Cop28, le richieste dell’Africa al Nord del mondo per finanziare sviluppo e transizione

La Cop28 di Dubai sarà la vera Cop africana? La conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si apre il 30 novembre negli Emirati Arabi Uniti offre la prima reale opportunità di sfruttare i risultati dei negoziati che si sono svolti lo scorso anno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, e le nazioni africane sono in attesa di passi in avanti significativi, con diverse richieste.

Le richieste dell’Africa, il continente meno responsabile delle emissioni ma tra i più colpiti dal climate change

L’Africa ha le emissioni pro capite di combustibili fossili più basse di qualsiasi altra regione a livello globale e nell’era post rivoluzione industriale, tra il 1850 e il 2021, è stata responsabile della dispersione in atmosfera di meno del 3 per cento di tutti i gas inquinanti. Tuttavia, secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), è il continente chiamato ad affrontare le sfide più difficili a causa del climate change. Sette dei 10 Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici nel 2021 erano africani e si prevede che entro il 2050 il cambiamento climatico spingerà altri 78 milioni di persone verso la fame cronica, di cui oltre la metà nell’Africa subsahariana. Gli effetti negativi sul continente sono evidenti, con eventi estremi come siccità, alluvioni e uragani sempre più frequente. Solo l’ultimo esempio in ordine di tempo sono le inondazioni che hanno colpito la Somalia provocando almeno 100 morti da inizio ottobre. Mentre il mondo dibatte su come ridurre le emissioni per rimanere entro il grado e mezzo di aumento della temperatura dall’era pre-industriale, si stima che i Paesi africani perdano ogni anno tra i 7 e i 15 miliardi di dollari a causa degli impatti dei cambiamenti climatici. Le difficoltà delle nazioni africane di rispondere agli effetti del cambiamento climatico sono però legate ai livelli inferiori di sviluppo rispetto alle maggiori economie mondiali. Ecco allora che la COP28 di Dubai potrebbe essere un’occasione per garantire che le priorità di crescita dell’Africa siano integrate nell’agenda globale per il clima, facendo in modo che queste nazioni non siano le uniche a pagare il prezzo della crisi climatica. In altre parole, l’Africa, un continente dove ancora 600 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica, si aspetta di essere aiutata economicamente a rinunciare alle proprie risorse di gas e combustibili fossili, che ha appena iniziato a sfruttare, e non costretta ad abbandonarle dall’oggi al domani.

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Una manifestazione di attivisti a Nairobi (Getty Images).

Il costo della transizione verde: secondo le stime della Banca africana di sviluppo servono più di 200 miliardi di dollari l’anno

Come ha scritto di recente l’analista Rafiq Raji per l’Ispi, «gli effetti negativi del cambiamento climatico sono già diffusi in tutto il continente africano e i Paesi poveri hanno ragione a chiedere risarcimenti ai Paesi del Nord del mondo» che hanno costruito la loro ricchezza a spese di molte nazioni in via di sviluppo. «Tuttavia, la transizione verso un’energia verde più pulita non sarà economica». Secondo le stime della Banca africana di sviluppo (Afdb), l’Africa deve mobilitare più di 200 miliardi di dollari all’anno per la sua risposta al clima entro la fine del decennio, mentre mancano all’appello 1.200 miliardi per raggiungere tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 Onu. I Paesi ricchi, seguendo il ragionamento, non possono quindi rifiutarsi di sostenere il conto della transizione verde per le nazioni africane. Fin qui, però, i risultati sono stati scarsi. Non è ancora stato rispettato nemmeno l’impegno dei 100 miliardi di dollari in aiuti economici per il clima ai Paesi più poveri entro il 2020 deciso nella Cop15 di Copenaghen del 2009. L’obiettivo sarà raggiunto forse alla fine di quest’anno. Anche il fondo da 500 milioni di dollari per rimborsare le perdite e i danni del cambiamento climatico nelle nazioni in via di sviluppo, approvato durante la Cop dello scorso anno, è lontano dall’essere realtà. Sul suo finanziamento ci sarà battaglia a Dubai. Visto il caro prezzo della lotta al cambiamento climatico per l’Africa e i pochi fondi finora erogati, emerge in ogni caso il bisogno di trovare nuovi modi per la regione per avere accesso ai capitali.

Cop28, le richieste dell'Africa al Nord del mondo per finanziare sviluppo e transizione
Akinwumi Adesina, presidente della Banca africana di Sviluppo (Getty Images).

La Dichiarazione di Nairobi firmata a settembre è il punto di partenza comune per la Cop28

La necessità urgente della revisione della finanza allo sviluppo è emersa durante lAfrica Climate Summit di settembre, in Kenya, dove i Paesi membri dell’Unione Africana (Ua) hanno firmato la Dichiarazione di Nairobi: la base per una posizione comune verso la Cop28 e oltre. Il sistema finanziario internazionale esistente, secondo i Paesi del continente, è a loro sfavorevole, e finisce per farli pagare fino a cinque volte di più i prestiti a causa dei rischi giudicati maggiori. Le nazioni africane chiedono quindi una riforma delle banche multilaterali di sviluppo che renda disponibili molti più fondi degli attuali per contrastare gli effetti della crisi climatica e per sostenere iniziative di adattamento. Tra i principali punti presenti nella dichiarazione c’è poi l’impegno ad aumentare la capacità rinnovabile da 56 gigawatt (GW) nel 2022 ad almeno 300 GW entro il 2030. Obiettivo ambizioso visto lo stato precario della rete elettrica africana, ma per questo servirebbero finanziamenti 10 volte superiori a quelli ora disponibili. I Paesi africani chiederanno anche una moratoria di 10 anni del debito, fardello pesante per molte nazioni, in particolare nell’area subsahariana, e la possibilità di rinegoziarlo. A tutto questo si aggiunge la proposta dell’introduzione di un regime globale di tassazione del carbonio, inclusa una tassa sul commercio di combustibili fossili, sul trasporto marittimo e sull’aviazione, che potrebbe anche essere integrato da una tassa globale sulle transazioni finanziarie per fornire fondi per il clima su scala globale.

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L’installazione di pannelli fotovoltaici a Nairobi, Kenya (Getty Images).

Per molti osservatori serve un cambio di paradigma che punti alla sovranità energetica grazie alle rinnovabili

La Dichiarazione di Nairobi, che ha l’indubbio merito di proporre una visione unitaria in previsione di un appuntamento così importante, è stata però contestata da diversi osservatori e associazioni ambientaliste perché, a loro dire, convergerebbe troppo verso la posizione dei Paesi più ricchi, titubante sull’azzeramento delle emissioni, oltre a legittimare pratiche problematiche come la compensazione della CO2 tramite i crediti di carbonio e il loro commercio. Un mercato cui diversi Paesi africani puntano molto e sul quale nazioni come gli Emirati Arabi Uniti hanno già messo gli occhi, tra molte critiche di sfruttamento. In un editoriale su Al Jazeera, Sydney Chisi, Senior Campaign Manager della no profit Equal Right, ha affermato che «queste sono false soluzioni e non sono ciò di cui l’Africa ha bisogno. Costituiscono una tattica neocoloniale che consente al Nord del mondo di continuare a emettere gas serra». Posizione condivisa da 500 organizzazioni e associazioni della società civile, che da un contro-summit hanno lanciato una People’s Declaration per indicare una direzione alternativa per affrontare la crisi climatica nel continente. Quello che auspicano è un cambio di paradigma basato sulla sovranità energetica grazie alle rinnovabili e su uno sviluppo sostenibile e indipendente dalle grandi ex potenze coloniali, dove grande spazio avranno agroecologia, protezione degli ecosistemi e sfruttamento dei materiali critici. Anche i portatori di queste istanze guarderanno tra pochi giorni a Dubai nella speranza di un cambio di rotta.