: «Penso sia grandioso. Andrò a vedere Barbie. Non vedo l’ora e penso che sia fantastico per il settore e per il pubblico». Christopher Nolan è perfettamente d’accordo con la sua star e ha ricordato: «L’estate, in un mercato in salute, è sempre piena e abbiamo affrontato queste situazioni a lungo. Penso che chi si interessa ai film stesse realmente aspettando di avere nuovamente un mercato ricco di proposte».

Pure Tom Cruise involontariamente coinvolto

Nel frattempo sono le persone comuni a divertirsi e a trarre profitto dalla sfida condividendo immagini, fanart, meme, poster alternativi online e a vendere merchandise ispirato al fenomeno Barbienheimer. A trovarsi involontariamente coinvolto, considerando gli slittamenti causati dalla pandemia, è Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte 1. Tom Cruise, reduce dal successo ottenuto da Top Gun: Maverick, sperava di potersi godere un’altra estate all’insegna del dominio ai box office. Il film sul “padre” della bomba atomica lo priverà persino delle sale Imax che avrebbero potuto dare una spinta significativa ai guadagni. Nonostante il comprensibile disappunto, sono stati proprio McQuarrie e Cruise a proclamare la tregua posando per primi con i biglietti per andare a vedere Barbie e Oppenheimer.

La star di Hollywood aveva dichiarato: «Amo un doppio spettacolo e non potrebbe essere più esplosivo (o più rosa)». Il lieto fine del Barbienheimer sembra infatti quello di vedere entrambi i film, persino nello stesso giorno. La catena Amc, per andare incontro alle richieste degli spettatori, ha deciso di anticipare gli orari delle prime proiezioni della giornata, permettendo così a chi lo volesse di passare da una sala all’altra. A rispondere all’appello delle star, sul suolo americano, sono già stati oltre 20 mila fan che si regaleranno una maratona che sembra già destinata a entrare nella storia del cinema.

Chi vincerà la sfida? Le previsioni dicono Barbie

Con una campagna fermata bruscamente a causa dello sciopero degli attori, Oppenheimer, il cui budget è stato leggermente inferiore rispetto a Barbie (100 milioni contro 150 milioni di dollari) non potrà sfruttare pienamente la spinta data dalla promozione che, lo studio rivale, ha reso centrale. Le tematiche e le atmosfere completamente diverse sembrano in grado di attirare nelle sale un target molto diverso di spettatori, ma una buona fetta di pubblico si sovrapporrà. Il sito BookMyShow, che raccoglie l’interesse dei potenziali spettatori, registra una vittoria schiacciante del film di Nolan che ha superato, a una settimana dal debutto, quota 239 mila persone in attesa di vedere Oppenheimer, mentre Barbie non va oltre le 92 mila. Le previsioni degli esperti prevedono comunque una vittoria del mondo rosa della Mattel ai box office con un potenziale debutto compreso tra i 70-80 e 100 milioni di dollari, mentre il rivale non supererebbe i 50 milioni.

Warner Bros ha inoltre lanciato una campagna marketing capillare e le polemiche che hanno rischiato al film di essere vietato in vari Paesi come Vietnam e Filippine, legate a un disegno, la mappa del viaggio che Barbie deve compiere per arrivare nel mondo reale, che si sosteneva fosse la “linea dei nove tratti” (una rappresentazione a forma di “U” delle pretese territoriali della Cina nel Mar Cinese Meridionale), sembrano rientrate dopo la rassicurazione che la mappa mostrata nel film fosse totalmente priva di significati politici e permettendo di “oscurarla” in alcuni Stati, assicurandosi così la presenza nel maggior numero di nazioni possibile.

Il pubblico femminile potrebbe fare la differenza

A fare la vera differenza, secondo gli esperti del settore, sembra però il pubblico femminile che viene indicato come il più interessato a immergersi nell’universo di Barbie attraverso una prospettiva femminista e ironica che unirà realtà e finzione per raccontare una ricerca della propria identità che, sulla carta, potrebbe essere in grado di rivolgersi a un pubblico molto più ampio rispetto a quello della storia piena di tensione e drammaticità degli eventi che hanno portato alla nascita della bomba atomica.

Live-action ispirato a Barbie in sviluppo dal 2009

Il progetto di realizzare un film live-action ispirato a Barbie è entrato in fase di sviluppo nell’ormai lontano 2009, cambiando radicalmente la sua natura nel corso degli anni e passando nelle mani di tre studios prima di approdare nei titoli di Warner Bros ed essere affidato alla regista Greta Gerwig, che ne ha scritto la sceneggiatura in collaborazione con il partner, nella vita e nel lavoro, Noah Baumbach.

Barbienheimer, fenomenologia della sfida al cinema tra Barbie e Oppenheimer
Ryan Gosling e Margot Robbie (Getty).

Nonostante la fonte di ispirazione e il dominio del rosa in tutte le sue sfumature, al punto che la scenografa Sarah Greenwood sostiene di aver causato una carenza di vernice della sfumatura voluta a livello internazionale, la storia portata sul grande schermo affronterà tematiche importanti mostrando la protagonista alle prese con una crisi esistenziale che la spinge a far visita al mondo reale pur di trovare delle risposte. Situazione difficile anche per il Ken di Ryan Gosling che è consapevole che non esiste in modo indipendente da Barbie, come ha anticipato un video promozionale che ha regalato ai fan degli estratti di una scena musicale in cui la star canadese condivide i dubbi del suo personaggio.

Nostalgia per l’infanzia, riferimenti pop, colori accesi

Molte delle star coinvolte nelle riprese appariranno nel ruolo di varie versioni di Barbie, tutte ispirate a modelli realmente realizzati da Mattel nel corso degli anni, compresa la coppia Allan-Midge, e persino mostrando il look delle bambole che devono affrontare gli slanci artistici dei bambini che giocano con loro, con capelli tagliati senza attenzione con le forbici o “trucco” realizzato con i pennarelli. L’attenzione per i dettagli durante le riprese è stata davvero alta e ha portato a costruire una casa che riproduca alla perfezione quelle giocattolo, compresi scivoli che portano in piscina e assenza di scale, e a rendere un dettaglio come l’arco plantare arcuato, che i piedi delle Barbie hanno avuto per interi decenni, un elemento centrale per creare la svolta narrativa che porterà all’evoluzione della protagonista. Il mix di nostalgia per l’infanzia, riferimenti pop, colori accesi, ironia sulla società e approccio femminista alla storia sembra in grado di trascinare il pubblico nelle sale, sfruttando inoltre un gruppo di interpreti molto amati in tutto il mondo.

Barbienheimer, fenomenologia della sfida al cinema tra Barbie e Oppenheimer
Margot Robbie (Getty).

Un thriller storico esplosivo: e c’è pure Matt Damon

Atmosfera completamente diversa quella che animerà Oppenheimer, in Italia in arrivo ad agosto, definito un thriller storico che porterà gli spettatori «nell’avvincente storia paradossale di un uomo enigmatico che deve rischiare di distruggere il mondo per poterlo salvare». Scritto e diretto da Christopher Nolan, il progetto può contare su un cast davvero stellare guidato da Cillian Murphy nella parte di J. Robert Oppenheimer e da Emily Blunt in quella della moglie dello scienziato, la biologa e botanica Katherine. Accanto a loro Matt Damon nel ruolo del generale Leslie Groves Jr, Robert Downey Jr in quello di Lewis Strauss, il commissario fondatore della Commissione statunitense per l’energia atomica, e poi ancora Florence Pugh, Benny Safdie, Josh Hartnett, Rami Malek, Kenneth Branagh, Dane DeHaan, Alden Ehrenreich e Matthew Modine.

Durata di tre ore, pellicola da oltre 17 chilometri

La scelta del filmmaker di girare l’intero film in formato Imax ha rappresentato una sfida, considerando che Kodak ha dovuto produrre per la prima volta una pellicola in bianco e nero creata appositamente per adattarsi alle speciali telecamere. Nolan ha infatti scelto di girare a colori le scene legate all’esperienza soggettiva di Oppenheimer e in bianco e nero i passaggi maggiormente “obiettivi” della storia raccontata. La durata di tre ore ha inoltre portato ad avere copie del film con una pellicola della lunghezza di oltre 17 chilometri, una dimensione record che ha quasi rischiato di non poter entrare nei proiettori, costringendo alcuni cinema a modificare le cabine per riuscire ad avere lo spazio ad accogliere le copie del lungometraggio da utilizzare.

Barbienheimer, fenomenologia della sfida al cinema tra Barbie e Oppenheimer
Emily Blunt, Cillian Murphy e Florence Pugh, membri del cast di Oppenheimer (Getty).

Tanti sforzi dovrebbero però essere ripagati da un’esperienza che si preannuncia realistica e immersiva, in particolare grazie al limitato uso degli effetti speciali che hanno portato il regista inoltre a ideare con Scott R. Fisher, alla guida del team degli effetti speciali, e Andrew Jackson, supervisore agli effetti visivi, modi creativi per girare le sequenze delle esplosioni e il test Trinity, utilizzando anche la tecnica tradizionale della Prospettiva forzata grazie a dei modellini e a un mix esplosivo di benzina, propano, polvere di alluminio e magnesio. Per portare sugli schermi la “nube a fungo”, inoltre, si è deciso di immortalare un’esplosione da numerosi punti di vista e poi utilizzarli in post-produzione per aggiungere vari strati alle esplosioni.

Immersi nell’interpretazione senza mangiare né dormire

Altrettanto impegnativa è stata l’esperienza per Cillian Murphy che, per interpretare lo scienziato, ha dedicato tutte le sue energie al lavoro sul set, ritrovandosi a saltare le cene di gruppo con gli altri membri del cast e persino a dimenticarsi di mangiare e non riuscendo a dormire: «Stavo andando avanti usando un’energia folle, sono arrivato al punto di non preoccuparmi del cibo o di qualsiasi altra cosa». Il desiderio di offrire un ritratto accurato di Oppenheimer ha portato Cillian a essere «competitivo nei confronti di se stesso», al punto di avere abitudini non salutari e a perdere peso per poter fisicamente avvicinarsi all’immagine dello scienziato, lavorando particolarmente sulla propria espressività. Una performance, quella immortalata da Nolan nel suo film, che ha già nel suo mirino la notte degli Oscar.

L’autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo

Se c’è qualcuno che ha il diritto di prendersela per la nuova Biancaneve Disney live-action in cui i sette nani saranno sostituiti da sette non meglio precisati “animali fantastici” sono proprio i nani. Una volta tanto che una megaproduzione hollywoodiana tratta un soggetto che prevederebbe ben sette ruoli per attori dal fisico non conforme, si eliminano sei di quei sette ruoli (perché pare che almeno un nano ci sarà, Brontolo, interpretato da Martin Klebba, già nel cast dei Pirati dei Caraibi). Sei opportunità di lavoro e di carriera in meno, sei occasioni in meno per mettersi in luce, dimostrare le proprie qualità interpretative, magari vincere dei premi, come accadde nel 1984 a Linda Hunt, affetta da nanismo ipofisario, premio Oscar per la migliore attrice non protagonista in Un anno vissuto pericolosamente, dove per di più interpretava un fotoreporter maschio (e si era in pieno edonismo reaganiano).

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Martin Klebba (Getty).

Peter Dinklage ha innescato un processo grottesco

Credo che nel cahier de doléances degli attori americani in sciopero andrebbe aggiunta anche l’improvvida decisione della Disney, che lungi dall’essere un ossequio al “politicamente corretto” (il nome che i conservatori danno a ogni tentativo di riequilibrare secoli di onnipresenza bianca-etero-androcentrica nella narrazione occidentale del mondo) mi pare esattamente il contrario: anziché includere, esclude. E non si sa nemmeno se il «casting vocale» che la Disney sta effettuando per sostituire la pattuglia dei nani sia, almeno quello, riservato a nani veri. L’aspetto più grottesco di tutta la faccenda è che la falcidie di nani è stata la risposta alla dichiarazione di un attore affetto da acondroplasia (una forma di nanismo): Peter Dinklage, Tyrion Lannister nel Trono di spade.

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Peter Dinklage (Getty).

Contro quel cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi

Dinklage, una vita spesa a lottare contro gli stereotipi, in gennaio si era preventivamente scagliato contro la Biancaneve disneyana: sì, molto progressista affidare la parte dell’eroina “bianca come il latte” a un’attrice di origini non wasp, non altrettanto mantenere i sette nani inevitabilmente inchiodati al cliché di buffe creaturine dai nomi leziosi coniato da Walt Disney nel 1937 e detestato da chiunque sia affetto da nanismo. La major californiana emise un virtuoso comunicato in cui rassicurava di avere coinvolto nella lavorazione la «comunità delle persone piccole» proprio per evitare di cadere in stereotipi offensivi. La collaborazione non dev’essere stata molto fruttuosa, se alla fine si è deciso di eliminare sei nani su sette (e gli attori nani se la sono presa con Dinklage). Umanizzare tutti quanti i nani evidentemente era un’impresa superiore alle forze dell’imponente pool di autori Disney.

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
La nuova Biancaneve Disney.

Disney che ormai da anni non sforna un’idea originale

«Che delusione,» ha osservato sul Guardian l’attrice Kiruna Stamell (poco più di un metro di statura), «ho più probabilità di essere una madre, un’amante, una segretaria, un’avvocata, un’insegnante o una medica nella vita reale che di interpretarne una in un film Disney». E si è chiesta come può un’azienda che non ha imparato a rappresentare i corpi disabili come tutti gli altri assumersi l’arduo compito di rendere umane le più celebri caricature di disabilità che essa stessa ha creato. Detto tutto il male possibile della Disney, incluso il fatto che ormai da anni non sa sfornare un’idea originale ma si limita, in buona sostanza, a trasformare innovativi capolavori dell’arte del Novecento in normali film con attori in carne e ossa e una marea di effetti speciali, veniamo a parlare di chi non è nano né monarchico eppure freme di sdegno all’idea di una Biancaneve che non solo farà a meno di Pisolo e Mammolo, ma si salverà senza bisogno di un principe azzurro.

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Kiruna Stamell (Getty).

Amici adulti, guardiamoci in faccia: quanti anni abbiamo?

In genere sono persone grandi o molto grandi, che hanno visto l’ultimo film a cartoni animati quando ancora si poteva fumare in sala e che non hanno figli – altrimenti saprebbero che i ragazzi di oggi magari non hanno un buon rapporto con la realtà, ma rispetto ai prodotti dell’immaginario sono molto più attrezzati e disincantati di noi. Sanno apprezzare sia le fiabe tradizionali sia le loro riletture aggiornate senza trovarci forzature – anzi: per loro ormai la forzatura sarebbe una storia col principe caucasico che salva un impiastro di principessa più bianca di lui dagli incantesimi di una strega apertamente malvagia e non un’ex fata buona resa antisociale dalle persecuzioni subite in gioventù. Amici adulti, guardiamoci in faccia. No, non sto per ripetere l’ovvio, e cioè che le fiabe «classiche» sono state già epurate nell’Ottocento da tutti gli elementi più crudi, che nelle versioni più antiche Cappuccetto rosso veniva mangiata dal lupo punto e basta e le sorelle di Cenerentola si amputavano le dita e si finiva sul patibolo eccetera eccetera. Ma, seriamente, amici adulti: quanti anni abbiamo?

L'autogol della Disney sui nani di Biancaneve e il nostro senso del ridicolo
Biancaneve e i sette nani.

Se siamo così nostalgici, prendiamo esempio dai nostri nonni

Vogliamo davvero fare il piagnisteo per i nanetti di Biancaneve, noi che per anni abbiamo preso per il culo quelli che se li mettevano nel giardino? Vogliamo stracciarci le vesti perché l’ultima Sirenetta Disney non ha la pelle bianca come un filetto di platessa? Pestare i piedi perché l’Augustus Gloop della Fabbrica di cioccolato di Dahl non può più essere «un ciccione», parola che ci fa sempre sbellicare? Se la versione originale dei capisaldi della cultura infantile ci ha reso così come siamo – lamentosi, nostalgici, infantili, paurosi, insofferenti al «politicamente corretto» e al tempo stesso incapaci di trovare argomenti ragionevoli e consistenti per osteggiarlo – allora è proprio ora di cambiarla, quella cultura. Oppure, visto che per noi il passato era sempre e comunque meglio, possiamo prendere esempio dai nostri nonni. Che avevano letto Pinocchio ma non strillavano se Disney trasferiva la vicenda in Tirolo, trasformava la Bambina dai capelli turchini in una biondissima pin-up e metteva in casa di Geppetto un gattino e un pesce rosso mai menzionati da Collodi. Avevano problemi più urgenti da risolvere, e soprattutto avevano il senso del ridicolo.

Biancaneve, per il politically correct addio nani e principe azzurro

Disney ancora una volta al centro delle polemiche. Dopo la scelta di Halle Bailey per il ruolo di Ariel nel live action La Sirenetta, a far discutere sono stavolta le novità per Biancaneve, nuovo adattamento della fiaba dei fratelli Grimm atteso per marzo 2024. Il Daily Mail ha infatti condiviso in Rete alcuni scatti dal set del film, presentando i due cambiamenti più significativi in nome del politically correct. Addio ai sette nani, sostituiti da «creature magiche della foresta», e al principe. Stavolta la protagonista si salverà da sola. Disney ha però smentito la notizia, parlando di scatti fake e chiedendone il ritiro al giornale che, invece, ne ha confermato l’attendibilità. Sotto accusa il casting di Rachel Zegler, americana di origini colombiane, nei panni della protagonista. «Discorsi senza senso», ha risposto l’attrice sui social.

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Biancaneve, Rachel Zegler contro gli hater: «Ogni bambina può essere principessa»

La scelta di abbandonare il principe azzurro conferma la tendenza delle ultime produzioni Disney Pixar. Già Elsa in Frozen e Merida in RibelleThe Brave avevano iniziato a mettere da parte l’amore romantico per dare risalto a un carattere combattivo e una storia di rivincita personale. La novità più discussa sui social però è indubbiamente l’assenza dei sette nani in virtù di personaggi più linea con i tempi moderni. Una decisione che farà felice Peter Dinklage, celebre volto di Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade, che a gennaio 2022 aveva descritto Biancaneve come una «storia dannatamente arretrata». La sua protesta faceva riferimento alla rappresentazione dei sette coprotagonisti della storia, descritti come anziani di poca intelligenza che vivono nelle caverne. «Se scelgono un’attrice latino-americana per il ruolo principale, non ha proprio senso mantenere intatta quella trama» aveva sbottato Dinklage. «Non possono essere progressisti solo in parte».

Polemiche su Biancaneve per l'assenza di nani e principe in nome del politically correct. Da Cenerentola a La Sirenetta, gli altri casi.
Rachel Zegler vestirà i panni di Biancaneve (Getty Images).

Su Twitter ha parlato anche Rachel Zegler, facendo appello ai propri follower per aiutarla a non leggere le polemiche per il suo casting. «Apprezzo moltissimo l’amore di chi mi difende online», ha precisato l’attrice. «Vi prego di non taggarmi nei discorsi senza senso per la mia presenza nel film. Non voglio vederli». Ha poi aggiunto alcune foto che la ritraggono da piccola con il costume di Biancaneve. «Spero che ogni bambina sappia che può diventare una principessa», ha concluso l’attrice. Immediato il sostegno da parte proprio di Halle Bailey, nel mirino della critica per la sua performance ne La Sirenetta. «Ti amiamo così tanto», ha postato online condividendo il tweet. «Sei davvero la principessa perfetta».

Da Cenerentola ai racconti di Roald Dahl, quando il politically correct cambia le storie

Biancaneve è solo l’ultima storia a subire le modifiche del politically correct. In precedenza era toccato a La Sirenetta per la scelta di Halle Bailey, attrice nera, nel ruolo di Ariel. Una decisione che ha fatto storcere il naso soprattutto al pubblico di Corea del Sud, Giappone e Cina che ha deciso di boicottare il film al cinema. «La fiaba con cui sono cresciuto è rovinata», ha commentato un utente online. «È ormai irriconoscibile». Nel 2021 invece era finito nel mirino della critica il musical Cenerentola per la scelta di scritturare l’attore gay Billy Porter nei panni della Fatina. «La magia non ha genere», aveva spiegato l’interprete. «I giovani sono pronti al cambiamento». La decisione aveva suscitato l’indignazione di Matteo Salvini, che su Facebook aveva commentato: «Sono il solo a pensare che siamo alla follia?».

Nel febbraio 2023 la casa editrice Puffin aveva deciso di riscrivere alcune parti dei racconti di Roald Dahl, tra cui La Fabbrica di cioccolato. In accordo con gli eredi dell’autore, gli Oompa Loompa da «nani» sono diventati «piccole persone», mentre Augustus Gloop è descritto come «enorme» e non «enormemente grasso». Novità anche per Matilda: la signorina Trinciabue da «femmina formidabile» è divenuta «donna formidabile». Il politically correct ha influito anche sulle ristampe dei romanzi di Ian Fleming su James Bond e sulle opere di Agatha Christie con protagonista Hercule Poirot per eliminare termini offensivi e razzisti.

Barbie, dopo il Vietnam anche le Filippine pensano di vietare il film

Non c’è pace per Barbie, il nuovo film sulla bambola Mattel con Margot Robbie e Ryan Gosling. Dopo il Vietnam, anche le Filippine starebbero pensando di vietare la distribuzione della pellicola. Il motivo è il medesimo, ossia la presenza in una scena di una mappa con la “linea a nove trattini” a forma di U, che la Cina utilizza per le sue rivendicazioni su vaste aree del Mar Cinese Meridionale. Lo ha reso noto il senatore locale Francis Tolentino parlando alla Cnn: «Se tale linea è effettivamente presente, è necessario vietare Barbie in quanto denigra la nostra società». Sui social intanto il pubblico si divide tra chi promuove il divieto e chi vorrebbe concentrarsi su azioni concrete contro la Cina.

Dopo il Vietnam, anche le Filippine pensano di vietare Barbie. Ecco perché
Il comunicato delle Filippine che annuncia il possibile divieto del film (Facebook).

Il 4 luglio il Movie and Television Review and Classification Board of the Philippines, che si occupa della regolamentazione di cinema e televisione nel Paese, ha iniziato i lavori di controllo. Non ha però aggiunto dettagli su quando potrebbe diramare la decisione ufficiale. Tolentino ha tuttavia aggiunto che le Filippine accetterebbero Barbie tranquillamente in caso di taglio della scena incriminata. L’Hollywood Reporter ha però spiegato come tale mossa potrebbe irritare la Cina e far perdere a Warner Bros, che distribuirà il film a livello mondiale, il mercato più fiorente dell’Asia. Diversa invece la situazione di Filippine e Vietnam, dove un successo di Hollywood non supera mai i 10 milioni di dollari di incasso.

Dopo il Vietnam, anche le Filippine pensano di vietare Barbie. Ecco perché
Margot Robbie alla premiere di Barbie negli Usa (Getty Images).

Non solo Barbie: da Abominable a Uncharted, i film bannati per la linea a nove trattini

Barbie non è però il primo film hollywoodiano a far adirare i governi di Filippine e Vietnam per colpa della linea a nove trattini. Nel 2022 i due Paesi hanno infatti vietato la distribuzione di Uncharted, film basato sull’omonimo videogioco Naughty Dog con Tom Holland. L’anno prima, invece, Netflix era stata spinta a rimuovere dal suo catalogo online per il Vietnam Pine Gap, produzione australiana con Steve Toussaint. Nel 2019 la censura aveva colpito invece il film di animazione della Dreamworks Abominable Il piccolo Yeti, che mostrava la linea a nove trattini in una delle scene iniziali.

Barbie, film vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina

Il Vietnam ha vietato la distribuzione domestica del film Barbie a causa di una scena in cui viene mostrata una mappa con la “linea a nove trattini” a forma di U, utilizzata sulle carte cinesi per sostenere le rivendicazioni di Pechino su vaste aree del Mar Cinese Meridionale, comprese quella che il Vietnam considera la sua piattaforma continentale. Lo ha reso noto Vi Kien Thanh, capo del dipartimento del cinema, ente governativo responsabile della licenza e della censura di film stranieri. Barbie, con Margot Robbie e Ryan Gosling, avrebbe dovuto debuttare nelle sale vietnamite il 21 luglio.

Barbie, il film con Margot Robbie è stato vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina. Cosa è successo.
Margot Robbie (Getty Images).

La rivendicazione della Repubblica Popolare Cinese in base a una mappa del 1947

La Cina rivendica oltre l’80 per cento del Mar Cinese Meridionale, questo in base a una mappa del 1947 – pubblicata dal governo della Repubblica di Cina – in cui appare appunto una linea a nove trattini, che scende fino a un punto a circa 1.800 chilometri a sud dell’isola di Hainan, già punto più meridionale del Paese. La linea racchiude una serie di arcipelaghi, atolli e secche come le Isole Paracelso, le Isole Spratly, l’isola Pratas, il banco Macclesfield, la Secca di Scarborough, così come le zone di terra sottratte al mare dalla Cina nell’ambito della cosiddetta ‘Grande Muraglia di sabbia’.

Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan rivendicano parti della stessa area marittima

Pechino ha costruito basi militari su isole artificiali nell’area, dove spesso effettua anche pattugliamenti navali nel tentativo di far valere le sue rivendicazioni territoriali. Ma Vietnam, Filippine, Brunei, Malesia e Taiwan rivendicano parti della stessa area marittima. Nel 2016, una corte arbitrale costituita sotto i termini della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare ha sentenziato che la rivendicazione cinese dei diritti storici sulle aree marittime poste all’interno della linea dei nove tratti non aveva alcun effetto legale. Pechino non ha però riconosciuto la sentenza.

Barbie, il film con Margot Robbie è stato vietato in Vietnam per una disputa territoriale con la Cina. Cosa è successo.
Ryan Gosling (Getty Images).

Sono già quattro i film che sono stati vietati in Vietnam per lo questo motivo

Barbie non è l’unica pellicola a essere stata bandito in Vietnam per aver mostrato la linea a nove trattini. Nel 2019, il governo di Hanoi aveva ritirato il film d’animazione Abominable, mente nel 2022 era stata la volta di Uncharted. Per lo stesso motivo, Netflix nel 2021 è stata costretta a rimuovere dal suo catalogo vietnamita il film di spionaggio australiano Pine Gap.