Il corteggiamento 2.0 permette di tenere nascosta la propria condizione, almeno all'inizio. Eppure così facendo ci si autocondanna al pregiudizio. Qualche dritta per i "normaloidi"? Fateci domande, non comportatevi in modo strano al primo appuntamento. E, soprattutto, dateci una chance. Ma questo vale per tutti.
Cari lettori con disabilità, recentemente ho letto un articolo di Josh Galassi, editorialista con disabilità motoria, intitolato «5 dritte per parlare con le persone disabili sulle app di incontri (È più facile di ciò che pensate)».
Josh usa o ha usato i social per conoscere i propri partner o, per lo meno, il suo attuale compagno.
LE APP DI INCONTRI SONO DAVVERO UNA MANNA DAL CIELO?
Scrive che per molte persone con disabilità social app e social network possono essere una «manna dal cielo» perché «ci danno la possibilità di parlare con persone che potrebbero altrimenti non degnarci di uno sguardo (a meno che ovviamente non ci stiano fissando ma, in questi casi, solitamente la ragione per cui lo fanno è ben diversa da quella per cui desidereremmo essere guardati)». «È duro ma vero», sentenzia.
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Ovviamente i suoi consigli sono rivolti ai normaloidi. I primi due sono: «Non aspettatevi che vi riveliamo subito di essere persone con disabilità» e «Non sparite come fantasmi subito dopo che l’altro vi ha detto di essere disabile». Lui stesso ammette di non rivelare solitamente subito la propria “identità disabile” perché desidera che gli altri guardino lui come persona prima che la sua disabilità. Tra l’altro racconta che, dopo aver rivelato a un ragazzo di essere disabile, lui è sparito.
NASCONDERSI SIGNIFICA CEDERE AL PREGIUDIZIO
È vero, spesso la disabilità è una condizione che viene connotata negativamente ma sono anche convinta che quando scegliamo di nasconderla, seppur nella fase iniziale della conoscenza, forse è perché in fondo in fondo a questa teoria un poco crediamo anche noi. Comprensibile, d’altronde il pregiudizio che ci connota come sfigati ha lavorato per millenni e continua a produrre i suoi frutti. Ma possiamo liberarcene. Come? Per esempio iniziando a condividere con l’interessato una fotografia che ci ritrae in splendida forma e in abbigliamento sexy a bordo della nostra sedia a rotelle, in compagnia del nostro cane guida o mentre indossiamo un impianto cocleare nuovo di zecca.
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Penso che la disabilità sia una condizione neutra, come il colore degli occhi e dei capelli, il peso o la statura. Siamo noi a darle una connotazione positiva o negativa (o neutra, appunto) a seconda del punto di vista (o teoria) che adottiamo quando la osserviamo. Magari, scegliendo di mostrarci all’altro per quel che siamo, condizione fisica e/o sensoriale compresa, verremo stupiti dalla sua reazione positiva. «E se invece poi il/la nostr* potenziale futur* partner sparisce davvero?», chiederete voi. Rallegratevi della vostra nuova scoperta: avete il dono della magia! Ora non vi resta che scoprire se funziona anche con chi vi rompe le scatole! La terza dritta che Josh offre agli “abili” è: «Bilancia le tue domande (vale a dire, non farle tutte sulla disabilità)». Anche questo consiglio ha un fondo di verità: in effetti discorrere solo di un unico tema potrebbe essere un po’ noioso.
CHIEDETECI IL PIÙ POSSIBILE DELLA NOSTRA DISABILITÀ
Tuttavia vi lancio una provocazione: incoraggiate il più possibile l’altr* a chiedervi informazioni sulla vostra condizione fisica soprattutto nella prima fase della vostra conoscenza. L‘ignoranza, intesa come mancanza di informazioni corrette, è infatti terreno fertile per la generazione di stereotipi, false teorie e luoghi comuni. Per chi vi sta conoscendo potreste essere un’occasione per iniziare a guardare le persone disabili attraverso lenti diverse da quelle che aveva finora utilizzato. E poi…continuando a spronare l’altro/a a farvi domande sulla vostra disabilità, finirà con stancarsi di questo tema e inizierà a informarsi sulle vostre posizioni sessuali preferite, che magari è proprio il punto in cui volete arrivare.
NIENTE STRANEZZE AL PRIMO APPUNTAMENTO
Il quarto consiglio per gli amici normodotati è: non rendere strano il primo appuntamento. Il nostro Josh raccomanda loro di comportarsi normalmente e di essere consapevoli di dove stanno guardando e delle espressioni facciali che assumono quando guardano per la prima volta l’altr* con disabilità. Lo capisco, il prefisso “dis” di “disabilità” ha un valore peggiorativo e indica un difetto, una malformazione o alterazione di qualcosa. Quelle tre lettere ci entrano nel sangue ed è difficile, anche per noi, liberarcene. Siamo così sensibili alle reazioni degli altri quando guardano il nostro corpo o i nostri movimenti perché in fondo forse anche noi li troviamo fuori dalla norma. Purtroppo e nostro malgrado, siamo tutti figli e figlie del modello medico. Per questo motivo potrebbe succedere che qualcuno tra gli “abili” si meravigli di alcune nostre caratteristiche fisiche o qualità di movimento.
Il prefisso “dis” di “disabilità” ha un valore peggiorativo e indica un difetto, una malformazione. Quelle tre lettere ci entrano nel sangue ed è difficile, anche per noi, liberarcene
Tuttavia consigliare loro di non farlo non serve a molto. Iniziamo noi a modificare il modo in cui spesso ci guardiamo e forse si modificherà anche la prospettiva da cui ci osservano. Se ciò non bastasse due frecciatine ironiche al punto giusto dovrebbero bastare a riassestare il loro sguardo, ripristinare la loro mimica facciale abituale e soprattutto a far loro capire di che pasta siamo fatti. Se doveste scoprirli immuni a questi vostri potenti farmaci, lasciateli perdere. L’evoluzione della specie farà il resto.
DATECI UNA CHANCE. MA QUESTO VALE PER TUTTI
L’ultima dritta per gli abiloidi è: «Dateci una chance». Penso che questo valga per tutti. Diamoci una chance, persone con disabilità e non, per liberarci dagli stereotipi reciproci e per stupirci sia di noi stessi che gli uni degli altri.
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